SOCIETÀ

Clima, la politica dice "appuntamento alla prossima volta"

Si è chiusa sabato scorso a Katowice, in Polonia, la XXIV sessione della Conferenza dei Paesi che hanno sottoscritto la Convenzione ONU sui cambiamenti climatici (nota con l’abbreviazione COP24). Durante l'incontro si sono riuniti anche tutti gli organi direttivi e sussidiari della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, il Protocollo di Kyoto e l'Accordo di Parigi. 

Il processo UNFCCC in breve e gli impegni UE

La risposta politica internazionale ai cambiamenti climatici è iniziata con l'adozione, nel 1992, della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC).  L’UNFCCC definisce il quadro giuridico e i principi fondamentali per la cooperazione internazionale con lo scopo di affrontare i cambiamenti climatici e con l'obiettivo di stabilizzare le concentrazioni atmosferiche di gas serra per evitare "pericolose interferenze antropogenica sul sistema climatico". 

La Convenzione, entrata in vigore il 21 marzo 1994, conta sulla partecipazione di 197 nazioni (Parties nel gergo UNFCCC).  Al fine di rafforzare l'efficacia dell'UNFCCC, nel dicembre 1997 fu adottato il protocollo di Kyoto. Esso impegna i Paesi industrializzati e i Paesi in transizione verso un'economia di mercato (38 Paesi complessivamente, tra cui l’Italia) a conseguire obiettivi quantificati di riduzione delle emissioni per un paniere di sei gas a effetto serra (anidride carbonica, metano, ossido di azoto e tre gas di origine industriale). Il protocollo di Kyoto è entrato in vigore il 16 febbraio 2005 e conta 192 parti. Il primo periodo di impegno ha avuto luogo dal 2008 al 2012. 

Nel 2012, fu approvato il Doha Emendment, il quale ha stabilito impegni più stringenti per il secondo periodo di impegno del protocollo di Kyoto, dal 2013 al 2020.  Per entrare in vigore, il Doha Emendment richiedeva un quorum di 144 ratifiche dalle Marti. Ad oggi, solo 121 Parti lo hanno ratificato.

Nel mese di dicembre 2015, le parti hanno adottato l'Accordo di Parigi. Secondo i termini dell'accordo, tutti i Paesi presenteranno i propri impegni nazionali di riduzione del carico di gas-serra in atmosfera (in gergo Nationally Determined Contributions, o NDC) e i progressi ottenuti in materia di mitigazione, adattamento.   I mezzi di attuazione saranno rivisti ogni cinque anni dopo aver eseguito un inventario globale dei risultati ottenuti. L'accordo di Parigi è entrato in vigore il 4 novembre 2016 e, ad oggi, 184 nazioni hanno ratificato l’accordo.

Complessivamente gli NDC dei Paesi UE mirano a ridurre le emissioni di gas a effetto serra di almeno il 40% entro il 2030 rispetto a quelle registrate nel 1990, nell'ambito del più ampio quadro 2030 su clima e energia. Tutta la legislazione fondamentale per l'attuazione dell'obiettivo relativo alle emissioni 2030 è già stata adottata, compresi gli obiettivi più ambiziosi da conseguire entro il 2030 in materia di energie rinnovabili ed efficienza energetica.  Qualora fosse pienamente attuata, la normativa EU potrebbe portare a una riduzione delle emissioni di gas serra dell'UE di circa il 45% entro il 2030.

Le aspettative prima della COP24

Le aspettative dalla COP24 erano tante. Katowice era l'ultima tappa per approvare il Programma di lavoro dell'Accordo di Parigi (Paris Agreement Working Programme, o PAWP) e renderlo operativo.  Le nazioni  si erano imposte questa scadenza nel 2016, subito dopo le ratifiche da parte di Cina e Stati Uniti (avvenute un mese prima della elezione di Donald Trump) dell’Accordo di Parigi, che avevano consentito di raggiungere un quorum minimo di Paesi e di emissioni di gas-serra per l'entrata in vigore dell’Accordo stesso.

