SOCIETÀ

Le cinque precedenti e la sesta estinzione di massa sul pianeta: cronache

Pianeta biodiverso. Ultimi 4 miliardi di anni e prossimi almeno quattro, circa. Da quando c’è vita c’è biodiversità sul pianeta. L’evoluzione non è stata né lineare né etica, rispondendo ad altri caratteri biologici e genetici, oltre che ai movimenti e alle migrazioni degli individui vitali delle varie specie, prima di altri regni, poi anche vegetali, poi anche animali, sempre più condizionate dall’invasività di alcune, da un certo momento in poi quelle umane, da un certo momento in poi (e soprattutto) di noi sapiens. Molto prima di noi (e dei mammiferi) sono avvenute forti restrizioni della biodiversità globale, scienziati di molte discipline concordano nel sostenere che vi sono state almeno cinque grandi estinzioni di massa. Oggi è in corso la sesta, pare che molto dipenda da quel che abbiamo prodotto e fabbricato noi. In precedenza, nessuna creatura ha mai alterato così tanto la vita sul pianeta, e tuttavia hanno avuto luogo altri eventi in qualche modo paragonabili, cinque appunto di natura talmente catastrofica che per loro è stata creata una categoria a parte, i cosiddetti “Big Five”.

Il denso saggio che l’ottima giornalista del New Yorker e pluripremiata scrittrice statunitense Elizabeth Kolbert (The Bronx, New York, 1961) pubblicò nel 2014, dieci anni fa, fu un notevole grande successo mondiale e fece molto discutere sul tema, The Sixth Extinction, testo subito tradotto anche in italiano: La sesta estinzione. Una storia innaturale, Neri Pozza Vicenza. Esce ora a inizio 2024 una seconda edizione ampliata (traduzione di Cristiano Peddis e Raffaella Vitangeli, pag. 395 euro 19). Dopo un breve prologo, l’autrice struttura il testo in tredici capitoli, ognuno dei quali segue le vicende in particolare di una singola specie sotto certi aspetti emblematica (nome moderno e classificazione scientifica binomiale, dall’anfibio Atelopus zeteki e dal Mammut americanum a noi Homo sapiens, il tredicesimo capitolo riscritto nel 2023). Le creature di cui parla nei primi quattro capitoli sono già scomparse, le servono a trattare le grandi estinzioni del passato e la complessa vicenda della loro identificazione, a partire dall’opera del naturalista francese Georges Couvier (1769 - 1832).

Nel riassumere alcuni grandi eventi nella storia della vita terrestre degli ultimi cinquecento milioni di anni (Paleozoico) elenca la comparsa delle prime piante sui territori (non acquosi o marini) e subito la prima estinzione del tardo Ordoviciano, 450 milioni di anni fa circa. Poi si sofferma sulle estinzioni successive: la seconda (tardo Devoniano), la terza che riguarda anche rettili (fine Permiano), la quarta (tardo Triassico), la quinta e più recente che coinvolge uccelli, angiosperme e dinosauri (fine Cretaceo) e, dopo la quale, negli ultimi sessanta milioni di anni compaiono via via lentamente primati e scimmie antropomorfe, solo alla fine (da poco) innanzitutto in Africa ominidi e umani (restando infine noi sapiens gli unici del genere). Le estinzioni non sono una novità, le grandi estinzioni della maggioranza delle specie vegetali e animali rarissime, le dita di una mano. Naturale/innaturale (nel sottotitolo) è questione di semantica, ha ricordato l’autrice di recente: “gli esseri umani sono ovviamente entità biologiche, ma le nostre tecnologie no e sono le nostre tecnologie a causare davvero questo evento di estinzione”.

Il quinto capitolo serve a iniziare la seconda parte, sul presente, dichiarandoci “benvenuti nell’Antropocene” (prende spunto dal raro Dicranograptus ziczac): la sempre più frammentata foresta pluviale amazzonica, un versante della cordigliera delle Ande sottoposto a un rapido surriscaldamento, i raggi esterni della Grande Barriera Corallina, questi e gli altri luoghi studiati e visitati di persona dall’autrice per documentarsi e approfondire sul campo, riportando incontri con scienziati e comunità, nella consapevolezza che sarebbe potuta andare anche altrove per trovare analoghe tracce dei cambiamenti in atto. Un capitolo è dedicato alla moria di organismi in ogni eventuale giardino di ogni casa nostra. L’epilogo di questa riedizione (che contiene altri aggiustamenti e revisioni) è stato scritto oggi, dieci anni dopo, e aggiorna ricerche e verifiche per ognuno dei luoghi visitati e per i dati complessivi della sesta estinzione in corso, rispetto alla quale la crisi demografica di alcuni paesi ricchi non incide. Utili le foto, la scheda cronologica finale, insieme a note, bibliografia e indice analitico.

