Giovedì prossimo, 20 giugno 2019, è la giornata mondiale del rifugiato, la si celebra in tutto il mondo: il fatto che il governo italiano abbia deciso di chiudere i porti ai migranti forzati che partono dal Nord dell’Africa non significa che i rifugiati siano diminuiti. Moriranno di più nel deserto, resteranno chiusi più a lungo nei lager libici, moriranno di più nel Mediterraneo, scompaiono dalla vita o alla nostra vista, ma continuano a essere tanti e in pericolo, all’interno dei confini del loro paese d’origine o lungo l’accidentato percorso internazionale della fuga. Come ogni anno, nel pomeriggio di mercoledì, la struttura Onu preposta alla tutela dei rifugiati cosiddetti politici (quelli discriminati per ragioni di razza, religione, identità sessuale, opinioni politiche, guerra civile) renderà noti i dati statistici relativi all’anno passato, il 2018. Rileggiamo quelli precedenti.
Il rapporto annuale Global Trends dell’Unhcr «traccia» la situazione delle migrazioni forzate basandosi su dati forniti dai governi, dalle agenzie partner incluso l’Internal Displacement Monitoring Centre (Idmc), e dai rapporti dell’organizzazione stessa. Complessivamente nel 2017 c’erano nel mondo circa 68,5 milioni di persone forzate a migrare (rispetto ai 65,6 milioni del 2016, 65,3 del 2015 e ai 59,5 milioni del 2014). Il totale comprendeva 5,4 milioni di rifugiati palestinesi sotto il mandato Unwra (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East), 19,9 milioni di refugees sotto il mandato appunto dell’apposita agenzia Onu Unhcr (erano 17,2 nel 2016, l’incremento maggiore), per due terzi provenienti da 5 paesi (Siria, Afghanistan, Sud Sudan, Myanmar, Somalia), per l’85% ospitati nei paesi in via di sviluppo; 3,1 milioni di persone in attesa di decisione sulla richiesta d’asilo in paesi industrializzati (2, 8 a fine 2016, 3.2 milioni a fine 2015); 40 milioni di persone (nel 2015 40.8, nel 2016 40,3) costrette a fuggire dalla propria casa ma che si trovavano ancora all’interno dei confini del loro paese, gli internally displaced people, coloro che sono profughi all’interno del proprio Stato, anche per ragioni ambientali e climatiche (a seguito di disastri “naturali”).
“ Siamo intorno ai 70 milioni di profughi globali
La Giornata internazionale del rifugiato fu indetta dalle Nazioni Unite nel 2000, questa è la ventesima, si celebra il 20 giugno per commemorare l'approvazione nel 1951 della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati (Convention Relating to the Status of Refugees) da parte dell'Assemblea generale. Nel frattempo, la stessa Assemblea ha approvato a fine 2018 i due importanti Global Compact, quello per migrazioni ordinate, sicure e regolari è in vigore nonostante l’Italia non vi abbia aderito. Giovedì si svolgeranno migliaia e migliaia di manifestazioni in tutto il mondo, centinaia in Italia.
La situazione quantitativa non dovrebbe essere migliorata nel 2018, siamo intorno ai 70 milioni di profughi globali. In genere, pochi leggono per intero i report dell’Onu, ci si limita a riportare e commentare la breve scheda dei dati fornita come riassunto. Eppure così si rischia di non capire bene. Nel 2017 solo per circa 5 milioni (sugli oltre 65) era stato possibile «tornare a casa», quasi tutti fra gli Idp. Lo status di rifugiato, la condizione di vita (mortificante) in un “rifugio”, o campo profughi o centro amministrativo di raccolta, tende a durare molto a lungo nel tempo. I palestinesi di oggi sono figli di figli di figli di rifugiati, non hanno mai smesso quello “status” forzato da 70 anni, restano tali da generazioni e generazioni. Molto oltre la metà dei Refugees ufficiali è tale da oltre 10 anni, in parte restano richiedenti per vari anni (la durata del periodo senza risposta cresce in Europa e in Italia). Vedrete: le cifre saranno più o meno le stesse anche per il 2018, medesimi i paesi d’origine (legati alla geopolitica internazionale, alle dittature e ai conflitti armati), persistenti le dinamiche interne (perlopiù accolti e ristorati in paesi poveri confinanti).
“ Di fronte a tutto questo il governo Conte-Salvini-Di Maio chiude i porti
Dunque, circa 70 milioni di migranti forzati avranno ancora una volta visto non rispettato (da comportamenti umani più o meno consapevoli) il diritto di restare dove sono nati e cresciuti. Vi sono interi popoli perseguitati in fuga, come i Rohingya, milioni di persone, immensi campi profughi. Vi sono, inoltre, altri migranti forzati non contemplati dalle statistiche, sia nel passato che nel presente, sia internazionali che interni, sia nei paesi di maggiore emigrazione più libera che nei paesi di maggiore immigrazione poco libera.
