SOCIETÀ

Cosa contiene il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici

I dati rilasciati dal sistema di monitoraggio europeo Copernicus a inizio gennaio hanno confermato che il 2023 è stato l’anno più caldo che la civiltà umana abbia mai vissuto. Temperature più alte si sono esperite solo più di 125.000 anni fa. La media si è assestata a +1,48°C rispetto al periodo pre-industriale, ma pressoché tutta la seconda metà dell’anno ha superato 1,5°C, sforando addirittura i 2°C a metà novembre. Tutti i giorni dell’anno sono invece stati stabilmente al di sopra di 1°C: non era mai successo da quanto si monitora il clima.

Carlo Buontempo, direttore di Copernicus, ha commentato che “gli eventi estremi osservati negli ultimi mesi forniscono una testimonianza drammatica di quanto lontano siamo dal clima in cui la nostra civiltà si è sviluppata”. L’accordo di Parigi richiede agli Stati di ridurre le emissioni per restare al di sotto di 2°C, possibilmente 1,5°C, soglie oltre le quali il funzionamento di società ed ecosistemi verrebbe compromesso da un clima a cui semplicemente non sono adattati.

Secondo il World Economic Forum, i primi quattro posti dei maggiori rischi che il mondo corre nei prossimi 10 anni sono occupati da eventi meteorologici estremi, impatto del cambiamento climatico sul sistema Terra, perdita di biodiversità e collasso ecosistemico, carenza di risorse naturali. Ogni Paese dovrà fare la propria parte non solo per mitigare il riscaldamento globale, ma anche per adattarsi ai cambiamenti già avvenuti e ormai irreversibili.

Dopo anni di attesa, a inizio gennaio il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica (Mase) ha approvato il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc). Il testo è puntuale sull’analisi scientifica dell’andamento climatico in Italia, passato e futuro, ma non lo è altrettanto sul fronte operativo: in particolare mancano indicazioni precise sui fondi da destinare alle oltre 360 misure elencate.

Per questo occorrerà attendere l’attivazione della struttura di governance, l’Osservatorio nazionale sull’adattamento ai cambiamenti climatici, la cui nascita è prevista entro tre mesi dall’approvazione del Pnacc e che dovrà definire ruoli, responsabilità e priorità delle azioni, oltre ai finanziamenti che le supportano.

Sono tante, dettagliate e fortemente interconnesse tra loro le misure di adattamento di cui l’Italia ha bisogno. Città, trasporti, infrastrutture, patrimonio culturale, produzione energetica (specialmente quella idro e termoelettrica), agricola, ittica, turismo, salute, e ancora foreste, suolo, biodiversità, acque dolci e di mare: non c’è ambito che non venga interessato dai cambiamenti climatici e che dunque deve adattarsi.

“L’Italia, tra i paesi dell’Unione Europea, detiene il triste primato del valore economico delle perdite subite, tra i 74 e i 90 miliardi di euro negli ultimi 40 anni, e tra i 1500 e i 2000 euro pro capite” si legge nel Piano. A fronte di un aumento dei fenomeni meteorologici estremi come alluvioni e siccità che si affiancano agli impatti di lungo termine, con le sue caratteristiche morfologiche peculiari, 8.000 km di costa e una straordinaria biodiversità, l’Italia “rischia di pagare un prezzo altissimo in termini di capacità produttiva, perdita di Pil e di posti di lavoro”. Servono “azioni sistemiche”, riporta il documento, “maggiori incentivi, anche fiscali, per i sistemi di produzione innovativi, sostenibili ed a impatto climalterante ridotto”.

Analisi climatica in Italia

La prima parte del Piano è una sintesi delle conoscenze scientifiche a disposizione sul clima in Italia. Con riferimento al periodo che va dal 1981 al 2010, le analisi climatiche mostrano che le zone soggette a maggiori precipitazioni, soprattutto in autunno, sono Liguria e Friuli-Venezia Giulia. Quelle meno piovose, soprattutto nella stagione estiva sono il Sud e le isole. Tuttavia l’indice di siccità raggiunge i valori più alti nel Nord-Ovest, seguito dal Nord-Est, dove i periodi di caldo durano di più.

