SOCIETÀ

Chi sta vincendo la corsa globale all’Intelligenza Artificiale?

Secondo l’AI Index Report dell’università di Stanford, l’investimento privato globale in Intelligenza Artificiale (IA) nel 2019 è stato superiore ai 70 miliardi di dollari. Buona parte sono finiti in start-up, circa 37 miliardi, una cifra che rispetto ai 1,3 miliardi del 2010 dà una dimensione di quanto algoritmi e big data stiano diventando un ingranaggio fondamentale del funzionamento della nostra società.

L’Intelligenza Artificiale più che una vera e propria tecnologia è “il modo attuale e neanche così nuovo con cui si costruiscono la maggior parte dei software”. La definizione è di Stefano Quintarelli, membro del gruppo di esperti della Commissione Europea che ha prodotto un documento di Orientamenti etici per un IA affidable. In inglese si usa il termine enabler, e significa che l’IA è un abilitatore di tante possibili tecnologie, come il riconoscimento vocale o il riconoscimento facciale, programmi di previsione meteorologica, climatica o finanziaria, di diagnostica medica o di chimica farmaceutica, fino ad arrivare ai chatbot, ai robot e alle auto a guida autonoma. Chi più ne ha più ne metta.

Quanto sia considerato strategico questo settore lo dimostrano anche gli investimenti pubblici. Il governo statunitense, sia tramite il canale della difesa (Defense Advanced Research Projects Agency – 4 miliardi) sia attraverso quello della salute (National Institute of Health – 1 miliardo), nel 2020 ha speso circa 5 miliardi di dollari in ricerca sull’IA.

La Commissione Europea ha destinato, dal 2018 al 2020, 1,5 miliardi di euro alla ricerca sull’IA all’interno del programma Horizon 2020, a cui vanno aggiunti altri 2,6 miliardi in ricerca collegata all’IA. Complessivamente, come riportato in un documento programmatico del 2018 (Artificial Intelligence: a European perspective), tra finanziamenti comunitari e nazionali, pubblici e privati, l’Europa mira a far salire gli investimenti a 20 miliardi l’anno per la prossima decade.

Anche Stati come Israele, Singapore, Islanda, Australia e India si stanno dando da fare per non rimanere indietro. La Cina naturalmente sta scalando tutte le classifiche, ma contrariamente a quanto si possa immaginare, non è ancora arrivata in cima.

Un rapporto pubblicato a gennaio dal Center for data innovation, parte dell’Information technology & innovation foundation (Itif), tenta di scattare una fotografia della corsa globale all’IA per vedere come sono posizionati i principali concorrenti: Stati Uniti, Unione Europea e Cina.

La sintesi è che gli Stati Uniti continuano a mantenere la leadership, ma la Cina sta colmando la distanza rapidamente, mentre l’Europa rischia di venire staccata.

Lo studio analizza 31 metriche in 6 categorie: sviluppo, ricerca, hardware, talento, livello di adozione e dati. Nel sistema di punteggio assegnato gli Usa guidano con 44.6, seguiti dalla Cina con 32.0 e dall’Europa con 23.3. Se si guardano i risultati in rapporto alla forza lavoro di ciascun Paese il risultato cinese va però spalmato su una popolazione di quasi 1,4 miliardi di abitanti e ne verrebbe fuori Usa 58.0, UE 24.2 e Cina 17.8.

Ciononostante, scrivono gli autori Daniel Castro e Michael McLaughlin, “la Cina ha ridotto la distanza tra sé e gli Usa dal nostro ultimo rapporto”. Nel 2019 infatti il Dragone risultava già vincente nelle categorie adozione e dati, mentre gli Usa guidavano nelle altre quattro (sviluppo, ricerca, hardware, talento), con l’Europa che arrivava sempre seconda, a eccezione di dati e hardware dove arrivava terza. Con i trend in corso, entro il 2030 la Cina potrebbe arrivare in testa alla gara.

La società cinese già appare estremamente digitalizzata per quanto riguarda ad esempio i pagamenti elettronici, e di conseguenza arriva prima anche nella produzione di dati che vengono immagazzinati ed elaborati.

“In particolare la Cina ha fatto progressi riducendo la distanza o aumentando la sua leadership nei confronti degli Usa in più della metà delle metriche considerate. Al contrario l’Europa ha fatto progressi in rapporto agli Usa solo in un quarto delle metriche. Di conseguenza, gli Usa hanno mantenuto o espanso la propria leadership sull’Unione Europea nel 75% delle metriche”.

Un punto di forza degli Stati Uniti sono certamente gli investimenti privati in start-up e in compagnie di software e computer service (categoria sviluppo).

