SCIENZA E RICERCA
A caccia di materia oscura: nuovi esperimenti per svelare il mistero dell’universo
Una delle più profonde carenze nella nostra attuale conoscenza dell’universo riguarda la sua composizione. Si ritiene, infatti, che la materia ordinaria – quella di cui è composta ogni parte del nostro mondo e tutte le entità dell’universo conosciute: stelle, pianeti, galassie... – non sia che una minima parte (poco meno del 5%) dell’immensa quantità di materia di cui è composto l’universo. Inoltre, molti fenomeni studiati dagli astrofisici non sono spiegabili se non supponendo che vi sia un altro genere di materia, sottostante a diversi modelli di comportamento: per questo motivo è stata ipotizzata l’esistenza della materia oscura, della quale tuttavia non si sa pressoché nulla se non che – probabilmente – esiste.
Gli esperimenti vòlti a comprendere meglio cosa sia e come si comporti la materia oscura proseguono da decenni, e stanno raggiungendo livelli di accuratezza e precisione altissimi. I prossimi anni saranno cruciali: verranno attivati, infatti, alcuni esperimenti di particolare importanza: tra questi, gli esperimenti condotti a terra XENONnT, che si svolgerà nel Laboratorio Internazionale del Gran Sasso, e DARWIN, sul quale è stata fatta un’importante scommessa anche dal punto di vista economico: necessitando di 50 tonnellate di xeno, gas nobile di difficile reperimento – la produzione annuale globale ammonta a circa 70 tonnellate – i costi saranno elevatissimi (si stima tra i 100 e i 150 milioni di euro), e a reperire i fondi hanno contribuito molti Paesi già coinvolti nel progetto internazionale XENON, che guderà il lavoro.
In occasione del Dark Matter Day, che ricorre il 31 ottobre, abbiamo chiesto maggiori spiegazioni su questa grande incognita dell’universo al professor Andrea Cimatti, astrofisico, docente di Astronomia e Astrofisica all’università di Bologna e divulgatore scientifico, autore del recente volume L’universo oscuro. Viaggio tra i più grandi misteri del cosmo (Carocci 2020), che l’autore stesso definisce così: «Si tratta di un piccolo libro divulgativo, immaginato perché fosse fruibile da parte di un qualunque lettore non esperto, scritto mantenendo un linguaggio sempre accessibile, evitando formule matematiche e includendo numerose illustrazioni. Ho tentato di “spiegare” i concetti in modo chiaro invece di “raccontare” usando termini affascinanti e frasi a effetto che però restano incomprensibili. Spero di essere riuscito nel mio intento». La prima edizione del libro ha vinto, nel 2017, il Premio nazionale di divulgazione scientifica “Giancarlo Dosi”.
Professore, per quale motivo l’astrofisica ha bisogno di supporre che esista qualcosa di inusuale come la materia oscura? In cosa consiste questa ipotesi, e perché la ricerca non ha ancora conseguito risultati positivi in tal senso?
«L’inevitabilità della materia oscura deriva da numerose evidenze astrofisiche ottenute con metodi diversi e in un ampio intervallo di scale spaziali. Muovendo dalle dimensioni più piccole a quelle più grandi, già le galassie sferoidali nane hanno mostrato di avere un’altissima percentuale di materia oscura rispetto a quella stellare e luminosa che osserviamo con i telescopi. Questa evidenza proviene dalle velocità delle stelle contenute in questi sistemi, troppo elevate per poter essere spiegate dalla sola massa visibile. Passando a sistemi più grandi, le galassie a spirale – inclusa la nostra – possiedono dischi di stelle e gas che ruotano troppo velocemente rispetto a quanto dovrebbero in base alla materia luminosa.
Invece, nelle galassie ellittiche, che non ruotano (o ruotano molto lentamente), e che quindi non consentono lo stesso tipo di analisi, le evidenze vengono dai fenomeni di lente gravitazionale “forte” che la loro massa provoca sulla luce che giunge da galassie più distanti e prospetticamente allineate lungo la linea di vista delle nostre osservazioni. Anche in questi casi, è necessario postulare che vi sia materia oscura.