Per le proiezioni future, incentrate attorno al 2050 (2036 – 2065), sono stati considerati diversi scenari, così come accade nei rapporti Ipcc: quello a elevate emissioni, uno intermedio e uno di mitigazione aggressiva. In Italia gli aumenti di temperatura previsti saranno leggermente superiori rispetto alla media globale. Rispetto alla fine del XX secolo, la temperatura aumenterebbe di almeno 1°C nel caso più ottimistico, di 5°C in quello peggiore.

La stima delle future precipitazioni è più incerta: con emissioni incontrollate diminuirebbero complessivamente (con una notevole riduzione al Sud e sulle isole e con un leggero aumento al Nord), mentre con emissioni contenute aumenterebbero complessivamente (con un significativo aumento al Nord e una leggera diminuzione al Sud).

Anche la domanda energetica subirà gli effetti del cambiamento climatico. L’aumento della frequenza e dell’intensità delle ondate di caldo (e la riduzione di quelle di freddo) diminuirà la richiesta di riscaldamento e aumenterà quella di raffrescamento.

Tutte le aree marine costiere saranno soggette a un aumento di temperatura rispetto al periodo 1981 – 2010, fino a 2,3°C nell’Adriatico, e il livello delle acque salirà anche di 19 cm nei mari Tirreno, Ligure e Mediterraneo occidentale.

Impatti del cambiamento climatico

L’aumento delle precipitazioni estreme farà sentire i suoi effetti (frane e alluvioni) specialmente al Centro-Nord. La siccità avrà conseguenze prevalentemente sull’agricoltura se sarà severa (dai 3 ai 6 mesi), mentre avrà maggiori impatti idrologici e socioeconomici se sarà estrema (12-24 mesi). Tutto questo interessa la salute pubblica, con mortalità più elevate, ma anche gli ecosistemi, dalla migrazione degli animali alla fioritura delle piante, passando per l’aumento delle specie alloctone, incluse quelle invasive.

Particolarmente colpita è la montagna, sia sul fronte naturalistico sia su quello socioeconomico. I ghiacciai hanno già perso un terzo del loro volume e ancora ne perderanno nei prossimi anni. La minore disponibilità di risorse idriche nel corso dell’anno ha già portato l’Ocse a classificare l’Italia come un Paese soggetto a stress idrico medio-alto.

L’intera regione mediterranea è considerata un hotspot di cambiamento climatico: si trova tra un’area temperata (quella europea) e una arida (il Nord Africa), ha un’estensione ridotta e ha un mare semi-chiuso. Per queste ragioni le risposte biologiche possono essere rapide e l’aumento delle ondate di calore marino potrebbe portare alla mortalità di massa di specie non solo ecologicamente ma anche economicamente importanti, compromettendo la pesca. Ulteriore perdita di biodiversità è attesa anche nei bacini idrici interni.

L’elevato consumo di suolo nella fascia costiera, esposta al moto ondoso e all’innalzamento del mare, mette a rischio non solo molti habitat, ma anche molti insediamenti e attività. Particolarmente soggetti a inondazioni sono e il Nord Adriatico e il bacino del delta del Po, dove il cuneo salino nell’estate 2022 è risalito di 40 km, contribuendo al degrado di suolo, con l’accumulo di sodio e perdita di contenuto organico.

Il 16% delle coste italiane (1291 km) è difeso da processi di erosione, ma molto di più occorrerà fare negli anni a venire. Anche nelle aree interne il rischio è elevato: il 94% dei comuni italiani è a rischio idrogeologico, 8 milioni di persone abitano in aree a elevata pericolosità e se la media europea di perdita di suolo è 2,46 tonnellate per ettaro l’anno, in Italia è 8,77, più del triplo. A minacciare il patrimonio forestale italiano invece, che eppure è in espansione, sono gli incendi resi più probabili e frequenti dal cambiamento climatico.

Per quanto riguarda la produzione agricola, alcune colture potrebbero beneficiare dall’aumento di concentrazione di anidride carbonica in atmosfera, come frumento, orzo e riso (quest’ultimo però necessità di grandi quantità di acqua che non saranno disponibili), mentre riduzioni di resa sono attese per mais, girasole e soia. Vite e olivo potrebbero vedere spostarsi il proprio areale verso regioni più settentrionali. Nel 2050 il calo della produzione agricola potrebbe andare dai 12,5 miliardi di euro annui, nella situazione più ottimistica, a oltre 30 miliardi in quella peggiore. Per il bestiame allevato, le conseguenze negative riguardano sia la produttività sia il benessere animale.

