Si sono appena conclusi due eventi importanti che hanno visto tutti gli Stati del mondo discutere insieme e decidere qualcosa su cruciali emergenze planetarie, il clima e le migrazioni. Il Bo Live ne ha già scritto: la Cop 24 Unfccc in Polonia, il Global Compact in Marocco.
Non c’era da attendersi molto dalla 24a Conferenza mondiale sul clima dell’United Nations Framework Convention on Climate Change (Unfccc), COP24. E poco è arrivato (con un giorno di ritardo, nella notte di sabato 15 dicembre). L’accordo di Parigi del 2015 diverrà operativo nel 2020. In Polonia è iniziata la definizione, con qualche vuoto o rinvio, del sistema di regole condivise per rendere operativi gli impegni assunti, il cosiddetto Rule Book. Vi è stato un grave disaccordo e un compromesso al ribasso sia sul mercato che, soprattutto, sulle tecniche di contabilizzazione delle emissioni. Si continuerà a discutere fino a Santiago (Cop25) e al 2020 (l’Italia si è candidata a ospitare Cop26). Non si è risolta la cruciale questione della verifica effettiva e comparata rispetto ai nationally determined contributions (NDCs), ovvero su come garantire sia che le promesse contenute nei singoli piani nazionali siano attuate davvero sia che promesse e attuazioni di tutti gli Stati raggiungano una efficace riduzione complessiva delle emissioni climalteranti per non superare l’aumento di un grado e mezzo di temperatura globale media. Per ora i calcoli Onu segnalano come gli “impegni” possano far ridurre poco, la temperatura media potrebbe catastroficamente aumentare di oltre 3 gradi entro la fine del secolo.
A Katowice non è andato in porto nemmeno il tentativo di chiarire una volta per tutte la questione dei finanziamenti necessari per la lotta al riscaldamento globale e per l’adattamento, soprattutto nelle nazioni più vulnerabili. Sono le economie “avanzate” (le nazioni ricche) ad aver emesso la maggior parte dei gas ad effetto serra nel corso del 20° secolo. Da decenni, ancor oggi e nel prossimo futuro sono, però, le nazioni più povere a pagarne le conseguenze peggiori. Nove anni fa si era preso l’impegno a versare almeno 100 miliardi di dollari l’anno, una cifra ancora non stanziata e sulla quale si continua a discutere. Alla Cop24 alcuni paesi europei (come la Germania) hanno annunciato che investiranno ancor di più di quanto previsto, altri paesi continuano invece a far finta di niente, sono i Paesi che vogliono continuare a bruciare petrolio o foreste (Stati Uniti, Russia, Arabia Saudita, Kuwait, Brasile) e diffidano dei rapporti degli scienziati. Non hanno fatto saltare il banco ma ci sono andati vicino, ancora una volta. E, comunque, agiscono come gli pare.
Quel che sta accadendo sul piano istituzionale del negoziato climatico mondiale è troppo poco. Anche la Polonia (ospitante, molto carbonocentrica) e in parte la stessa Unione Europea non hanno fatto una gran bella figura. Forse è opportuno puntare molto sui comportamenti virtuosi di regioni e comuni, oltre che dei tanti singoli individui.
Speriamo stia accadendo qualcosa di meglio sui flussi migratori. A Marrakech, in Marocco, l’11 dicembre 164 paesi hanno approvato il Global Compact, un testo comune sul fenomeno migratorio contemporaneo, conseguente alla dichiarazione generale di principio su migranti e rifugiati adottata all’unanimità dall’Assemblea Generale dell’ONU a New York il 19 settembre 2016. Il Global Compact riprende le norme basilari del diritto internazionale (fra l’altro proprio il 10 dicembre è stato celebrato il settantesimo anniversario dall’adozione della Dichiarazione universale dei diritti umani) e individua 10 principi guida e 23 obiettivi per un governo sostenibile dei movimenti migratori. Sarà definitivamente un accordo internazionale in vigore con la risoluzione dell’Assemblea Generale Onu in discussione il prossimo 19 dicembre. Vedremo quanti voteranno a favore.
La bozza finale di mediazione era stata definita il 13 luglio da ben 192 paesi, a conclusione di un negoziato intergovernativo che aveva prodotto tre revisioni della bozza iniziale (nel merito molto più positiva e ambiziosa, a esempio sul divieto della detenzione dei minori e sulle procedure di regolarizzazione). In Marocco si sono poi presentati 29 paesi in meno rispetto a quelli unanimi due anni fa e a quelli che hanno negoziato. Alcuni (primi gli Stati Uniti di Trump) hanno deciso di non voler aderire all’accordo, altri (fra cui l’Italia, la Croazia, la Svizzera) hanno dichiarato di voler attendere un voto del proprio Parlamento. Il voto poteva avvenire prima dell’incontro in Marocco: è stato un grave errore del Governo non chiedere (come accaduto in altri paesi) un pronunciamento fra luglio e dicembre, quando il testo definitivo era già pronto. Il voto poteva avvenire anche su iniziativa di parlamentari e, in Italia, non c’è ancora stato. Eppure, approvare e attuare il Global Compact conviene all’Italia, da sempre luogo insieme di emigrazioni e immigrazioni.