Salendo ancora in dimensioni, le proprietà osservate nei gruppi e negli ammassi di galassie (attraverso lo studio della cinematica delle galassie, le caratteristiche del gas caldo, gli archi gravitazionali) implicano ancora una volta la presenza di grandi quantità di materia oscura e, in generale, metodi diversi hanno fornito risultati tra loro consistenti per queste grandi strutture cosmiche, indicando che la massa della materia oscura è dominante rispetto a quella della materia luminosa. Infine, sulle scale più grandi dell’universo, la materia oscura è richiesta, ad esempio, come ingrediente essenziale per interpretare le fluttuazioni di temperatura del fondo cosmico nelle microonde (Cosmic Microwave Background, CMB).
Our #PhotoOfTheWeek shows you the simulation of the dark matter distribution in the universe. CERN's OSQAR experiment hunts for axions that could potentially be a component of #DarkMatter. 💜💥
— CERN (@CERN) October 28, 2020
Find out more: https://t.co/DKhlUOceUb
📷: V. Springel et al. 2005 pic.twitter.com/6OA4PuMzTl
Le evidenze a favore della materia oscura – evidenze, va sottolineato, tutte indirette – sono ormai molte, e hanno iniziato ad accumularsi da quando, nel lontano 1933, Fritz Zwicky scoprì che le galassie all’interno dell’ammasso di Coma Berenices si muovevano troppo velocemente, implicando che la massa contenuta nel sistema dovesse essere molto maggiore di quella osservata. Fu nella sua pubblicazione che apparve per la prima volta il termine dunkle Materie (materia oscura). Purtroppo però, nonostante siano trascorsi circa 90 anni, ad oggi la natura della materia oscura resta uno dei più grandi misteri della fisica.
Le uniche informazioni che possiamo dedurre sono che deve essere tanta (circa l’84% della materia complessiva presente nel cosmo), trasparente (non assorbe la luce), oscura (non emette luce), elettricamente neutra (altrimenti ne osserveremmo gli effetti), sensibile alla forza di gravità e composta di particelle di materia non ordinaria, o di oggetti di altra natura. Perché la ricerca non abbia ancora conseguito risultati positivi resta quindi un vero mistero, anche considerando la grande varietà di esperimenti effettuati fino ad ora.
Attenzione, però: le evidenze e l’inevitabilità della materia oscura si basano sull’assunzione che sia corretto applicare le leggi della fisica a noi note (la dinamica di Newton e la relatività generale di Einstein) a tutti i casi presi in esame, dalle galassie nane alle scale più grandi dell’universo. Infatti, è giusto ricordare che sono state proposte teorie, dette di “gravità modificata” (ad esempio, le teorie MOND – Modified Newtonian Dynamics), che spiegano alcuni dei fenomeni osservati modificando le leggi fisiche ed escludendo, quindi, la necessità della materia oscura. La questione è molto aperta, anche se gli indizi a favore dell’esistenza della materia oscura restano per ora comunque più numerosi delle ipotesi di gravità modificata».
Molte speranze sono riposte negli esperimenti messi a punto nell’ambito della collaborazione internazionale XENON – che sta lavorando a uno dei tre grandi esperimenti del 2020, tra cui lo XENONnT nel Laboratorio del Gran Sasso. Molte aspettative vi sono anche per l’esperimento DARWIN, che dovrebbe essere avviato circa nel 2026, e che raggiungerebbe livelli di sensibilità tali da rendere un fallimento pressoché impossibile. Si tratta di esperimenti condotti sulla Terra attraverso l’impiego di un elemento rilevatore: come funzionano, quanto sono efficaci e in che misura differiscono dalle ricerche condotte nello spazio?
