SOCIETÀ
La nuova bozza del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici
Alluvione di Vicenza, 2010
“Adattamento significa anticipare gli effetti avversi dei cambiamenti climatici e adottare misure adeguate a prevenire o ridurre al minimo i danni che possono causare oppure sfruttare le opportunità che possono presentarsi. Esempi di misure di adattamento sono modifiche infrastrutturali su larga scala, come la costruzione di difese per la protezione di persone o strutture dall’innalzamento del livello del mare, e cambiamenti comportamentali, come la riduzione degli sprechi alimentari da parte dei singoli”.
Verso la fine dell’anno scorso sul sito del ministero dell’ambiente è stata resa disponibile una nuova versione, aggiornata appunto a dicembre 2022, del Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC).
Ne esisteva già una bozza risalente al 2018, che tuttavia non era ancora mai stata approvata. “Un Piano nazionale è sottoposto a diversi passaggi, nel caso specifico c’è stata una revisione della Conferenza Stato-Regioni e poi si è avviata la Valutazione Ambientale Strategica” spiega Paola Mercogliano, climatologa di Fondazione CMCC (Centro Euro-Mediterraneo per i Cambiamenti Climatici) che ha coordinato la stesura del secondo capitolo del Piano dedicato alle analisi del quadro climatico nazionale.
“Il PNACC è un piano molto complesso che riguarda moltissimi settori”, dalle aree marine alla montagna, dal turismo all’agricoltura, dal dissesto idrogeologico alla tutela degli ecosistemi e della biodiversità, dalla gestione delle risorse idriche a quella del patrimonio culturale, passando per settori quali trasporti, energia e salute. Ciascuno di questi necessita di una programmazione che tenga conto degli impatti del cambiamento climatico, “che ormai, è evidente, non può venire semplificato con un mero aumento delle temperature” commenta Mercogliano.
Il 2022 è stato un anno che in Italia ha lasciato il segno: la siccità prolungata, il crollo del seracco dal ghiacciaio della Marmolada, le alluvioni che hanno investito le Marche prima e l’isola di Ischia poi. Non è più pensabile affrontare tali emergenze solo quando presentano un conto tanto salato quanto drammatico, tendenza che il nostro Paese ha troppo spesso mostrato di avere.
“Il fatto di non avere ancora un piano nazionale nella sua versione definitiva non è una scusa per non fare l’adattamento. Piani di adattamento regionali e locali esistono già” ricorda Mercogliano. “Il PNACC serve a dare coerenza a questi piani” in modo tale che non vengano date risposte disomogenee a un problema comune, analogamente a quanto è avvenuto nelle prime fasi della pandemia da Covid-19.
“Naturalmente l’adattamento che va fatto in un territorio magari non vale per un altro, è una materia molto complessa. Il Piano nazionale però servirà, tra le altre cose, a individuare un organismo di governance che, ad esempio, potrebbe supportare la regolamentazione sull’utilizzo dell’area condizionata durante l’estate a livello nazionale, che deve essere diverso però nelle varie aree a seconda delle condizioni climatiche e del contesto”. Lo stesso ragionamento vale per la gestione delle risorse idriche o del riscaldamento invernale, così come per la pianificazione delle aree verdi urbane.
Alcuni documenti già approvati infatti indicano alcune direttrici fondamentali entro cui il PNACC dovrà muoversi. Tra questi c’è la Strategia italiana di lungo termine sulla riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra, adottata nel gennaio 2021 e che già prevede una complessiva riduzione della domanda nazionale di energia, un’accelerazione delle rinnovabili e un potenziamento delle superfici verdi. Un altro è il Piano per la Transizione Ecologica approvato a marzo 2022, che annovera proprio l’adattamento ai cambiamenti climatici tra i suoi cinque macro-obiettivi.
Il PNACC invece si pone quattro obiettivi specifici: oltre a definire una governance nazionale per l’adattamento, intende mettere a sistema il quadro delle conoscenze sugli impatti dei cambiamenti climatici e definire le modalità di inclusione dei principi, delle azioni e delle misure di adattamento nei Piani e Programmi nazionali, regionali e locali per i settori d’azione. In tutto ne sono stati individuati 361, riuniti in 5 macro-categorie: informazione, processi organizzativi e partecipativi, governance, adeguamento e miglioramento di impianti e infrastrutture, soluzioni basate su servizi ecosistemici. Inoltre, si legge nel documento, il piano mira a definire modalità e strumenti settoriali e intersettoriali di attuazione delle azioni di adattamento ai diversi livelli di governo.
Tra queste azioni, come ricorda Mercogliano, è prevista l’istituzione di un Osservatorio nazionale per l’adattamento ai cambiamenti climatici. “L’istituzione di un osservatorio è un elemento estremamente innovativo per la governance dell’adattamento, che non c’era nella versione precedente del documento. Servirà a tenere il passo mano a mano che evolveranno i dati, le conoscenze, la legislazione e le richieste dei territori. Stiamo sviluppando modelli sempre più dettagliati, fino a 2 km di risoluzione, che conto verranno utilizzati dal nuovo osservatorio”.
Un’altra novità importante è rappresentata dalla pubblicazione, a ottobre scorso grazie a una collaborazione tra ministero dell’ambiente e ISPRA, della Piattaforma nazionale sull’adattamento ai cambiamenti climatici. Si tratta di un portale finalizzato a informare e sensibilizzare i cittadini sulla tematica dell’adattamento e a rendere disponibili dati e strumenti utili a supportare la Pubblica Amministrazione nei processi decisionali. “La sfida più grande è coinvolgere tutti, davvero tutti. È triste che si parli di adattamento solo quando ci sono eventi estremi, anche la cittadinanza deve esigerlo ed essere parte attiva del processo”.
Oggi il testo del documento è stato sottoposto all’attenzione di regioni e comuni per raccogliere i commenti di chi l’adattamento lo dovrà realizzare concretamente e per capire se la nuova versione del piano soddisfa le richieste di modifica fatte in precedenza. La speranza è che nel corso di quest’anno venga approvato nella sua forma definitiva.
La complessità del lavoro cui ha partecipato il team della climatologa del CMCC è resa da un esempio: “nel 2017 facemmo un’analisi climatica per macroregioni, perché si pensava fosse più utile ragionare in questi termini. Molte Regioni però non si sono riconosciute e abbiamo affrontato il lavoro con un approccio diverso, includendo anche gli scenari di incertezza e tenendo insieme i risultati di una quarantina di modelli”.
L’adattamento richiede un sistema di monitoraggio continuo e puntuale e il nuovo osservatorio nazionale servirà a coordinare queste attività. “Dobbiamo produrre dati che serviranno a trasformare la società: servono scenari adeguati per prendere decisioni” sottolinea Mercogliano. “Dai commenti alla prima versione del PNACC è emersa l’esigenza di aumentare gli indicatori climatici, che nell’ultima versione sono 26” e contenuti nell’allegato 1.
“È estremamente difficile valutare la vulnerabilità di molti settori in termini quantitativi, una vulnerabilità non solo ambientale ma anche ad esempio sul fronte dell’educazione. E su questo c’è ancora da lavorare” ammette Mercogliano. “Ciononostante proprio grazie al supporto, tra gli altri, di ISPRA e CreiamoPA, ovvero di chi lavora nella pubblica amministrazione e deve gestire gli impatti del cambiamento climatico, credo siamo riusciti a trasformare i risultati della scienza e della ricerca in strumenti utili alle amministrazioni”.