Le questioni principali del negoziato riguardavano alcuni meccanismi ciclici ed iterativi dell'accordo di Parigi, in base al quale le Parti si sono impegnate a: 

  • presentare o aggiornare a intervalli di cinque anni gli impegni nazionali di riduzione del carico di gas-serra in atmosfera (in gergo Nationally Determined Contributions, o NDC); 
  • riferire regolarmente al Segretariato dell’UNFCCC sui progressi fatti in termini di riduzione delle emissioni nette di gas-serra (che tengono conto anche degli assorbimenti di gas-serra dalla stessa, per esempio, da parte delle foreste), in base a principi di trasparenza e responsabilità; 
  • predisporre un inventario globale dei gas-serra ogni cinque anni per valutare i progressi collettivi verso gli obiettivi dell'Accordo di Parigi; 
  • fornire informazioni e dati trasparenti sul livello di sostegno finanziario ai Paesi in via di sviluppo. 

Altri importanti temi del PAWP discussi a Katowice includevano il riconoscimento degli sforzi di adattamento dei Paesi in via di sviluppo e la cooperazione volontaria ai sensi dell'articolo 6 dell'Accordo di Parigi, che prevede l’impiego di approcci di mercato (market-based) e non di mercato (non-market based) per il raggiungimento degli obiettivi. 

Due mesi prima della COP24 era stato approvato il riassunto per i decisori politici d’un rapporto speciale dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), l'organismo globale dei più importanti scienziati del clima del mondo.  Il rapporto, noto come Special Report of Global Warming of  1.5C, ha lanciato un caveat alla comunità internazionale  sulle conseguenze e sui rischi per il pianeta di non stare sotto un riscaldamento globale di 1,5° C sopra la temperatura media del pianeta ai tempi della rivoluzione industriale, inclusi lo scioglimento dei ghiacciai alpini e polari, l’innalzamento del livello dei mari, la maggiore frequenza, intensità, estensione degli eventi estremi, la distruzione delle barriere coralline e la devastazione di molte specie.

Gli esiti di Katowice

I Paesi hanno affrontato la maggior parte degli elementi, approvando un documento per mettere in pratica l'accordo di Parigi del 2015. Ciò include il modo in cui i governi misureranno, riferiranno e verificheranno i loro sforzi di riduzione delle emissioni, elemento chiave per assicurare che tutti i Paesi siano tenuti a standard adeguati per evitare svincolarsi dai loro impegni.

I Paesi hanno affrontato e risolto una parte degli elementi spinosi del PAWP, fondamentale per mettere in pratica l'Accordo di Parigi. In particolare si è trovato un accordo sul modo in cui i governi misureranno, riferiranno e verificheranno i loro sforzi di riduzione delle emissioni.  Ciò è senz’altro positivo poiché assicurerà che tutti i Paesi siano tenuti a utilizzare standard omogenei e renderà più difficile il non rispetto degli impegni.

A parte ciò, l’accordo della COP24 ha lasciato che sia la prossima COP a risolvere molti altri temi fonte di attriti fra le Parti, tra cui la questione annosa di come considerare i progetti per la riduzione della deforestazione e della degradazione delle foreste (e quindi dei gas-serra)  finanziati dai Paesi ricchi. Il Brasile, ricco di foreste e al tempo stesso primo Paese per livello di deforestazione, aveva introdotto una formulazione che secondo alcuni conteneva scappatoie che avrebbero consentivano un doppio conteggio dei crediti di carbonio, compromettendo gravemente l'integrità del sistema. Proprio su questa questione è emersa in maniera netta il nuovo corso del Brasile in questo trattato internazionale.  In passato il Brasile è stato un sostenitore affidabile dei colloqui, specialmente ai tempi della presidenza Lula, e aveva avuto un ruolo chiave nella mediazione tra il mondo sviluppato e quello in via di sviluppo. Senza quel supporto in futuro, i colloqui potrebbero diventare molto più complicati.  Per iniziare, la conferenza del prossimo anno sarebbe dovuta svolgersi in Brasile, ma si svolgerà in Cile perché il neo-presidente del Brasile, Jair Bolsonaro, ha ritirato l'offerta di ospitare la prossima conferenza. 

