SOCIETÀ

Covid-19 e libertà di migrazione

Il governo italiano, come sappiamo, ha varato e fatto pubblicare in Gazzetta ufficiale due importanti decreti legge che affrontano la cosiddetta seconda fase dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 nel nostro paese. Nei prossimi mesi regoleranno l’organizzazione sociale delle ampie riaperture (quello di sabato 16 maggio, il numero 33) e il sostegno finanziario per il rilancio economico (quello della tarda serata di martedì 19 maggio, il numero 34). I due lunghi articolati hanno avuto un complicato iter di concertazione e, nel caso della cosiddetta fase 2, le regioni hanno lungamente discusso e concordato le formulazioni anche del Dpcm e degli allegati firmati il 17 maggio. Ora è iniziato l’iter parlamentare e le due camere avranno tempo fino a circa metà luglio per la definitiva conversione delle due leggi in un testo (in parte nuovo) approvato da entrambe.

Le regioni fra di loro e i vari ministeri nazionali hanno molto discusso se dovessero essere indicate nel testo di legge date uniche e principi base unitari per la libertà di movimento in tutto il paese. Come noto, appare evidente che l’attuale situazione sanitaria non è identica fra Lombardia e Sardegna, fra Piemonte e Puglia, fra Veneto e Campania; presumibilmente non lo sarà nemmeno il 3 giugno e forse nemmeno durante l’estate. Inoltre, come evidente nei primi giorni di parziale ampia riapertura, gli effettivi comportamentali sociali consentiti da un maggior grado di libertà cambiano molto fra costa e montagna della stessa provincia, fra quartiere e quartiere della stessa città, fra gruppi di cittadini di differenti professioni e passioni, età e disagi. Sembra che lo stesso presidente della Repubblica abbia sottolineato l’importanza di norme nazionali valide per tutti sincronicamente, pur con possibilità di modulazioni regionali ed eventuali successive restrizioni localizzate. E così opportunamente è stato. Nel Dpcm sono state lasciate solo le questioni amministrative, tutti gli aspetti inerenti la casistica dei diritti e delle libertà individuali (degli eguali cittadini italiani) sono state inseriti nel decreto legge di promulgazione presidenziale e conversione parlamentare.

L’articolo uno del primo decreto sulle cosiddette riaperture contiene almeno un paio di formulazioni molto rilevanti dal punto di vista costituzionale, in particolare rispetto alle libertà di movimento e di migrazione previste dalla Dichiarazione Universale dei Diritti umani e dalla nostra stessa Costituzione, come qui si era già iniziato a osservare in relazione alle limitazioni intervenute per oltre due mesi nella cosiddetta fase 1 dell’emergenza . Salvo una eventuale recrudescenza della pandemia in singole aree, gli italiani riacquistano un ampio grado di libertà di movimento e di migrazione. “A decorrere dal 18 maggio 2020, cessano di avere effetto tutte le misure limitative della circolazione all’interno del territorio regionale di cui agli articoli 2 e 3 del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, e tali misure possono essere adottate o reiterate, ai sensi degli stessi articoli 2 e 3, solo con riferimento a specifiche aree del territorio medesimo interessate da particolare aggravamento della situazione epidemiologica… A decorrere dal 3 giugno 2020, gli spostamenti interregionali possono essere limitati solo con provvedimenti adottati ai sensi dell’articolo 2 del decreto-legge n. 19 del 2020, in relazione a specifiche aree del territorio nazionale, secondo principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio epidemiologico effettivamente presente in dette aree… A decorrere dal 3 giugno 2020, gli spostamenti da e per l’estero possono essere limitati solo con provvedimenti adottati ai sensi dell’articolo 2 del decreto-legge n. 19 del 2020, anche in relazione a specifici Stati e territori, secondo principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio epidemiologico e nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea e degli obblighi internazionali.”

Da giugno dunque non esisteranno più limitazioni a provvisorie emigrazioni e immigrazioni: nei 27 paesi europei (compresa per poco anche la Gran Bretagna) si dovrebbe poter viaggiare con la nostra carta identità, in circa altri 120 Stati del mondo con il nostro passaporto, nei restanti ricevendo un visto. Eppure, non sarà così! La libertà di movimento all’estero non la decide l’Italia. Il movimento e la migrazione internazionali sono fenomeni asimmetrici. Il concetto di asimmetria viene definito come una mancanza di corrispondenza o di proporzione fra due o più parti di una stessa configurazione o distribuzione, di uno stesso evento. Il fenomeno migratorio è asimmetrico in sostanza perché implica un duplice (almeno) fattore luogo, consiste da circa diecimila anni in un doppio fenomeno, l’emigrazione da un ecosistema o un luogo umano «confinato» e l’immigrazione in un differente ecosistema o in un altro luogo umano «confinato», due fenomeni collocati in contesti residenziali differenti, con  motivazioni e gradi di libertà, capacità e opportunità, diritti e doveri che impattano asimmetricamente su origini e destinazioni del movimento, specie in presenza del costituzionalismo interstatuale moderno e contemporaneo. 