«Esperimenti come XENONnT e DARWIN sono operati in laboratori terrestri e sono di tipo “diretto”. Il loro obiettivo è rivelare le collisioni attese tra particelle di materia oscura e nuclei di atomi. Se questo accadesse, i nuclei atomici, dopo aver subito l’urto con la materia oscura e aver assorbito una parte dell’energia cinetica, produrrebbero fenomeni osservabili, segnalando l’avvenuta collisione. Questi esperimenti mirano principalmente a verificare l’ipotesi che la materia oscura sia composta da particelle chiamate WIMP (Weakly Interacting Massive Particles) che dovrebbero avere masse comprese tra i GeV(GigaelettronVolt) e i TeV (TeraelettronVolt). Per fare un paragone con la massa degli atomi di materia ordinaria, un atomo di argento ha una massa di circa 100 GeV.
I nuclei atomici più adatti a questi esperimenti sono quelli dello xeno, ma anche il germanio o l’argo sono considerati molto promettenti. Lo schema di questi esperimenti si basa quindi sulla probabilità che una WIMP collida con un nucleo lasciando qualche traccia misurabile dovuta al “rinculo” del nucleo atomico colpito, come ad esempio un flash di luce ultravioletta causato da un fenomeno chiamato “scintillazione”, oppure una ionizzazione o una quantità di calore depositata nel rivelatore. Dall’energia misurata, è poi possibile risalire alla massa della WIMP che ha collisione.
Questi esperimenti sono molto delicati in quanto nell’ambiente terrestre sono presenti molte particelle di materia ordinaria che possono creare falsi allarmi molto più facilmente di quanto sia probabile che una WIMP collida con un nucleo. Generalmente, il “bersaglio” è costituito da grandi serbatoi all’interno dei quali la sostanza scelta è portata allo stato liquido (ad esempio, nel caso dello xeno a 165 °K, cioè circa –108 °C) e collocata in zone il più possibile protette dall’influenza di eventi che potrebbero produrre falsi segnali di collisione, come sotto il massiccio del Gran Sasso o nelle profondità di miniere abbandonate. Maggiore è la massa del “liquido bersaglio”, e più lungo è il tempo durante il quale il liquido viene lasciato “in attesa” che si verifichi un evento di questo tipo, più alta è la probabilità che avvenga una collisione con una WIMP. Per esempio, gli esperimenti XENONnT e DARWIN utilizzeranno rispettivamente 6 e 50 tonnellate di xeno liquido, mentre l’esperimento DarkSide farà uso di 20 tonnellate di argo. Nonostante la semplicità e l’eleganza di questo approccio, nessuno ha ancora misurato una collisione con una WIMP. Si spera quindi che gli esperimenti di prossima generazione possano raggiungere sensibilità tali da osservare queste collisioni, o eventualmente escludere definitivamente l’ipotesi che la materia oscura sia composta da WIMP.
L’approccio degli esperimenti astrofisici/cosmologici, come la missione spaziale ESA Euclid, è invece del tutto diverso rispetto agli esperimenti in laboratori terrestri come quelli appena menzionati, e complementare ad essi. Infatti, l’obiettivo primario di Euclid, il cui lancio è previsto nel 2022, sarà quello di ricostruire la struttura tridimensionale a grande scala dell’universo (la cosiddetta “ragnatela cosmica”) determinando posizioni e distanze di un enorme numero di galassie (circa 2 miliardi) fino a distanze cosmiche corrispondenti a circa 10 miliardi di anni fa. Studiando le caratteristiche di questa mappa in 3D e la sua evoluzione temporale sarà possibile comprendere come la materia oscura si distribuisce nel cosmo rispetto alla materia luminosa, e determinare le proprietà degli aloni di materia oscura che contengono al loro interno le galassie che osserviamo direttamente e che sfruttiamo come traccianti luminosi per ricostruire la forma della “ragnatela”. Inoltre, Euclid consentirà di accertare la validità della relatività generale su grandi scale spaziali e temporali, permettendo quindi anche di verificare sperimentalmente alcuni dei modelli di gravità modificata proposti fino ad ora.