Per quanto riguarda la ricerca la Cina produce in assoluto più articoli scientifici sull’IA rispetto ai suoi concorrenti, ma la qualità della ricerca statunitense è migliore, perché riceve più citazioni e viene pubblicata in riviste specialistiche più prestigiose. Secondo un’analisi di Nature Index tuttavia, la presenza di lavori cinesi a questi piani alti è aumentata sensibilmente negli ultimi 5 anni.

Secondo Castro e MacLaughlin, la potenza computazionale dei sistemi di IA è raddoppiata ogni 3,4 mesi dal 2012 a oggi. Valutando la spesa in semiconduttori (i materiali alla base di tutti i dispositivi elettronici), il numero di aziende che producono microprocessori, il numero di supercomputer e le loro performance, gli Usa sono in cima alla categoria degli hardware, seguiti da Cina e UE.

In conclusione del rapporto gli autori fanno alcune considerazioni. “Il governo cinese ha fatto dell’IA una priorità assoluta. L’UE e gli Usa possono e dovrebbero adottare iniziative per rispondere. Gli stati membri dell’UE dovrebbero aumentare i loro incentivi in ricerca e sviluppo perché le aziende europee di software e computer service spendono molto meno in R&D di quanto non facciano quelle statunitensi”.

Ma secondo gli autori del rapporto “la sfida maggiore per l’UE e i suoi stati membri è che molti in Europa non si fidano dell’IA e la vedono come una tecnologia da cui essere spaventati e trattenuti, invece di accoglierla e promuoverla. Il white paper sull'IA della Commissione Europea, che fornisce una roadmap per le azioni legislative, sottolinea queste paure citando ‘potenziali rischi come processi decisionali opachi, discriminazioni di genere o di altro tipo, intrusione nelle vite private o un loro utilizzo a fini criminali’. Questa è una delle ragioni per cui sono stati adottati regolamenti come il GDPR (General Data Protection Regulation) che limitano la raccolta e l’uso di dati che potrebbero favorire lo sviluppo dell’IA”.

Gli Stati Uniti invece dovrebbero implementare politiche che permettano loro di mantenere la leadership: “per sviluppare ulteriormente il talento di casa gli Usa dovrebbero creare più borse per studenti di IA”.

Inoltre, scrivono gli autori, “quando i decisori politici statunitensi propongono di mettere al bando tecnologie basate sull’IA come il riconoscimento facciale o algoritmi usati per selezionare chi cerca lavoro, sulla fuorviante nozione che siano inerentemente fallaci o non rispettosi delle libertà civili, stanno essenzialmente spianando il cammino alla Cina”.

Gli Stati Uniti nel 2020 parteciperanno alla Global Partnership sull’IA, un gruppo di lavoro lanciato dal G7 per la cooperazione tra nazioni democratiche alleate. Ebbene secondo Castro e MacLaughlin, gli Usa “per competere al meglio con la Cina, non devono cedere a un progetto di ispirazione europea per la regolazione globale dell’IA”.

Pochi giorni fa l’autorità garante per la protezione dei dati personali di Amburgo ha imposto all’azienda statunitense Clearview Ai (un software di riconoscimento facciale utilizzato anche dalle forze dell’ordine statunitensi, che ha già raccolto critiche) di cancellare le informazioni di un cittadino tedesco raccolte a sua insaputa.

Un rapporto come quello stilato dal Center for data innovation è certamente utile per avere uno sguardo quantitativo sullo stato di avanzamento dell’IA nella società. Ma nel descrivere il settore come una corsa globale, il rapporto trascura un aspetto fondamentale: la cultura di appartenenza dei contendenti.

“Per l’Unione Europea”, si legge infatti nel documento europeo del 2018 “non è tanto una questione di vincere o perdere una gara, ma di trovare la strada per accogliere le opportunità offerte dall’IA in un modo che sia centrato sulla persona umana, etico, sicuro e fedele ai nostri valori fondativi”.

La diversità culturale e l’aperto confronto tra una pluralità di punti di vista è il patrimonio su cui la comunità europea fonda la propria identità. Ha un suo modo di rapportarsi all’IA, meno entusiasta di quello statunitense e certamente più critico rispetto a quello cinese. È la via europea all’IA, più cauta ma di certo non meno consapevole della portata della sfida. Nell'apparente ritardo che l'Europa registra nei confronti dei suoi rivali potrebbe dunque risiedere, paradossalmente, la forza dell'Europa.

“Questa incertezza può essere una fonte di preoccupazione, ma è anche un’opportunità. Il futuro non è già scritto. Possiamo modellarlo in base alla nostra visione collettiva del futuro che vogliamo avere. Ma dobbiamo agire uniti e dobbiamo agire veloci”.

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