SCIENZA E RICERCA

Covid-19: per chi si ammala un rischio maggiore di complicanze cardiovascolari

Secondo uno studio condotto su un ampio campione di persone negli Stati Uniti e pubblicato su Nature Medicine, chi contrae Covid-19 anche in forma lieve ha un rischio maggiore di andare incontro a complicanze cardiovascolari, fino a 12 mesi dopo la diagnosi di positività, rispetto a chi non si ammala.

Fin dal primo anno di pandemia, si è visto che in alcuni pazienti anche a distanza di mesi permangono sintomi di varia natura – più o meno debilitanti – che, di volta in volta, possono interessare l’apparato respiratorio, cardiovascolare, muscolo-scheletrico, gastrointestinale, o manifestarsi a livello cognitivo, neurologico o psichiatrico. È la cosiddetta sindrome post Covid, o long Covid, che vari gruppi di ricerca a livello internazionale stanno studiando, per meglio definirne le caratteristiche biologiche, epidemiologiche e di prevalenza. È questo lo scopo per cui anche l’Istituto superiore di Sanità ha recentemente avviato il progetto Analisi e strategie di risposta agli effetti a lungo termine dell’infezione Covid-19 (Long-Covid), che permetterà di monitorare gli effetti a lungo termine della patologia per accrescerne le conoscenze e uniformarne la gestione clinica a livello nazionale.

In questo contesto, gli autori dell’articolo pubblicato su Nature Medicine, hanno condotto un’indagine sistematica sulle possibili complicanze che possono interessare, nello specifico, il sistema cardiovascolare. Dei risultati abbiamo parlato con Cristina Basso, professoressa di anatomia patologica all’università di Padova, direttrice dell'unità operativa complessa Patologia cardiovascolare dell’azienda ospedale - università di Padova e membro del Consiglio direttivo della Società italiana di Cardiologia.

Intervista completa a Cristina Basso, Consiglio direttivo della Società italiana di Cardiologia. Montaggio di Elisa Speronello

Lo studio

Utilizzando i database sanitari nazionali del Department of Veterans Affairs degli Stati Uniti, i ricercatori hanno confrontato una coorte di 153.760 pazienti sopravvissuti a Covid-19 (risultati positivi tra l’1 marzo 2020 e il 15 gennaio 2021) con due gruppi di controllo: una coorte di 5.637.647 persone che non hanno contratto Covid-19 durante la pandemia e una coorte di 5.859.411 soggetti, i cui dati risalivano a un periodo in cui il virus ancora non circolava. Ebbene, gli autori dello studio hanno rilevato che chi contrae Covid-19 ha un rischio maggiore di complicanze cardiovascolari, tra cui cardiopatie ischemiche, insufficienza cardiaca, malattia tromboembolica, disturbi cerebrovascolari, aritmie, cardiopatie infiammatorie e altri disturbi cardiaci. Per dare qualche numero a titolo di esempio, il rischio di avere un ictus si è dimostrato maggiore del 52%, del 72% quello di avere un’insufficienza cardiaca.  

I ricercatori sottolineano che l’incremento del rischio cardiovascolare in chi si ammala di Covid-19 è evidente indipendentemente da età, razza, sesso e fattori di rischio come l’obesità, l’ipertensione, il diabete, la malattia renale cronica o l’iperlipidemia. Ed è evidente anche in persone senza alcuna malattia cardiovascolare prima dell'esposizione a Covid-19.

Se questi sono i risultati, gli autori non si esimono dal sottolineare però anche alcuni limiti dello studio. Sottolineano per esempio che la composizione demografica della coorte (in maggioranza maschi bianchi), potrebbe limitare la generalizzabilità dei risultati dello studio. È possibile inoltre che alcune persone abbiano contratto Covid-19, ma non siano sottoposte a tampone: queste persone sarebbero state arruolate nel gruppo di controllo e, se presenti in gran numero, potrebbero aver distorto i risultati. I set di dati, infine, non includono informazioni sulle cause di morte.

Dati importanti, ma quali le cause?

Quelli illustrati sono risultati importanti, secondo Cristina Basso. “Si tratta di dati sicuramente inoppugnabili dal punto di vista statistico. Il problema è capire perché si verificano queste complicanze anche a lungo termine e se si può fare qualcosa per prevenirle”. Dall’analisi dei dati bisogna dunque passare a capire qual è la fisiopatologia, l’etiopatogenesi, per poter prevenire tali complicanze.

Sulle possibili cause che stanno alla base dell’aumentato rischio di contrarre malattie cardiovascolari dopo Covid-19 la docente osserva: “Ricordiamoci che i meccanismi del danno cardiovascolare in acuto non sono ancora tuttora chiari, noi stessi abbiamo condotto degli studi proprio nei pazienti deceduti da Covid-19. È, però, dimostrato che le possibilità sono molteplici. La prima ipotesi, che era quella più ovvia, è che il virus entrasse nelle cellule del cuore e che potesse dare un danno virus-diretto: di fatto è stato dimostrato che non è così, ma è l’eccezione che conferma la regola. Sono più frequenti invece un danno endoteliale, attraverso il recettore dell’enzima di conversione dell’angiotensina (Ace), un problema dell’attivazione del complemento, dell'attivazione delle coagulazione associata al complemento, tant'è vero che uno dei problemi maggiori è anche l’aumentato rischio di trombosi vascolare, di tromboembolia polmonare in questi pazienti. Abbiamo lavorato tanto con studi multidisciplinari per capire i meccanismi sottostanti il danno in acuto, ora c’è da lavorare per capire il danno nella fase sub-acuto cronica, ma queste sono le ipotesi più credibili”.