Infine, i dati di questa missione spaziale consentiranno anche di fare luce sull’energia oscura, una forma di energia dalla natura sconosciuta che si ritiene sia responsabile dell’accelerazione dell’espansione dell’universo. Ciò sarà essenziale per riuscire a comprendere quale scenario teorico è in accordo con le osservazioni. Infatti, come per la materia oscura, molte ipotesi sono state avanzate sull’origine di questa energia, dalla cosiddetta “costante cosmologica” (una forma di energia costante nello spazio e nel tempo) fino ai modelli di quintessenza, in cui l’energia oscura è variabile nel tempo e nello spazio. Materia oscura ed energia oscura costituiscono insieme il 95% del contenuto complessivo di materia-energia dell’universo, e solo combinando tra loro i risultati di diversi esperimenti sarà possibile fare luce su questi grandissimi misteri della fisica moderna e della cosmologia».
Se anche le ricerche del progetto XENON non dovessero portare a risultati soddisfacenti, quale conclusione bisognerebbe trarne? Si dovrebbe forse abbandonare la teoria che indica nelle WIMPs le componenti primarie della materia oscura? Oppure si potrebbe considerare anche l’assenza di risultati positivi una parziale vittoria, nella misura in cui comunque contribuirebbe a riorientare la ricerca?
«I risultati negativi ottenuti fino ad oggi con gli esperimenti terrestri hanno comunque un grande valore, in quanto restringono sempre più la varietà delle caratteristiche – in particolare la massa – che le WIMPs potrebbero avere. Tuttavia, per avere risposte definitive sarà necessario raggiungere sensibilità sempre più elevate fino a toccare il limite teorico oltre il quale questi esperimenti non sono più realizzabili. Non siamo ancora giunti a questo punto, e quindi è ancora aperta la possibilità che le WIMP siano gli ingredienti principali della materia oscura. Il prossimo decennio sarà cruciale per fare grandi passi avanti in grado di costituire una vera svolta della nostra conoscenza dell’universo e delle sue caratteristiche più profonde e ancora ben nascoste».
Quali sono le principali teorie, alternative a quella delle WIMPs, che si propongono di spiegare cosa sia la materia oscura e quali siano le sue caratteristiche?
«Prima di tutto, sono due i tipi di materia oscura che sono stati ipotizzati. La materia oscura microscopica sarebbe composta da particelle di dimensioni atomiche o subatomiche: le WIMP rientrano in questa tipologia. Invece, la materia oscura macroscopica sarebbe formata da oggetti molto più grandi di un atomo, fino alle dimensioni astrofisiche delle stelle compatte e dei buchi neri.
Tutte le possibilità di materia oscura ordinaria, microscopica o macroscopica, sono ormai state escluse, tranne il caso dei cosiddetti buchi neri primordiali che, secondo la teoria di Stephen Hawking, si sarebbero formati nelle primissime fasi evolutive dell’universo e potrebbero contribuire alla materia oscura. Ad oggi, tuttavia, gli scenari favoriti restano quelli in cui particelle di natura sconosciuta (materia non ordinaria) compongono la maggioranza o addirittura la totalità della materia oscura.
Alternative alle già citate WIMPs potrebbero essere gli assioni, particelle che avrebbero masse molto piccole, dell’ordine di 10–3 - 10–5 eV. Secondo alcune teorie, gli assioni potrebbero essere convertiti in fotoni in presenza di forti campi magnetici, diventando quindi osservabili sperimentalmente. Oltre agli assioni, sono state ipotizzate altre particelle come il gravitino (la particella supersimmetrica del gravitone) con possibili masse che vanno dagli eV ai TeV e i neutrini sterili con masse anch’esse comprese in un ampio intervallo di possibilità. Altre ipotesi includono particelle nell’ambito di teorie del cosiddetto “Settore nascosto”, che prevedono una grande varietà di casi, come ad esempio il cosiddetto fotone oscuro con masse intorno ai GeV. Infine, un caso estremo è rappresentato dalle particelle chiamate scherzosamente wimpzillas, con riferimento al mostro Godzilla, e caratterizzate da masse enormi, comprese tra 1021 e 1028 eV».