I danni provocati al turismo, montano e balneare quelli più colpiti, vengono stimati in perdite tra i 17 e i 52 miliardi di euro. Con 2°C di riscaldamento globale il calo del flusso internazionale sarebbe del 15%, con 4°C del 21,6%.

Azioni

A fronte di una dettagliata analisi del clima e dei rischi a esso associati, il Piano indica una serie di azioni “sistemiche” e “di indirizzo”, che attendono però la creazione dell’Osservatorio nazionale per essere avviate. Mentre le prime hanno più carattere organizzativo e amministrativo, le seconde sono le vere e proprie misure di adattamento.

Tra le 361 elencate nell’allegato IV ci sono attività di pianificazione forestale, urbanistica e territoriale, di manutenzione, di riqualificazione, ma anche di monitoraggio, di divulgazione e sensibilizzazione. 274 misure (76%) sono definite soft, cioè non strutturali; 46 (13%) sono green, cioè adottano un approccio ecosistemico; mentre 41 (11%) sono grey, cioè interventi infrastrutturali e tecnologici. Tra quelle soft, riporta il Piano, ce ne sono 124 (circa un terzo del totale) che sono considerate “ad alto valore e realizzabili nel breve periodo”.

Si legge anche che “l’agricoltura, gli insediamenti urbani, le foreste e le risorse idriche sono i nodi più significativi della rete poiché su di essi convergono e da essi si diramano un elevato numero di azioni che interessano anche altri settori”.

L’interconnessione è la vera cifra delle misure di adattamento: agendo su un settore si interviene al contempo su altri. “Il settore agricoltura forma un cluster con i settori desertificazione, foreste, ecosistemi terrestri e risorse idriche; il settore insediamenti urbani con dissesto geologico, idrologico e idraulico, risorse idriche, trasporti e zone costiere; infine, il settore risorse idriche forma un raggruppamento con acquacultura, agricoltura, energia, infrastrutture e industrie pericolose, e insediamenti urbani. Queste ricorrenze mostrano una certa importanza delle risorse idriche, nel ruolo di congiunzione tra i settori agricoltura, insediamenti urbani ed energia”.

Finanziamenti

Il Piano ricorda che “l'UE ha fissato un obiettivo di spesa pari ad almeno il 30% a favore dell'azione per il clima, compreso l'adattamento, nell'ambito del quadro finanziario pluriennale per il periodo 2021-2027 e ad almeno il 37% nell'ambito del dispositivo per la ripresa e la resilienza”. Buona parte dello schema di finanziamento europeo tuttavia “prevede una allocazione dei fondi su base competitiva e dunque l’attribuzione è incerta e sottoposta alla condizione di uno sforzo particolare per la presentazione di candidature qualitativamente eccellenti”. In altri termini, spetterà in gran parte a enti pubblici (locali o nazionali), organizzazioni e soggetti privati presentare richieste di finanziamento per mettere a terra le misure di adattamento.

Tra i fondi europei sfruttabili ci sono il Programma LIFE, il Fondo europeo per lo sviluppo regionale, il Fondo sociale europeo, Urban Innovative Actions, Horizon Europe, la Pac (Politica agricola comune).

A livello nazionale ci sono i Programmi operativi nazionali (Pon), che però “sono solo indirettamente collegabili all’adattamento”. Vengono poi menzionati il Piano nazionale per la ricerca 2021 – 2027, il Fondo sviluppo e coesione. A livello regionale ci sono i Piani operativi ragionali (Por).

Governance

Tra gli organismi che formano l’Osservatorio nazionale, oltre al Comitato (16 membri per lo più di nomina ministeriale) e alla Segreteria, c’è il Forum, che garantirà “il coinvolgimento dei portatori di interessi e della società civile nell’implementazione delle politiche pubbliche sull’adattamento ai cambiamenti climatici” e che si appoggerà a una Piattaforma sviluppata dall’Ispra, disponibile da ottobre 2022, che serve a “informare, sensibilizzare e rendere disponibili dati e informazioni provenienti da diverse fonti, utili a supportare gli Enti coinvolti nel processo decisionale sul tema dell’adattamento”.

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