CULTURA

Ceaușescu, trent’anni dalla caduta

Quel 22 dicembre 1989 per Nicolae Ceaușescu doveva essere il giorno della rivincita, dopo le proteste scoppiate a Timisoara a partire dal 16 dicembre. Decine di migliaia di persone, richiamate dalla propaganda, erano assembrate di fronte alla sede del comitato centrale del Partito comunista romeno per partecipare alla prova di forza del vecchio dittatore. Invece per il Ceaușescu e la moglie Elena, tanto importante da essere di fatto il suo vice, fu l’inizio della fine. Le urla provenienti dalla folla iniziarono a sommergere la sua voce. “Silenzio, silenzio” provò a dire più volte. Poi capì.

La fuga dei Ceaușescu in diretta tv

È la fuga in elicottero davanti alla folla, in diretta tv, a segnare la fine del regime. Mezzogiorno e nove minuti del 22 dicembre: il momento in cui trionfò la rivoluzione. 20 minuti dopo le barriere, prima ermeticamente chiuse, si alzarono in tutti i posti di frontiera: la Romania era finalmente libera”. A parlare è  Adrian Niculescu, storico  e autore di un recente volume sulla rivoluzione (1848-1989: de la Primul la Noul ’48, Editura IRRD ‘89, Bucarest 2018). Oggi insegna nella capitale romena, presso la prestigiosa Scuola nazionale di scienze politiche e amministrative (Snspa), ma in quei fatidici giorni del 1989 lo studioso era in Italia, dove commentò e le notizie provenienti dalla Romania per la Rai. “Il pomeriggio del 22 ero a Milano, dove insegnavo– ricorda oggi –. Mi stavo dirigendo a Lugano, perché dovevo partecipare a una diretta per la televisione della Svizzera italiana, quando a un certo punto mi chiamò Paolo Frajese, che mi urlò letteralmente al telefono: ‘tra 300.000 ticinesi o a 57 milioni di italiani lei cosa sceglie?’”. Così, mentre tutti erano ancora in giro per i regali di Natale, inizia la corsa contro il tempo: “Il traffico era completamente bloccato, per arrivare in tempo all’aeroporto il tassista passò addirittura sulle aiuole di Parco Sempione”.

Il percorso umano e intellettuale di Niculescu è quello dell’esule politicamente attivo: proveniente da una famiglia intellettuale e cosmopolita, dopo le lauree in storia a Bucarest e a Parigi svolge a lungo attività di ricerca e insegnamento tra la Francia e l’Italia, a Napoli, Montpellier e alla Cattolica di Milano, dove rimane per 11 anni: “il mio cuore però è sempre Padova – aggiunge –, dove ho vissuto con la famiglia la parte più consapevole dell’infanzia, i ricordi più formativi”. Rifugiato politico e oppositore del regime – per 12 anni è corrispondente dall’Italia di Radio Romania libera – dopo la rivoluzione inizia di nuovo a frequentare il suo Paese, prima di rientrare definitivamente a Bucarest nel 1996.

A trent'anni di distanza sono molte le voci critiche contro la rivoluzione, spesso percepita in Romania e all’estero come una sorta di congiura di palazzo da parte delle seconde linee del partito contro il vecchio despota. Una polemica che prende spunto anche dal processo sommario e dall’uccisione dei Ceaușescu. “A volere il processo fu Iliescu, gli altri componenti del comitato di salvezza nazionale lo avrebbero direttamente fucilato”. Un passaggio che per molti versi rappresenta ancora oggi una ferita aperta nella coscienza collettiva romena: “Attenzione però, all’inizio ero anch’io tra i pochissimi contrari a quel processo, non mi pareva un buon inizio per la democrazia e l’ho scrissi anche sull’Avanti!. Poi però poi mi sono ricreduto, al punto di ritenerlo un atto di giustizia rivoluzionaria, come per Mussolini e Gheddafi. Oggi è facile giudicare, ma non dimentichiamo che centinaia di cittadini furono massacrati dalla polizia nelle strade, e solo le immagini in tv dei corpi del dittatore e della moglie fecero cessare immediatamente la repressione”.

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Oggi spira su parte dell’ex blocco sovietico un vento di disillusione e di nostalgia: in nessun Paese però – a parte ovviamente la Russia – sembra forte come in Romania. “Eppure era una vera e propria prigione dove si faceva la fame – continua Niculescu –, il peggiore regime dell’Europa orientale con il peggior leader. Al livello della Corea del nord e della Cina di Mao, solo l’Albania di Enver Hoxha e di sua moglie Nexhmije era peggio. Persino in Bulgaria andava meglio: negli anni ’80 un collega bulgaro di mio padre ci portava ogni tanto penne a sfera, carne, persino il pane. Cose oggi inimmaginabili”.

Se fosse stata una Fake Revolution, come avrebbe potuto generare una Real Democracy? Adrian Niculescu

Oggi invece c’è chi dice convintamente che prima si stava meglio. In questi giorni Ion Iliescu è sotto processo in Romania per crimini contro l’umanità, proprio per i fatti della rivoluzione del 1989. Gli si imputa non solo la morte di Ceaușescu e della moglie Elena, ma anche di aver sovvertito l’ordine costituito. Una prospettiva che indigna profondamente Niculescu: “Essere processati per aver abbattuto un regime liberticida: è la vendetta della Securitate, una follia assoluta. Come processare lo sbarco in Normandia. In questo Paese a volte tutto sembra andare al contrario, si può star bene a patto di considerare il nero bianco, e viceversa. Oggi la Romania è uno Stato democratico, dove si vota e c’è libertà di opinione, di stampa, di religione e di movimento. Rispetto ad altri partner europei siamo ancora un Paese povero, ma tutti gli indici ci dicono che la qualità della vita e il benessere sono molto cresciuti in questi 30 anni”. Come mai allora molti continuano a parlare ancora di congiura, di rivoluzione sequestrata? Questione a cui Niculescu risponde con una domanda: “Mi dica lei, se fosse stata una Fake Revolution, come avrebbe potuto generare una Real Democracy?”.

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