Esistono infatti molti profughi ambientali e climatici arrivati oltre il confine del proprio Stato (spesso per disastri più lenti e meno repentini, come l’innalzamento del mare e la desertificazione); individui colpiti da disastri più piccoli non presi in considerazione dall’organizzazione che contabilizza morti, dispersi e senzacasa; delocalizzati forzati senza coinvolgimento delle comunità interessate, al di fuori di procedure legali; vittime di “internal displacement” per cause non contemplate nei Guiding Principles on Internal Displacement; perseguitati che non chiedono asilo per le più svariate ragioni; migranti forzati “clandestini” (vittime di traffico di corpi e organi, di prostituzione, di schiavitù); quanti sono drammaticamente morti durante la persecuzione, prima di arrivare al confine o di poter chiedere asilo, lungo il transito (a esempio nel Sahara o nel Mediterraneo), nei campi profughi.
Di fronte a tutto questo il governo Conte-Salvini-Di Maio chiude i porti. Da mesi assistiamo a continui bracci di ferro fra le navi che raccolgono i disperati prima che affondino e gli imposti divieti di ingresso, transito, sosta. In queste ultime ore abbiamo seguito le immagini dell’arrivo al confine delle acque territoriali italiane della Sea Watch definita dal Ministro dell’interno “nave pirata” e bloccata di fronte a Lampedusa con 52 migranti a bordo (dieci sono potuti scendere per ragioni sanitarie grazie ai medici dell’isola).
Eppure a dicembre l’Italia ha votato a favore del Global Compact on Refugees; eppure il comma 3 dell’articolo 10 della nostra Costituzione consente di dare asilo a chiunque veda lesi diritti e libertà propri dei nostri concittadini; eppure l’Onu e l’Unione Europea non considerano sicuri i porti libici; eppure vige un diritto internazionale del mare a garantire chi è in pericolo di vita; eppure il sistema di Dublino è stato criticato dall’Unhcr ma il governo italiano non ha più fatto nulla per cambiarlo (anzi è alleato con i governi sovranisti che non vogliono cambiarlo, risultando molto negativo solo per i paesi di frontiera mediterranea, tanto che molti “dublinati” arrivano di continuo in aereo dalla Germania); eppure ormai dal 2017 gli italiani (anche minori) emigrati all’estero sono più degli immigrati in Italia; eppure il primo decreto sicurezza approvato ha aumentato l’insicurezza e fatto divenire irregolari migliaia di migranti, molti dei quali forzati (e mercoledì 19 la Corte Costituzionale inizierà a esaminare i ricorsi presentati); eppure il secondo decreto sicurezza è stato criticato ancora dall’Unhcr perché mettere multe a chi salva vite viola i diritti umani.
Chissà se, in vista del 20 giugno, le autorità italiane capiranno di dover cambiare atteggiamento? Qualche giorno fa il Presidente della Repubblica Mattarella è intervenuto sull'importanza del soccorso in mare. "L'Italia è collocata dentro il mare e la sua dimensione marittima è ineliminabile. Per questo l'azione della Marina è fondamentale: è l'azione che garantisce la sicurezza del nostro Paese, dei suoi mari e delle sue coste sotto ogni profilo: la sicurezza in generale, il mantenimento della pace, la sicurezza della libertà di navigazione e dei commerci, la sicurezza delle infrastrutture, il salvataggio di vite umane - in questi anni con molta intensità - ha reso prestigio al nostro Paese”. Non tutti lo ascoltano. Per altro, il governo passa da un insuccesso all’altro: non ha cambiato di una virgola l’atteggiamento degli altri paesi europei e non ha attivato gli sbandierati rimpatri forzati (che anzi sono diminuiti da quando è entrato in carica).
E, fortunatamente, molti sbarchi continuano, mantenendo dunque un poco di onore e prestigio agli italiani e alle italiane. Nel 2019 già oltre mille e cinquecento migranti sono comunque approdati dal sud nel nostro paese, quasi 800 nel solo mese di maggio, la maggior parte a Lampedusa ma non unicamente lì. L’hotspot dell’isola è pieno per due terzi. Non esistono solo gli sbarchi delle coraggiose Organizzazioni non governative, arrivano anche barche più piccole senza clamore. Sono numeri più bassi rispetto agli anni precedenti, certo. Quando una rotta è resa difficile si muore o si cambia rotta, visto che non si può cambiare l’urgenza di partire. Vedremo giovedì 20 se sarà proporzionalmente diminuito il numero dei profughi, è sulla loro pelle che si stanno sperimentando politiche di formale chiusura.