SCIENZA E RICERCA

Biodiversità marina: la mappa dei fattori di stress su 1271 specie

Le attività umane e il cambiamento climatico minacciano la biodiversità marina in tutto il mondo, anche se la sensibilità ai diversi fattori di stress varia notevolmente a seconda della specie e del gruppo tassonomico. Le specie marine rispondono, dunque, in modo diverso ai fattori di stress, e più fattori possono determinare impatti cumulativi. Mitigare gli impatti sulla biodiversità a rischio è fondamentale per sostenere ecosistemi marini resilienti.

Mappando la distribuzione di fattori di stress, dal 2003 al 2013, su 1271 specie marine a rischio, i ricercatori dell'Università della California hanno scoperto che, in media, le specie hanno affrontato potenziali impatti nel 57% delle loro aree, che questa impronta si è estesa nel tempo e che gli impatti si sono intensificati nel 37% delle loro gamme. L'attività di pesca resta la più "impattante", ma i fattori di stress climatico si sono intensificati. Questi risultati sono stati recentemente pubblicati su Science e sono stati organizzati in una app interattiva che permette di esplorare i dati (di seguito il tweet del primo autore dello studio Casey O'Hara).

Le specie marine a rischio sono riunite nella Lista rossa Iucn, International union for conservation of nature - Unione mondiale per la conservazione della natura, ovvero il più completo inventario del rischio di estinzione delle specie a livello globale. Nello studio di Science troviamo, tra gli altri, lo squalo balena (Whale Shark), lo squalo pinna bianca oceanico (Oceanic Whitetip Shark), la tartaruga embricata (Hawksbill Turtle).


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Dell'utilità di questa nuova "mappa" mondiale e delle azioni concrete, anche locali, di gestione e conservazione della biodiversità marina, abbiamo parlato con Alberto Baràusse, ingegnere, oggi ricercatore del dipartimento di Biologia dell'Università di Padova (biologia marina), attivo alla Stazione idrobiologica "Umberto D'Ancona" di Chioggia dove vengono condotte diverse attività di ricerca incentrate sull’ambiente lagunare e costiero dell’area, in stretta relazione con le realtà territoriali, tra tutti, i pescatori: "In questo periodo, anche nei media, si parla molto di pesca sostenibile. Noi a Chioggia lavoriamo tanto a livello di ricerca, per la gestione della pesca e la conservazione, insieme ai pescatori stessi - spiega Baràusse -, perché per ottenere soluzioni gestionali e di conservazione davvero sostenibili è necessario pensarle e raggiungerle coinvolgendo i portatori di interesse. Da tempo, ormai, i nostri ricercatori salgono a bordo delle navi per vedere e misurare le specie pescate, per capire qual è lo scarto: si tratta di un tipo di collaborazione classica, ma negli ultimi anni abbiamo puntato anche su una collaborazione più attiva. Dal progetto europeo Life Vimine a oggi, con il suo prosieguo, che è in corso adesso, abbiamo scelto di coinvolgere i pescatori nella creazione di opere di ingegneria naturalistica per la protezione delle barene dall'erosione [...]. I pescatori della laguna, che conoscono bene il territorio, devono essere i primi soggetti coinvolti per averne cura. Con loro collaboriamo anche per i monitoraggi scientifici e abbiamo una linea di ricerca attiva su squali e razze con cui stiamo cercando di capire se, attraverso misure gestionali molto semplici, sia possibile fermare il declino di questi pesci nel mare Adriatico, per esempio, ributtando in mare i giovanili con scarso valore commerciale. Per fare tutto questo, serve la collaborazione dei pescatori ".


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Forte di queste esperienze sul campo, dell'impegno e di una ricerca costante a favore della sostenibilità, Alberto Baràusse si offre come interlocutore ideale per poter commentare il report At-risk marine biodiversity faces extensive, expanding, and intensifying human impactspubblicato all'inizio di aprile su Science: di cosa si tratta e che cosa ci dice? "Si tratta di uno lavoro molto interessante e denso, con tantissimi numeri e risultati, che va a cercare la big picture, l'immagine generale dello stato di conservazione dei nostri oceani".

"I ricercatori hanno raccolto informazioni, già disponibili online, su 1271 specie che sono a rischio d'estinzione nei mari, e hanno realizzato una mappa delle zone occupate da queste specie - commenta - Mappando tutta una serie di pressioni umane in diverse zone e, incrociando le informazioni, hanno cercato di capire se le specie a rischio si trovino proprio dove queste pressioni sono presenti e, talvolta, anche in aumento". 

Montaggio: Elisa Speronello

Quel che risulta interessante dello studio è lo sguardo ampio che ha permesso di costruire una mappa, una sorta di fotografia delle generali "condizioni di salute" dei mari del mondo ma, volendo entrare nell'approfondimento, quali sono le attività umane più impattanti e quali le specie maggiormente a rischio? "Le più impattanti sono le attività umane legate alla pesca: ovviamente ci sono diversi tipi di pesca con impatti diversi - per esempio, pelagica, quindi nella colonna d'acqua, o che va a mirare le specie di fondo -, gli autori dello studio prendono in considerazione anche queste differenze".

Per quanto riguarda le specie a rischio, di cui si conoscono già le fragilità, in questo studio emergono con forza e in maniera molto evidente i fattori di stress a cui sono sottoposti, per esempio, "i coralli e altre categorie di organismi marini come gli squali e le razze, pesci cartilaginei particolarmente vulnerabili alla pressione da pesca". 

Infine, uno sguardo ai mari maggiormente minacciati. "Parliamo dell'Atlantico settentrionale, del Mare del Nord, del Baltico, quindi anche mari europei, ma si nota un'alta percentuale di specie a rischio, la cui posizione si sovrappone a forti pressioni umane in aumento, nell'area dell'Indo-pacifico tropicale, in mari molto diversi dai nostri ma dove è presente una grande varietà di specie che sono sottoposte a pressioni multiple, a fattori di stress costituiti dalla pesca ma anche dal cambiamento climatico".

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