SOCIETÀ

Per combattere il razzismo è preferibile minimizzare o valorizzare la diversità umana?

L’articolo di Giovanni Destro Bisol e Marco Capocasa riprende il tema di una polemica che si era sviluppata sul sito Ancitera in seguito a un nostro articolo (di Alessandro Della Corte, Stefano Isola e mio) critico verso gli argomenti portati da diversi decenni contro l’esistenza di razze umane.

Debbo dire innanzitutto che fa piacere constatare che Destro Bisol e Capocasa riconoscono che la polemica si sia sviluppata all’interno di una posizione del tutto condivisa, caratterizzata dall’avversione al razzismo, la completa adesione ai concetti di uguaglianza e solidarietà tra gli uomini e il riconoscimento del valore della diversità. È una premessa essenziale per permettere una discussione serena. 

Il centro della polemica riguarda, a mio parere, l’ultimo dei punti citati, ossia il riconoscimento del valore della diversitàDestro Bisol e Capocasa affermano:

Nessuno studioso serio si sognerebbe di negare l’esistenza di una evidente diversità genetica e fenotipica tra gli esseri umani. Chiunque lo facesse si autocondannerebbe ad essere ridicolizzato, magari dalla prima persona che incontra uscendo di casa.

Destro Bisol e Capocasa evidentemente sottovalutano la campagna martellante in atto da diversi decenni volta a convincere che l’impressione della diversità tra gruppi umani di diversa provenienza geografica sia un inganno dei nostri sensi, da superare per accettare la verità scientifica dell’uniformità. Non c’è da stupirsi: la didattica e, ancor più la divulgazione scientifica, non fanno altro che tentare di convincerci dell’esistenza di una Verità scientifica che nega e contraddice le apparenze sensibili. Uno dei principali libri di divulgazione scientifica italiana degli ultimi anni non si intitola, appunto, “La realtà non è come ci appare”? Questo atteggiamento (che ha certamente nobili antecedenti, da Parmenide a Platone, ma era stato abbandonato dagli scienziati) è stato usato da tempo sul tema della diversità umana. Nel 1994 Jared Diamond (che, oltre a essere un famoso studioso, tra l’altro di antropologia, è anche, a livello mondiale, uno dei principali divulgatori su questi temi) in un famoso articolo intitolato Race without color aveva scritto:

Science often violates simple common sense. Our eyes tell us that the Earth is flat, that the sun revolves around the Earth, and that we humans are not animals. But we now ignore that evidence of our senses. We have learned that our planet is in fact round and revolves around the sun, and that humans are slightly modified chimpanzees. The reality of human races is another commonsense “truth” destined to follow the flat Earth into oblivion.

Secondo Diamond, per aderire alle verità scientifiche, dovremmo rinunciare al senso comune e ignorare l’evidenza dei sensi. Nel caso dell’apparente diversità umana dovremmo quindi rinunciare a credere ai nostri occhi, proprio come nel caso del moto apparente del Sole. Un’accurata analisi delle fallacie contenute nell’argomento di Diamond è nel nostro articolo su https://anticitera.org. Qui mi limito a osservare che i nostri occhi possono dirci solo in che direzione è visto il Sole nelle diverse ore del giorno e nei diversi giorni dell’anno, fornendo un dato essenziale dal quale debbono necessariamente partire tutti i tentativi di formulare una teoria astronomica. Tra le varie possibili teorie coerenti con queste osservazioni è stato preferito l’eliocentrismo perché, oltre a spiegare le osservazioni precedenti, può rendere conto anche di altri fenomeni osservabili con i nostri occhi, come le retrogradazioni planetarie. Purtroppo una didattica antiscientifica e autoritaria chiede spesso di accettare l’eliocentrismo senza motivarlo e suggerendo falsamente che contraddica le osservazioni. 

Venendo ai nostri giorni, nel nostro intervento avevamo riportato un articolo di Dacia Maraini apparso sul Corriere della Sera del 18 gennaio 2018, in cui è scritto, tra l’altro:

La scoperta del Dna oltre tutto ha chiarito molte cose. Se esistessero le razze umane, infatti, ci sarebbe un Dna degli Ebrei, un Dna del popolo zingaro, un altro dei cosiddetti Ariani bianchi e uno dei neri africani. Ma così non è. Tutti gli esseri umani sono dotati dello stesso tipo di Dna. Non esistono razze in senso biologico. Esistono differenze, e moltissime, ma sono storiche, geografiche, culturali, economiche, filosofiche, religiose. Qualsiasi persona informata lo sa.

Le differenze qui riconosciute tra i diversi gruppi umani sono esclusivamente culturali. Dal punto di vista somatico saremmo tutti uguali. L’apparenza della diversità sarebbe falsificata dalla realtà della genetica che ci insegna che tutti gli uomini hanno lo stesso Dna. 