In Italia si è comunque appena deciso che dal 3 giugno si potrà di nuovo andare e venire fuori e dentro i confini di ogni regione (rispetto ad altre regioni italiane) e della stessa nazione (rispetto agli altri Stati), con le opportune definite cautele, controlli, verifiche. La sincronia di date per l’Italia non altera la diacronia di date in Europa e nel diritto internazionale. Questo dobbiamo averlo chiaro. Il nostro decreto legge non può imporre il diritto di entrare in un altro Stato e già alcuni Stati della stessa Unione Europea, considerando l’emergenza dal loro punto di vista, hanno stabilito che, per ora e anche dopo il 3 giugno, dall’Italia non si potrà arrivare per entrare nel loro paese, ammesso che italiani vogliano o debbano pensare di partire. Altri paesi possono vietare ai loro cittadini di dirigersi verso determinati Stati considerati pericolosi (anche verso l’Italia). C’è un aspro negoziato in corso e la fantasia giuridica bilaterale e multilaterale si sta esercitando con multiforme retroterra sanitario scientifico. Accordi bilaterali sì o no, black list di paesi di destinazione o provenienza, passaporti sanitari per turisti e aree autoproclamantesi Covid-19 free, quarantene obbligatorie appena usciti da dove o entrati dove (non necessariamente reciproche), tracciamenti tramite app (che rischiano di valere solo dentro i confini nazionali), flussi solo o prevalentemente immateriali, sentiremo parlare a lungo di norme ed espedienti.

Oltre che asimmetrico il movimento internazionale e il fenomeno migratorio sono pure diacronici, implicano un duplice (almeno) fattore tempo e, per quanto rapidi siano divenuti gli spostamenti fisici negli ultimi secoli, non c’è mai piena sincronia ecologica, sociale, economica, culturale. I flussi sono diacronici in sostanza non solo perché (come gran parte dei fenomeni fisici) hanno cause ed effetti sfalsati nel tempo ma soprattutto perché fra quando iniziano e quando provvisoriamente finiscono può accadere di tutto. Pure un singolo unidirezionale cambio di provvisoria residenza è una doppia avventura (sociale), in uscita e in entrata, ben prima che diventi davvero emigrazione e a prescindere che termini come un’immigrazione. Non esistono ovunque a esempio gli stessi diritti e doveri nel lavoro, tantomeno lo stesso Statuto dei lavoratori. E con focolai e curve della pandemia faremo i conti per molti mesi anche se adotteremo in grandissima maggioranza un’etica della responsabilità di movimento. Un’analoga etica della responsabilità deve riguardare le migrazioni forzate: la pandemia non blocca chi è costretto a fuggire, dai paesi che lo perseguitano, dalle zone di guerra, dalle catastrofi climatiche e geomorfologiche, dai campi dove si esercita violenza o non vi sono adeguate protezioni dal contagio. Chi è in fuga va accolto dove arriva, anche in Italia se del caso, rispettando le regole della protezione umanitaria e della ricollocazione europea, combinate con quelle dell’emergenza sanitaria. Vedremo quanto è accaduto nel 2019 in occasione della giornata mondiale del rifugiato il prossimo 20 giugno 2020, un quadro che pure non potrà tenere conto di quanto avvenuto nei primi mesi del 2020 (qui per il 2017 e 2018).

Sappiamo la ragione principale che ha suggerito all’Italia quella urgente formulazione del decreto e non riguarda chi potrebbe voler uscire ma chi dovrebbe poter entrare. Il nostro cruciale comparto turistico ha assoluto bisogno che non diminuisca troppo l’apporto di arrivi dall’estero. Alcuni di quei paesi hanno stabilito anche che in Italia non si può neanche venire, tuttavia non c’è automatismo fra le due scelte. Il mondo era pieno di Stati con differenti regole di entrata e uscita rispetto allo stesso Stato di riferimento e rispetto ai differenti Stati, ben prima dell’attuale pandemia. I passaporti possedevano e possiedo pesi diversi e i visti addirittura qualche divieto preventivo. Tutto ciò si è accentuato per comprensibili ragioni sanitarie con la diacronica diffusione planetaria della malattia Covid-19. All’inizio l’epicentro era la Cina, poi è divenuta l’Europa, poi gli Stati Uniti, ora le Americhe, in futuro potrebbe toccare all’Africa, ma i paesi di tutti i continenti sono già stati toccati o travolti, misure di contenimento della libertà di movimento hanno riguardato con tempistiche proprie ben oltre la metà degli umani sulla terra. La pandemia resterà a lungo un fenomeno diacronico, almeno fin quando non ci sarà un vaccino gratuito o a basso costo disponibile per i sette miliardi e settecento milioni di umani sul pianeta.

Non ogni movimento internazionale è cambio di residenza per almeno un anno (ovvero migrazione), lo sappiamo. Per una lunga fase sarà complicato riannodare i fili del lavoro, del turismo, dello studio in paesi diversi dal nostro anche senza trasferirsi lì a lungo. Ne soffriremo. Quando valutiamo esperienza e credibilità di un epidemiologo o di un virologo il fatto che abbia a lungo soggiornato in laboratori e università stranieri è titolo di merito. Vale anche reciprocamente, pensiamo ad altre professionalità, come quelle degli sportivi o dei musicisti stranieri che apprezziamo nei nostri luoghi dello spettacolo e della cultura. La libertà internazionale di movimento è cruciale per vivere meglio a questo mondo. Il protezionismo esasperato ci protegge anche da qualcosa che ci serve o piace. La socialità non si ottiene a distanza. Probabilmente per lungo tempo vere e proprie migrazioni (emigrazioni e immigrazioni) saranno quantitativamente poche, comunque meno delle percentuali precedenti la pandemia. Non è una buona notizia per tutti noi, noi meticci chiusi nelle nostre nazioni, comunque meticce, quelli che siamo oggi per genere età competenza professionalità disabilità ironia, per beni prodotti merci emissioni inquinamenti diseguaglianze materie prime, non staremo meglio. Dovremo riparlarne approfonditamente e forse approntare nuovi modelli di socialità fra sapiens. Resta il fatto che fortunatamente restano operativi ovunque i due patti internazionali che l’Onu ha definito e approvato a dicembre 2018, i due Global Compact, «on Refugees» e «for Migration», in vigore ovunque per gestire quelle libere e impedire quelle forzate da una parte, garantire minime regole bilaterali per emigrazioni e immigrazioni dall’altra parte.

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