Giovedì 21 maggio il segretario di stato americano Mike Pompeo ha annunciato il ritiro unilaterale degli USA dal trattato internazionale Open Skies, in vigore dal 1° gennaio 2002; nello stesso giorno anche il dipartimento della difesa ha confermato la decisione del ritiro a partire dal giorno 22 maggio. Il ritiro diverrà operativo fra sei mesi e le parti dovranno incontrarsi entro 30-60 giorni per discutere sulle sue implicazioni.
L’intenzione americana era già trapelata lo scorso ottobre e rientra nell’ostilità della presente amministrazione americana rispetto a ogni vincolo legale internazionale.
Il trattato copre quasi tutta l’Europa, incluse l’Ucraina, la Bielorussia, la Russia e la Turchia, oltre al Canada, la Groenlandia e gli Stati Uniti. Il trattato prevede un regime di voli di osservazione aerea disarmati per promuovere la prevedibilità e la stabilità strategica: i partecipanti hanno volontariamente aperto il proprio spazio aereo su base reciproca, consentendo il sorvolo del loro territorio al fine di rafforzare la fiducia e la trasparenza rispetto alle loro attività militari a riassicurazione che nessuno stia pianificando una grave offensiva contro un altro.
Particolarmente importante per garantire operatività e continuità alle operazioni previste dal trattato la commissione consultiva per i cieli aperti (OSCC) che conduce i suoi lavori per consenso in riunioni plenarie mensili presso la sede dell’OSCE a Vienna.
Nel contesto del trattato sono stati effettuati circa 1.500 voli di osservazione, un centinaio all’anno: in particolare 70 della Russia sugli USA e 200 degli USA sulla Russia, incluse delicate missioni nel 2014 dopo l’annessione russa della Crimea e nel 2018 quando i russi sequestrarono tre navi ucraine e i loro equipaggi nel Mar Nero.
Come per ogni trattato internazionale, anche Open Skies non è stato perfettamente rispettato, in particolare a seguito del raffreddamento dei rapporti fra i paesi occidentali e la Russia. A partire dal 2017 negli USA si sono andate intensificando le critiche anche a questo trattato, sostenendo che possa essere di interesse solo per la Russia, dato che l’osservazione satellitare americana fornisce informazioni superiori a quelle aeree permesse dai “cieli aperti”.
Va osservato che se il trattato può essere di maggior interesse per la Russia rispetto agli USA, date le minori capacità tecnologiche, esso svolge un cruciale ruolo di garanzia di sicurezza anche per tutti i paesi europei, e contribuisce a creare una situazione di trasparenza e di stabilità nel nostro continente. Il comunicato di Pompeo tiene conto di questo interesse degli alleati, senza il quale “gli USA sarebbero usciti già da tempo”, precisa che essi sono stati consultati e assicura che gli USA forniranno loro immagini raccolte con i propri mezzi satellitari. Lo stesso 22 maggio è previsto un incontro della NATO per discutere il destino del trattato, che ovviamente potrebbe continuare a valere fra i paesi rimanenti; è tuttavia difficile che la Russia sia disposta ad accogliere missioni da parte dei paesi europei della NATO se le viene preclusa ogni osservazione sugli Stati Unti.
Mentre le motivazioni adottate nell’ottobre scorso per il ritiro americano erano la violazione russa del trattato, Pompeo usa ora accuse ben più gravi: ”Mosca risulta utilizzare le immagini raccolte con Open Skies a supporto di una nuova dottrina russa aggressiva mirante a bersagliare infrastrutture critiche negli USA e in Europa con munizioni convenzionali guidate con precisione. Invece di usare il trattato Open Skies come un meccanismo per migliorare la fiducia e la confidenza attraverso la trasparenza militare, la Russia ha di fatto trasformato il trattato in un’arma rendendolo uno strumento di intimidazione e minaccia.”
Questo innalzamento dei toni, da violazione di un trattato per il rafforzamento della fiducia reciproca a minaccia armata alla sicurezza americana, può essere strumentale per convincere gli alleati a seguire gli USA nell’affossamento di un altro strumento di controllo degli armamenti, ma certamente rientra nel conflitto fra il presidente americano e il Congresso, relativamente ai suoi poteri costituzionali in termini di rescissione di trattati ratificati dal Senato americano.
Il Congresso nella sezione 1234 degli National Defense Autorization Acts per il 2020 ha posto delle precondizioni all’amministrazione Trump per il possibile ritiro dal trattato Open Skies, chiedendo in particolare che i segretari di stato e della difesa presentino congiuntamente, sei mesi prima dell’annuncio del ritiro, alle pertinenti commissioni parlamentari una notificazione che il ritiro sia nel massimo interesse della sicurezza nazionale e che gli altri partner siano stati consultati. Chiaramente un ritardo di sei mesi allungherebbe ulteriormente la vita del trattato con la possibilità che sia il nuovo presidente americano a dire l’ultima parola. L’amministrazione Trump invocando la questione di sicurezza nazionale ritiene di poter ignorare la prescrizione parlamentare aprendo un conflitto costituzionale con il Congresso.
Questa prova di forza esercitata su un trattato non cruciale per la stabilità nucleare mondiale si annuncia propedeutica alla manifesta intenzione di Trump di non estendere il ben più cruciale trattato di limitazione delle armi strategiche New START, che altrimenti verrà a cessare il prossimo 5 febbraio. L’amministrazione americana richiede per la sua conservazione il coinvolgimento della Cina, che non è parte del trattato bilaterale Russia-USA e non intende farne parte.
Il New START è l’ultimo accordo rimasto a limitare gli armamenti nucleari russi e americani, con precise forme di controllo reciproco, e la sua cessazione nella presente tesa situazione di duro confronto fra Cina, Russia e Stati Uniti in un panorama internazionale di molteplici conflitti fra paesi con armi nucleari ci esporrebbe a un rischio nucleare analogo a quello esistente nei momenti più tesi della guerra fredda.