Come mai il maggiore quotidiano italiano ha pubblicato questo articolo senza che nessuno degli antropologi che si dicono impegnati a difendere il valore della diversità umana abbia avuto nulla da obiettare? Se avessero ragione Destro Bisol e Capocasa, Dacia Maraini avrebbe dovuto essere ridicolizzata dalla prima persona incontrata uscendo di casa. Io non lo credo: la maggioranza delle persone è ormai assuefatta a questo genere di argomenti, che sente ripetere da diversi decenni, ed è stata convinta a fidarsi più dei media che dei propri occhi. È questo che vogliamo?

Vediamo ora come Marta Musso, in un articolo pubblicato sull’altro maggiore quotidiano italiano (La Repubblica,16/2/2018), ha divulgato l’iniziativa presa dagli antropologi italiani per contrastare il razzismo. Riporto l’inizio dell’articolo: 

OLTRE il 99%. È questa la percentuale del nostro genoma che condividiamo con qualsiasi altro essere umano. E anche se lo sappiamo da tempo, in troppi sembrano continuare a dimenticarlo. Lo dimostrano le esternazioni di Attilio Fontana, candidato del Centrodestra alle elezioni regionali in Lombardia, che ai microfoni di Radio Padania ha recentemente dichiarato che "la razza bianca è a rischio". E mesi dopo fa riflettere di nuovo l'ondata di razzismo che si è sollevata dopo i fatti di Macerata. Vicende che ci ricordano quanto possano essere pericolosi il risentimento, l'odio razziale e la paura per il diverso. […] Sotto la nostra pelle - hanno ricordato i rappresentanti delle associazioni e società scientifiche degli antropologi italiani - al di là di differenze superficiali come il colore o la forma degli occhi, il grado di parentela con qualsiasi altro essere umano è altissimo. "In epoca moderna nessuno è mai riuscito a dimostrare l'esistenza di razze nella specie umana", spiega Giovanni Destro Bisol, antropologo dell'università La Sapienza di Roma. "La biologia ci racconta piuttosto che siamo tutti molto simili da un punto di vista genetico". 

Mi sembra evidente che qui si esprima l’idea di contrastare il razzismo non valorizzando la diversità, ma, al contrario, affermando che siamo tutti molto simili. I razzisti come Fontana lo sarebbero perché non sanno (o dimenticano) quanti geni uguali abbiamo, dimenticano cioè che la diversità umana è trascurabile. Non sarebbe meglio spiegare che bisogna accettare la diversità? La stretta associazione tra la condanna del razzismo e l’affermazione di Destro Bisol siamo tutti molto simili presuppone implicitamente l’inevitabilità della discriminazione del diverso. Mi sembra una considerazione evidente, anche se stranamente sfugge a Destro Bisol e Capocasa. C’è però una difficoltà: la prima persona incontrata uscendo di casa potrebbe obiettare che basta guardare per accorgersi che non è vero che siamo tutti molto simili. La risposta è chiara ed è la stessa di Diamond e di Dacia Maraini: esiste una realtà superiore a quella sensibile, etichettata come superficiale, nota solo agli scienziati, che in questo caso è rappresentata dal genoma. Siamo tutti simili perché lo siamo dal punto di vista genetico. Non a caso l’articolo inizia riportando la solita percentuale: OLTRE il 99%. È un modo per sottolineare la diversità o l’uniformità della specie umana?

Non si tratta di un’errata interpretazione del pensiero di Destro Bisol da parte di Marta Musso. In una puntata del programma televisivo GEO dedicata al tema “Cos’è la razza?”, Giovanni Destro Bisol ha affermato tra l’altro:

Se esistessero le razze il DNA che cosa ci direbbe? Che ogni gruppo ha un suo DNA separato da quello degli altri […]. Quello che accade è esattamente il contrario: c’è una grande quantità di DNA che viene condivisa. Le stime arrivano fino al 99,9%, un dato veramente molto forte.

Di nuovo l’apparenza della diversità viene contrapposta alla realtà data dai genomi, che mostrano la sostanziale assenza di diversità. Destro Bisol, in quella stessa occasione (oltre a diminuire la diversità genetica umana, esagerando la percentuale dei geni condivisi), ha usato anche un altro argomento per minimizzare l’apparente diversità fenotipica: ha mostrato un’immagine ottocentesca che ritrae individui provenienti da diverse parti del mondo, abbigliati secondo i loro costumi tradizionali. Ha osservato poi che la percezione della diversità è accresciuta dall’abbigliamento, e ciò illustrerebbe il ruolo della cultura nel forgiare il concetto di razza. Dopo poco ha ribadito la superiorità del genotipo sul fenotipo affermando: “la selezione agisce su una porzione molto piccola del genoma, ma crea differenze che sono molto evidenti, come se avesse lavorato molto sull’involucro, ma all’interno c’è questa grande quantità di DNA che ci accomuna tutti quanti”. 

