SOCIETÀ

Il bivio dell'Unione Europea: tra altruismi ed egoismi

Le scuse di Ursula von del Leyen all’Italia sono un balsamo sulle ferite profonde dei giorni scorsi, con l’Eurogruppo spaccato sugli strumenti da utilizzare per far fronte all’emergenza coronavirus: da un lato i paesi favorevoli a emettere titoli di stati comuni (Italia e altri 8) e dall’altro i rigoristi (Germania e Olanda su tutti), che non si fidano del “Sud Europa” e dalla loro presunta indolenza nel rispettare le regole del debito. Una frattura dolorosa e pericolosa: almeno così deve averla letta la presidente della Commissione Europea, che si è affrettata a recitare un pubblico mea culpa a nome dell’Unione. Un gesto quantomeno inusuale: «Oggi l'Europa si sta mobilitando al fianco dell'Italia», ha scritto von der Leyen nella lettera inviata a Repubblica. «Purtroppo non è stato sempre così. Bisogna riconoscere che nei primi giorni della crisi, di fronte al bisogno di una risposta comune europea, in troppi hanno pensato solo ai problemi di casa propria. Non si rendevano conto che possiamo sconfiggere questa pandemia solo insieme, come Unione. È stato un comportamento dannoso e che poteva essere evitato. In questi giorni la distanza tra individui è fondamentale per la nostra sicurezza: la distanza tra nazioni europee, al contrario, mette tutti in pericolo. Ma nel frattempo l’Europa ha cambiato passo».

In troppi hanno pensato solo ai problemi di casa propria: la distanza tra nazioni europee mette tutti in pericolo

Se sarà vero si capirà a breve, anche se, visto il metodo e il tono usato da von der Leyen, c’è da credere che una soluzione sarà trovata. Una soluzione che magari non si chiamerà Coronabond, perché sarebbe interpretata come una sconfitta dei “rigoristi”, ma neanche Mes (Meccanismo Europeo di Stabilità, un Fondo salva stati immaginato per crisi episodiche e circoscritte). La linea di principio sarà “condivisone dell’emergenza”, al di là dei nomi e degli acronimi. Come ha spiegato il Commissario italiano, Paolo Gentiloni, in un’iperbole di diplomazia: «E’ più importante mettere al primo posto dell’agenda l’obiettivo da raggiungere, piuttosto che la definizione degli strumenti per arrivarci». Insomma, una mediazione si troverà. E sarà tale che nessun paese dell’Unione dovrà risultare “sconfitto”. La prossima riunione dell’Eurogruppo si terrà martedì 7 aprile. Attorno a quella data, probabilmente poco dopo, i capi di governo prenderanno una decisione.

L’Olanda punta sulle donazioni

Se non altro l’intervento di Ursula von der Leyen ha messo in chiaro un punto essenziale: non si tratta di approvare uno strumento mirato per l’Italia (o per la Spagna). Non è un favore. «L'Italia è stata colpita dal coronavirus più di ogni altro Paese europeo», si legge ancora nella lettera della presidente della Commissione Europea. «Siamo testimoni dell'inimmaginabile. Migliaia di persone sottratte all'amore dei loro cari. Medici in lacrime nelle corsie degli ospedali, col volto affondato nelle mani. Un Paese intero - e quasi un intero continente - chiuso per quarantena». L’Olanda è stata la prima a muoversi, di fatto aprendo una finestra su nuovi scenari, dopo l’assoluta rigidità mostrata dal premier Mark Rutte nell’Eurogruppo del 31 marzo:  «Per fronteggiare la crisi occorre pensare a un fondo d’emergenza europeo, con donazioni per i Paesi che sono più deboli economicamente, per aiutarli sui costi delle cure sanitarie», ha dichiarato il premier olandese. Donazioni, non prestiti. Dunque senza alcun obbligo di restituzione. «Il Fondo potrebbe raccogliere tra i 10 e 20 miliardi di euro e l’Olanda è disposta a dare un contributo sostanzioso», ha infine precisato Rutte (si stima oltre il miliardo di euro), nel tentativo di spazzar via quella patina di egoismo che da qualche giorno era calata sui paesi del Nord Europa. Mentre la Francia ha avanzato la proposta di un fondo temporaneo, al di fuori del bilancio Ue, che emetta bond garantiti dagli Stati. «I Paesi ne beneficeranno in base alle necessità post crisi, e il focus sarà sulla ripresa economica». Ciascuno stato potrà contribuire applicando, per esempio, una tassa di solidarietà. Tra qualche giorno si capirà meglio se questa ipotesi sarà percorribile e, nel caso, in quali modi condivisa.