Prima o poi si decarbonizzerà, sostiene l’autrice corroborando la propria opinione con il commento di autorevoli scienziati, ma forse sarà troppo tardi per molti degli organismi che amiamo. Kolbert assegna in più punti un vitale peso decisivo alle migrazioni collettive: insediarsi altrove per sopravvivere come specie. Ancor più ciò è caratteristica dei sapiens: per quanto riguarda noi umani “sembra che nessuno dei classici limiti ambientali né la geografia possanoscoraggiare la migrazione”. Nell’ottavo capitolo (sulla foresta) sottolinea come, a causa dei cambiamenti climatici antropici globali, sia ormai calcolabile un tasso di migrazione degli alberi, pur con una gamma sorprendentemente ampia di modi specifici, diverse velocità e altezze, originali sostituzioni e rimpazzi. Il modello di migrazione e “rimpiazzo” avrebbe riguardato anche alcune specie del genere Homo, noi sapiens via via a “sostituire” alcune delle specie con cui abbiamo convissuto nelle ultime centinaia di migliaia di anni negli ecosistemi europeo e asiatico. In questo contesto (“Il gene della follia”, capitolo dodici) si parla sia di Neandertal che di denisoviani.

Si sta, dunque, compendo sul pianeta una trasformazione assolutamente insolita e radicale. Sotto i nostri sapienti occhi, mani, cervelli. Dopo aver scoperto risorse sotterranee di energia, i sapiens hanno avviato un processo che modifica la composizione dell’atmosfera il quale, a sua volta, altera gli equilibri climatici e chimici degli oceani. Alcune specie animali e vegetali reagiscono spostandosi, riescono a migrare verso i due poli; altre si ritrovano abbandonate in ecosistemi ora con troppo poca acqua. Il tasso di estinzione cresce vertiginosamente e il modo in cui è strutturata la vita sul pianeta muta, un processo pericoloso per tutti i fattori biotici, meglio saperlo e reagire anche noi. Elizabeth Kolbert ha, nel frattempo, pubblicato altri saggi (per esempio qui:), pur essendo il suo nome ormai connesso alla definizione e alle conferme della sesta estinzione in corso (qui).

Si sono verificati innumerevoli speciazioni ed estinzioni, adattamenti e migrazioni nel lungo corso dell’evoluzione. L’ultima era glaciale si intensificò circa 3 milioni di anni fa, con l’espansione della calotta glaciale nell’emisfero settentrionale. Da allora, vi sono stati periodi di glaciazione della durata di 40 - 100 000 anni, durante i quali le calotte si sono estese e ritirate ciclicamente. Ognuno di questi periodi comportò estinzioni di specie oppure morte di individui e migrazioni di altri. Per i cicli climatici oggi siamo in un periodo interglaciale interno all’era glaciale del Quaternario (perché esistono ancora ghiacci sulla superficie terrestre), nel corso del quale, negli ultimi 800 000 anni, vi sono stati periodi (più) glaciali e periodi interglaciali. La fine dell’ultimo, Würm, diede inizio all’Olocene, durante il quale (finora) la temperatura media ha oscillato di un solo grado verso l’alto o verso il basso. Oggi ogni decimo di grado conta.

L’ultimo periodo glaciale è terminato circa 11.700 anni fa, quando iniziò un generale arretramento dei ghiacci pur con qualche fase di piccole riprese (ad esempio, l’Europa tra i secoli XVII e XIX). Il livello dei mari risalì di circa 100 metri, con conseguenti inondazioni sopra le precedenti linee costiere e la sommersione di zone già abitate. Nel periodo interglaciale medio (6000 - 3000 a. C.), definito di “ottimo climatico”, in varie parti del globo ebbe luogo l’enorme estensione dell’areale agricolo e il maggiore interscambio commerciale e culturale, di terra e di mare, mai avvenuto fino a quel momento, con l’avvio delle civiltà connesse più o meno allo stesso grado di latitudine, tra il 20° e il 40° parallelo nord. Come è noto, tutto ciò è stato ricostruito scientificamente: esiste una sorta di fascia latitudinale a più ampia e stabile presenza umana, ovviamente con frontiere mutevoli verso nord e verso sud. Non si possono tracciare con un rigo sulla carta, non si tratta di confini istituzionali. Le variazioni del clima e le vicende sociali ci hanno fatto spostare spesso in massa, tuttavia sulla scala dei millenni la parte centrale e quell’intera fascia ci dicono molto, anche per il futuro (qui in particolare).

Anche il successivo crollo di molte di quelle civiltà risulta sempre correlato a fluttuazioni climatiche non contingenti. L’insieme dei fattori biotici possiede equilibri che possono essere assecondati o contrastati e che Homo sapiens sta alterando forse fino al massimo possibile. Se calcoliamo il numero di specie estinte a causa delle attività umane negli ultimi secoli, arriviamo a percentuali paragonabili a quelle delle maggiori catastrofi ecologiche del passato, le cinque grandi estinzioni di massa. Quella prodotta da noi sarebbe pertanto la sesta. Si estinguono specie che nemmeno ancora conosciamo. La tendenza è assai rischiosa, poiché sappiamo bene che la quantità di specie presenti in un ecosistema è proporzionale alla capacità di quell’ecosistema di fornirci preziosi servizi. Eppure anche tutto questo processo, per quanto unico nella storia evolutiva, è naturale. Stiamo profondamente alterando la nostra nicchia ecologica globale e dobbiamo aspettarci che questa modifichi le sue pressioni selettive su di noi in futuro. Studi scientifici in vari campi e opere di divulgazione hanno lanciato un allarme serio e documentato sulla enorme contrazione di biodiversità in corso, esserne più e meglio consapevoli è un primo indispensabile passo.

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