Tra le questioni che hanno ostacolato il progresso c'è quella - altamente tecnica - di cosa dovrebbe accadere al mercato dei crediti di carbonio, sviluppato in alcuni Paesi (tra cui quelli dell’UE) in riconoscimento dei loro sforzi di riduzione delle emissioni di carbonio.

Gli Stati Uniti hanno accettato l'accordo di Katowice, nonostante la decisione dell’amministrazione Trump di abbandonare l'accordo di Parigi. Questo lascia ben sperare sulle possibilità che Washington possa cambiare idea e rimanere nell'Accordo di Parigi (o per un futuro diverso Presidente di rientrare nell’Accordo di Parigi). Per le norme che regolano i trattati internazionali, gli Stati Uniti non potranno formalmente ritirarsi dall’Accordo di Parigi, che l’amministrazione Obama aveva sottoscritto, prima della fine del 2020

Sul fronte del finanziamenti, ci sono state poche nuove offerte da parte del mondo ricco a favore dei Paesi in via di sviluppo per aiutarli a ridurre le emissioni e adattarsi agli effetti dei cambiamenti climatici.  Anche questa questione è stata posticipata a futuri colloqui. 

Gli osservatori hanno detto che i negoziatori degli Stati Uniti hanno lavorato costruttivamente dietro le quinte con la Cina sulle regole di trasparenza. I due Paesi erano stati a lungo in disaccordo perché la Cina aveva insistito su diverse regole di rendicontazione per i paesi in via di sviluppo, mentre gli Stati Uniti preferivano regole coerenti e parità di condizioni di contabilità delle emissioni di gas-serra e volevano che tutti i Paesi fossero sottoposti allo stesso controllo esterno.

A metà della conferenza, un aspro dibattito sulla scienza del clima, con l'amministrazione Trump al centro, ha minacciato di far deragliare i negoziati. É successo che la maggior parte delle delegazioni ha voluto appoggiare formalmente lo "Special Report of Global Warming of 1,5C°", pubblicato agli inizi di ottobre da parte dell’IPCC, la massima autorità scientifica sui cambiamenti, secondo cui—per avere sufficienti margini di sicurezza di stabilizzare la temperatura media globale sotto 1,5°C di riscaldamento del pianeta, in moda tale da evitare gravi rischi climatici—sia necessario dimezzare entro 12 anni il livello attuale delle emissioni di gas-serra e portarlo a zero entro il 2050. Viceversa, gli Stati Uniti, insieme a Russia, Arabia Saudita e Kuwait (non casualmente tra i maggiori produttori di petrolio), a  cui si sono aggiunti nel corso del negoziato prima l’Australia e poi il Brasile, hanno cercato di indebolire il linguaggio della dichiarazione, hanno svolto un ruolo dirompente, tentando di annacquare una risoluzione che avrebbe accolto con favore il recente rapporto dell'IPCC secondo cui un aumento della temperatura di 1,5 °C avrebbe conseguenze nefaste. Il compromesso su un testo riscritto voleva che tutti i paesi “accolgono (welcome) il tempestivo completamento" del rapporto dell’IPCC. Ovviamente molti sostenitori hanno sottolineato che questo testo fosse troppo debole (anche offensivo) perché si riferiva semplicemente alla tempistica della relazione piuttosto che al suo contenuto.  

L’UE e molti altri Paesi sviluppati si sono uniti a numerosi Paesi in via di sviluppo battendosi per evitare un aumento del riscaldamento oltre 1,5° C nei loro sforzi di riduzione delle emissioni di gas-serra.