Conte: «Un salvagente per l’Europa, non per l’Italia»

La risposta del premier italiano Conte alla presidente von der Leyen tocca un punto fondamentale:  «Non abbiamo scelta: siamo chiamati a compiere un salto di qualità che ci qualifichi come "unione" da un punto di vista politico e sociale, prima ancora che economico», scrive Conte. «Di fronte a una tempesta come quella del Covid-19, che riguarda tutti, non serve un salvagente per l'Italia: serve una scialuppa di salvataggio solida, europea, che conduca i nostri Paesi uniti al riparo. Non chiediamo a nessuno di remare per noi, perché abbiamo braccia forti. Il 2020 sarà una data spartiacque nella storia dell'Unione europea. Ciascun attore istituzionale sarà chiamato a rispondere, anche ai posteri, delle proprie posizioni e del proprio operato. Solo se avremo coraggio, solo se guarderemo davvero il futuro con gli occhi della solidarietà e non col filtro degli egoismi, potremo ricordare il 2020 non come l'anno del fallimento del sogno europeo ma della sua rinascita».

Intanto von der Leyen ha presentato “Sure” (State sUpported shoRt-timE work), una sorta di cassa integrazione europea, per «sostenere il lavoro a orario ridotto». Uno strumento, dedicato alle aziende e ai lavoratori, che dovrebbe limitare i licenziamenti: «Più persone manterranno il loro posto di lavoro durante la crisi provocata dal coronavirus e ritorneranno al lavoro a tempo pieno quando finirà, quando la domanda tornerà a salire e gli ordini ritorneranno», ha spiegato la presidente della Commissione Europea. «Abbiamo imparato la lezione. Quando la crisi terminerà sarà cruciale far ripartire il motore dell'economia senza ritardo. Le aree di Milano e di Madrid fanno parte della spina dorsale dell'economia europea».

Altruismi in ordine sparso: dall’Albania a Cuba

Insomma: prove tecniche di solidarietà, dopo una spaccatura che a molti ha fatto presagire la fine (ingloriosa) dell’Unione Europea. Ed è in questo panorama di egoismi, di interessi di parte, di supponenza (che a volte ha sconfinato nell’arroganza) che acquistano ancor più peso e visibilità altri altruismi, piccoli gesti di aiuto e di generosità. Come quello dell’Albania, non certo un paese benestante, con un pugno di abitanti (appena 2 milioni e 800mila, come Marche e Abruzzo) che ha sentito la necessità di inviare 30 suoi medici in Lombardia, per dare una mano laddove c’era più bisogno. «Tutti sono rinchiusi dentro le loro frontiere, e anche paesi ricchissimi hanno voltato la schiena», ha commentato il premier albanese Edi Rama. «Noi non siamo ricchi, ma neanche privi di memoria: gli albanesi non abbandonano mai l’amico in difficoltà», ha infine precisato, ricordando gli aiuti che partirono dall’Italia nel novembre scorso, quando l’Albania fu colpita da un violento terremoto.

Aiuti al nostro paese sono arrivati anche da Cuba (52 tra medici e infermieri), dalla Cina (medici e materiale sanitario, ma sono in molti a ritenere che dietro la macchina della solidarietà ci sia una regia propagandistica di Xi Jinping), dalla Germania (materiale medico, mentre stanno aumentando i casi di pazienti italiani ricoverati in diversi lander), dalla Russia (nove aerei da trasporto militare pieni di uomini e mezzi: 120 tra medici ed esperti virologi. Ma c’è chi teme si tratti di un’operazione di intelligence). E, in ultimo, anche dagli Stati Uniti, con uno stanziamenti di 100 milioni di dollari, per respiratori e strumenti diagnostici all’avanguardia.

Egoismi europei: la condanna dei sovranisti dell’Est

Insomma, alla fine (e con il progredire del virus) una qualche forma di solidarietà sta venendo fuori: per puro altruismo, per calcolo, per convenienza, per visibilità, o magari per avere in futuro la garanzia di una restituzione del favore. Ed è comunque una buona notizia, soprattutto nel momento in cui si sta affrontando un’emergenza di simili proporzioni, così difficile, così drammatica. Anche se resta, sullo sfondo, un persistente alone di cautela, di diffidenza, di sospetto. E a proposito di egoismi: la Corte di Giustizia Europea ha appena condannato Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca (anche loro in questi giorni alle prese con il Covid-19) per non aver aderito nel 2015 al ricollocamento dei richiedenti asilo sbarcati in Italia e in Grecia, come stabilito all’epoca dall’UE. Polonia e Repubblica Ceca avevano inizialmente annunciato che avrebbero accolto, rispettivamente, 100 e 50 migranti, ma le promesse sono state tradite: 12 immigrati sono arrivati a Praga, zero in Polonia e in Ungheria. Per giustificare le loro esitazioni i tre paesi avevano invocato generici “motivi di ordine pubblico e di sicurezza interna”, ma la Corte li ha giudicati infondati e non motivati. Tre paesi del Gruppo di Visegrad. Ora la Commissione Europea ha due possibilità per “eseguire” la condanna: o una multa in denaro o l’obbligo, a posteriori, di farsi carico di una quota di migranti. Ma è evidente che se l’Europa vorrà ritrovarsi realmente unita dovrà farlo su ben altre basi di solidarietà.

POTREBBE INTERESSARTI

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012