SCIENZA E RICERCA
Il cambiamento climatico e la minaccia agli animali migratori
Il cambiamento climatico sta minacciando la sopravvivenza di molti animali migratori. Tra questi c’è la rondine arboricola bicolore (Tachycineta bicolor), una specie americana che negli ultimi 30 anni è stata costretta ad anticipare il suo arrivo nei quartieri riproduttivi. Uno sforzo però che è del tutto vano, visto che il suo successo riproduttivo è minato da intemperie e carestie, come afferma un team del Max Planck Institute e della Cornell University sulle pagine dei Proceedings of the National Academy of Science.
La storia degli uccelli migratori è la storia di una promessa, quella del ritorno: devono tornare a riprodursi nel luogo in cui sono nati. Eppure tener fede a questa promessa nell’Antropocene diventa sempre più difficile. Arrivare nel posto giusto e al momento giusto, cioè quando c’è abbondanza di cibo (di solito insetti), di ore di luce e un clima adatto, è di fondamentale importanza per la sopravvivenza dei migratori e delle nuove generazioni. Questa perfetta sincronia tra i cicli biologici di prede e predatori si è evoluta nel corso di migliaia di anni. Ma oggi il cambiamento climatico rischia di spezzare questo equilibrio, di sfalsare il periodo riproduttivo degli uccelli migratori rispetto al picco del periodo sciamatura degli insetti di cui si nutrono. Perciò da anni l’attenzione di ornitologi e scienziati si è focalizzata sulla fenologia, cioè sulla tempistica con cui avvengono le migrazioni e la riproduzione, per capire quali specie riescono a tenere il passo con il climate change e come.
Ryan Shipley e Maren Vitousek, a capo dello studio, hanno esaminato i dati fenologici degli ultimi 30 anni delle rondini arboricole bicolore che si riproducono a Ithaca, un comune americano dello stato di New York, per poi passare l’inverno a sud, in Messico. E hanno incrociato questi dati con l’abbondanza giornaliera di insetti negli ultimi 25 anni e i dati climatici.
È così che si sono accorti che in questi tre decenni, le rondini arboricole ha anticipato il periodo di cova e di allevamento dei pulcini di tre giorni per ogni decennio, fino a farlo capitare alla fine dell’inverno anziché nel corso della primavera, come da proverbio. Tutto per inseguire gli sbalzi di temperatura. Ma i loro sforzi non sono valsi a nulla, anzi: per via di quest’anticipo la prole è stata più esposta alle intemperie e non trovava da mangiare a sufficienza perché c’era penuria di insetti, come mosche, zanzare e altri ditteri che sono la loro fonte principale di cibo. Il momento della loro riproduzione, quindi, non coincide più con il picco di disponibilità alimentare.
«Anticipare semplicemente le date di arrivo e di riproduzione per tenere testa al cambiamento climatico non è necessariamente privo di rischi. Le condizioni meteorologiche più rischiose all’inizio dell’anno possono esporre gli animali a conseguenze indesiderate» ha specificato Ryan Shipley, ricercatore post-doc al Max Planck Institute e primo autore dell’articolo. «Stando ai nostri risultati, il cambiamento climatico mette a serio rischio di sopravvivenza gli uccelli che fanno affidamento su risorse alimentari la cui abbondanza può variare rapidamente a causa del tempo atmosferico».
Questa specie protetta sin dal 1918 dal Migratory Bird Treaty Act ha dunque un nuovo nemico da cui guardarsi. Il meteo in primavera può cambiare rapidamente e tende a essere più imprevedibile all’inizio della stagione, ma anche l’attività e la quantità di insetti volanti è determinata dalle condizioni meteo. Perciò per gli uccelli insettivori «un giorno è festa, e il prossimo è di carestia. Questo significa che durante le primavere insolitamente calde, i genitori scommettono che le condizioni che li spingono a deporre le uova precocemente siano indicative di simili condizioni ottimali per allevare i giovani, tre settimane dopo» continua Shipley. Ma non è sempre così e spesso la scommessa viene persa.
Proprio l’anticipo della riproduzione e la penuria di insetti, dovuta alla rottura di quella sincronia perfetta evolutasi in migliaia di anni, potrebbero essere la causa principale del declino di altre specie di uccelli migratori strettamente insettivori, come rondini, rondoni, pigliamosche e succiacapre, le cui popolazioni europee e nordamericane stanno diminuendo a un ritmo più veloce rispetto ad altri migratori.
Negli ultimi tempi si è prestata molta attenzione al declino diffuso delle popolazioni di insetti in Europa e in Nord America: una perdita di biodiversità che potrebbe colpire gli uccelli insettivori in modo particolarmente duro nel lungo periodo. Ma in questo caso non si tratta di perdita di biomassa o del numero specie di insetti, ma solo di uno sfasamento nella loro disponibilità nel breve periodo: pochi giorni possono fare la differenza. Ecco perché «studi a lungo termine come questo sono vitali per capire come e perché i migratori sono influenzati dai cambiamenti climatici e forniscono preziose informazioni su come funzionano e come evolvono le reti ecologiche complesse» conclude Maren Vitousek.