Considerazioni conclusive

I sostenitori dell'accordo raggiunto sabato hanno detto di essere fiduciosi che le nuove regole aiuteranno a costruire un circolo virtuoso di fiducia e cooperazione tra i Paesi, in un momento in cui la politica globale e multilaterale sembra sempre più disunita e discorde.

Viceversa, molti dei partecipanti alla COP di quest'anno hanno espresso delusione per ciò che considerano come esito debole per far fronte alla crescente crisi climatica. Le emissioni di gas serra sono ancora in aumento in tutto il mondo e milioni di persone stanno affrontando un aumento dei rischi derivanti da gravi siccità, inondazioni e incendi. Quando i leader mondiali firmarono l'accordo di Parigi nel 2015 dissero che avrebbero tentato di limitare l'aumento della temperature media globale a circa 1,5 °C. Ma con il ritmo attuale di crescita delle emissioni globali da combustibili fossili, che continuano ad aumentare ogni anno, il pianeta è rischia di superare questa soglia di temperatura entro 35 anni.

L’accordo trovato dalla COP24 in extra time, quando molti delegati avevano già lasciato i negoziati, serve a tenere in vita l’Accordo di Parigi e l’intero processo negoziale che ruota intorno alla Convenzione ONU sui cambiamenti climatici. Non a molto di più.  

La COP24 ha fallito nel fare proprie le raccomandazioni rivolte alla politica dall’ultimo rapporto dell’IPCC, pubblicato due mesi fa, che dipingeva un quadro molto più disastroso delle conseguenze immediate del cambiamento climatico di quanto si pensasse in precedenza e afferma che per evitare i danni è richiesta una rapida trasformazione dell'economia mondiale. 

Nella città polacca sono emersi i limiti della diplomazia di fronte all’atteggiamento di Paesi come Russia, USA, Kuwait e Emirati Arabi (non casualmente i primi quattro paesi produttori di petrolio), a cui si sono aggiunti Australia e Brasile, che hanno impedito di raggiungere i risultati sperati e di raccogliere il monito della comunità scientifica e in particolare dell’IPCC.

Preoccupazioni sul destino del processo multilaterale arrivano anche dalla posizione timida di tre Paesi chiave: la Gran Bretagna, distratta dalla Brexit; la Francia, alle prese con le proteste dei “Gilet Gialli”; la Germania, alle prese con le proprie difficoltà di abbandonare il carbone.

Alcuni esperti dei negoziati hanno sostenuto che il ruolo delle organizzazioni non-statali (dalle imprese alla finanza) e la crescita di tecniche e tecnologie energetiche e produttive verso forme più pulite e sostenibili farebbero molto di più per superare lo stallo a cui è giunta la politica climatica multilaterale e i complicati trattati internazionali.  Ne sono esempio Paesi come la Cina e l’India, che stanno andando avanti con le energie rinnovabili per ragioni interne, non perché hanno firmato un accordo. Let’s the technology race begin, recitava il titolo di un famoso articolo su Nature.

Che cosa succederà adesso? La prossima COP in Cile dovrà risolvere gli ultimi nodi lasciati irrisolti a Katowice e iniziare a lavorare sui futuri obiettivi di progressivo azzeramento delle emissioni. Ma la tappa decisiva sarà nel 2020, quando i paesi dovranno rispettare la scadenza per i loro attuali impegni in materia di emissioni e produrre nuovi obiettivi per il 2030 e post-2030, possibilmente ascoltando le grida di allarme della comunità scientifica.  La COP del 2020 potrebbe svolgersi in Italia o nel Regno Unito, avendo entrambi espresso l’intenzione di ospitarla. L'intenzione dell’Italia è senza dubbio un segnale positivo di un Paese che intende avere un ruolo sulla scena mondiale, non solo climatica. 

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