Da quando siamo Repubblica vi sono state più fasi e periodi per il nostro paese, sempre di crocevia migratorio (ora più emigratorio, ora più immigratorio) e le tendenze più recenti confermano entrambe le direzioni in proporzioni non troppo distanti; nel 2018 sono circa 5 milioni sia gli italiani all’estero che gli stranieri in Italia, in base a statistiche ufficiale (che sottostimano più le partenze che gli arrivi); arrivi e partenze sono un po’ meno e un po’ più di 150 mila l’anno. L’immigrazione provoca più vantaggi che svantaggi in termini economici, demografici, sociali, sanitari, tanto più quanto non la si consegna alla clandestinità; l’emigrazione è ampia, stratificata e complessa, essendoci spesso flussi di rientro, temporanei, circolari. Il Pil pro-capite degli accoglienti cresce in percentuale più della quota di popolazione immigrata; e poi ci sono le rimesse degli emigrati. Vale per l’Italia come per gli Usa: i dati di singoli stati e nazionali americani confermano, a esempio, che negli scorsi decenni l’arrivo di immigrati non ha comportato impatto negativo per i lavoratori nativi. E un recente rapporto su salute e migrazione (pubblicato dalla rivista The Lancet) mostra come l’arrivo di stranieri, nonostante le discriminazioni che subiscono, comporta proprio un beneficio per i sistemi sanitari nazionali dei paesi d’immigrazione.
Nel mondo ci sono circa 258 milioni di migranti internazionali, persone che vivono da almeno un anno fuori dai confini ove sono nati, emigrati rispetto alla propria patria d’origine, stranieri residenti attivi in una seconda patria in parte ormai acquisita. Si supera il miliardo di donne e uomini se consideriamo le migrazioni interne a ogni singolo confine nazionale. Il 18 dicembre si celebra la giornata nazionale dei migranti. Va considerata una “festa” di tutti gli abitanti del pianeta. Dobbiamo sapere che ogni migrante resterà per sempre un de-localizzato (più o meno fertile e felice), con proprie storia e geografia almeno doppie, collocate in almeno due spazi temporali differenti. Ognuno di noi, abbia o meno mai migrato, ha traccia genetica, biologica e culturale di passate migrazioni, amori e odi, residenze e scelte svolte da altri altrove, ibridazioni. Le differenze nel Dna di ogni individuo vivente sono effetto delle migrazioni passate, anche molto antiche, ognuno di noi ne porta traccia. Non tutti gli umani migrarono, non tutti vogliono e debbono migrare. L’essenziale sarebbe garantire oggi a ciascuno la libertà di migrare, attraverso il rispetto degli altri diritti umani, vita cibo istruzione salute informazione ambiente e via dicendo (ovvero del diritto di restare ove si è nati e cresciuto), ampliandone anche la capacità potenziale (comunicazione linguistica, reddito lavorativo, sviluppo sostenibile).E, invece, oggi stiamo assistendo alla criminalizzazione di tutti i migranti non forzati.
Meglio attuarlo, allora, il Global Compact. Chi si tira fuori dall’accordo chiude gli occhi di fronte a un fenomeno antico e strutturale e, comunque, si trova dentro alla dinamica internazionale con le proprie leggi sull’immigrazione e con i propri compatrioti che emigrano. Il confine è sempre uno spazio di negoziazione, non si può mai pensare di lasciare tutti dentro o tutti fuori, che sia solo chiuso o aperto per tutti gli interni e i vicini. Ogni regione, ogni comune potrebbe e dovrebbe valutare i contenuti del patto globale e vedere come contribuire a raccogliere i dati, a fornire informazioni e documentazione, a offrire corsi di educazione linguistica e civica rivolti a ogni straniero che voglia mettersi alla prova di una civile convivenza in Italia. Quel che il comune di Padova sta provando a fare! Ed è meno isolato di quanto si creda nel rompere l’equazione immigrato-paura. Sono tantissime le esperienze significative di intelligente sicura gestione dei flussi migratori, opera sia delle istituzioni pubbliche che dell’associazionismo democratico, coerenti (quelle sì) con il testo della Costituzione formale e sostanziale della Repubblica italiana.