Continua la docente: “Accanto a un danno diretto del virus, che può persistere anche nelle settimane e nei mesi successivi, potrebbe esserci l’attivazione di una risposta infiammatoria cronica, l’attivazione di una risposta autoimmunitaria per cui, per una specie di mimicry (mimetismo) tra il virus e autoantigeni, si potrebbe attivare una risposta contro i nostri stessi antigeni: lo stesso meccanismo che è stato chiamato in causa nella fase acuta persiste, quindi potrebbe essere la causa del danno a lungo termine. E poi di nuovo l’attivazione del complemento, di cui parlavo prima, e l’aumento generale delle citochine infiammatorie, per cui c’è uno stato pro-infiammatorio che persiste al di là della fase acuta”.

Cristina Basso evidenzia inoltre che Covid-19 genera soprattutto un danno polmonare, un danno respiratorio: “Nell’articolo su Nature Medicine non vedo la correlazione con il danno polmonare propriamente detto. I ricercatori sostengono che non influiscono i fattori di rischio, ma più severa è stata l’infezione Covid-19 in questi pazienti, maggiore è il rischio di avere queste complicanze cardiovascolari, quindi verrebbe quasi spontaneo pensare che forse anche il grado di compromissione polmonare che questi pazienti hanno avuto secondariamente poi si ripercuota sul cuore. Ad esempio, il ventricolo destro che pompa il sangue a livello polmonare potrebbe avere una disfunzione ventricolare che persiste nei mesi successivi”. L'unica categoria più esposta a patologie cardiovascolari, dunque, sono i pazienti che sono stati colpiti in maniera più severa dall'infezione da Sars-Cov-2, con una compromissione respiratoria e sistemica importante.

L’importanza della prevenzione

Un altro aspetto, preso in considerazione nello studio su Nature Medicine, su cui si sofferma Cristina Basso, è la relazione con i vaccini. Poiché alcuni vaccini contro Covid-19 potrebbero infatti essere associati a un rischio molto raro di miocardite o pericardite, i ricercatori hanno valutato se la somministrazione del vaccino influisse in qualche modo sull’aumentato rischio di contrarre patologie cardiovascolari dopo Covid-19, con esisto negativo. “Sarà ora interessante vedere – sottolinea la docente – se ammalarsi di Covid-19 dopo essere stati vaccinati, contraendo dunque una malattia lieve, previene queste complicanze cardiovascolari. Ed è intuibile che sia così, dato che chi ha un’infezione meno severa ha un rischio inferiore di contrarre malattie cardiovascolari. Dunque sarà sicuramente interessante anche valutare l'efficacia del vaccino non solo per prevenire l'infezione, le complicanze respiratorie serie, ma anche per prevenire eventuali complicanze cardiovascolari nei mesi e negli anni successivi”.

Le conseguenze di un incremento del rischio cardiovascolare

Gli autori dell’indagine pubblicata su Nature Medicine non si esimono dal sottolineare le implicazioni che derivano dai risultati ottenuti: complicanze cardiovascolari erano già state descritte nella fase acuta di Covid-19, ma lo studio dimostra che il rischio di malattia cardiovascolare si estende ben oltre la fase acuta. “In primo luogo – scrivono i ricercatori –, i risultati evidenziano la necessità di continuare a ottimizzare le strategie di prevenzione primaria delle infezioni da Sars-CoV-2; ciò significa che il modo migliore per prevenire il long Covid e la sua miriade di complicazioni, compreso il rischio di gravi sequele cardiovascolari, è prevenire l’infezione da Sars-CoV-2, in primo luogo”.

In secondo luogo, il crescente numero di persone con Covid-19 potrebbe tradursi, secondo gli scienziati, in un gran numero di persone con possibili problemi cardiovascolari. “I governi e i sistemi sanitari di tutto il mondo dovrebbero essere preparati ad affrontare il probabile significativo contributo della pandemia di Covid-19 a un aumento del carico delle malattie cardiovascolari. A causa della natura cronica di queste condizioni, esse avranno probabilmente conseguenze di lunga durata per i pazienti e i sistemi sanitari e avranno anche significative implicazioni sulla produttività economica e sull'aspettativa di vita”.

In proposito Cristina Basso sottolinea che le patologie cardiovascolari sono da sempre la principale causa di mortalità e morbilità nella popolazione. “In Italia il 44% dei decessi è legato proprio a malattie cardiovascolari e la cardiopatia ischemica, l'infarto miocardico, è al primo posto. Se si confermasse il dato riportato nello studio, che mi sembra abbastanza inconfutabile, secondo cui i soggetti che escono da un’infezione da Covid-19 sono caratterizzati da un’aumentata incidenza di scompenso cardiaco, e delle altre complicanze che abbiamo visto, è chiaro che rischiamo di aumentare ulteriormente i pazienti che hanno bisogno di assistenza, di terapia cardiovascolare”.

La docente ricorda che durante la pandemia, durante la prima e la seconda ondata in particolare, si è assistito a una chiusura obbligata di alcuni ambulatori e strutture dedicate al follow up dei pazienti con patologie cardiovascolari (ma anche oncologiche). Questo ha portato a un ritorno al passato in termini di mortalità e morbilità, perché è mancato un controllo sanitario dei pazienti. Ciò va assolutamente evitato, secondo Cristina Basso, perché si tratta di malattie croniche che hanno bisogno di follow up, di eventuali aggiustamenti della terapia, o inizi di terapia. Per questo è importante che pneumologi e cardiologi monitorino i pazienti che hanno contratto Covid-19. “Vanno potenziate sicuramente le strutture sanitarie per prevenire le complicanze cardiovascolari e trattarle in maniera adeguata e tempestiva, perché il problema delle malattie cardiovascolari è che non si può aspettare, ma vanno trattate subito

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012