L’idea è chiara: mentre i sensi si limitano all’involucro (ossia agli ingannevoli fenomeni), la scienza permetterebbe di entrare nella vera sostanza delle cose, mostrando la sostanziale unità sottostante l’apparente diversità. 

Sono convinto che questa posizione, anche se sta conquistando consensi crescenti tra gli scienziati, sia profondamente errata da un punto di vista epistemologico. Credo ancora che, come dicevano i Greci, lo scopo delle teorie sia quello di salvare i fenomeni: il concetto di gene è stato elaborato, seguendo questo antico precetto, per spiegare le leggi dell’ereditarietà dei caratteri fenotipici. La diversità somatica tra popolazioni di diversa origine geografica è una caratteristica fenotipica evidente e non ha senso contrapporla, come involucro inessenziale, alla realtà profonda del genotipo. Le teorie servono a spiegare i fenomeni e mai a negarli.

Mi sembra inoltre evidente che se si vuole combattere il razzismo (esigenza che purtroppo diviene ogni giorno più pressante) la migliore strategia non sia quella di associare le posizioni antirazziste alla negazione dell’evidenza osservativa. È davvero così difficile rendersene conto? 

La scelta tra minimizzare o valorizzare la diversità tra i gruppi umani mi sembra il nocciolo duro della polemica. Il discorso sulla parola razza ha un’importanza relativamente minore. Nel loro intervento Destro Bisol e Capocasa assicurano di non volerla eliminare dal vocabolario, ma solo dalla Costituzione. In un intervento precedente Destro Bisol aveva sostenuto che il termine razza poteva essere vantaggiosamente sostituito da popolazione. Poiché il termine popolazione non ha alcuna relazione con le differenze somatiche (popolazioni diverse possono differire solo per caratteri culturali) si tratta evidentemente di un ulteriore strumento usato per minimizzare le differenze somatiche tra i gruppi umani. Lo strano è che, volendo eliminare la parola razza solo dalla Costituzione ed essendo convinti che in ogni caso sia preferibile sostituire popolazione razza, la proposta degli antropologi italiani non è stata quella di effettuare tale sostituzione nell’articolo 3 della Costituzione. Poiché si sono resi conto che in questo modo si sarebbe perso completamente il senso dell’articolo 3, la loro proposta prevede di sostituire il termine razza con lunghe perifrasi in cui la parola razza appare ben due volte (una volta preceduta dall’aggettivo presunto e un’altra volta indirettamente, attraverso il derivato razzismo). Il compianto Tullio De Mauro aveva scritto belle pagine sulla qualità linguistica del testo della nostra costituzione: ogni proposta di modificarlo tende purtroppo a diluirlo, complicarlo e diminuirne la leggibilità.

Tra i punti poco comprensibili ricordo solo la strana richiesta di conoscere la fonte scientifica dell’affermazione che non vi sarebbero differenze tra un giapponese e un pigmeo. Sembra che Destro Bisol e Capocasa non abbiano colto la natura esemplificativa del confronto: se siamo tutti molto simili (come afferma Destro Bisol nell’intervista a La Repubblica) o addirittura le differenze sono solo culturali (come afferma Dacia Maraini sul Corriere della sera) e se bisogna abbandonare l’evidenza dei sensi che ci fa percepire ingannevoli differenze tra gruppi umani (come sostiene, tra i tanti, Jared Diamond), allora bisogna evidentemente negare anche che vi siano significative differenze tra un pigmeo e un giapponese. Per falsificare un’affermazione universale si è liberi di scegliere qualsiasi controesempio: non avrei pensato che fosse necessario chiarire questo genere di nozioni di logica elementare. 

Gli antropologi (e i non antropologi) che hanno firmato il “manifesto della Diversità e dell’Unità umana” hanno finora oscillato tra la valorizzazione e la minimizzazione della diversità umana, a seconda delle circostanze e degli interlocutori, ma privilegiando la minimizzazione, soprattutto quando si rivolgono a media di larga diffusione (a quanto appare dagli esempi fatti e dai tanti altri casi qui non citati). Il mio auspicio è che questa lunga polemica possa contribuire a spostare l’equilibrio, in qualcuno di loro, verso l’altra direzione. 

Chi volesse comprendere più in dettaglio la nostra posizione è invitato a leggere gli interventi su https://anticitera.org

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