SCIENZA E RICERCA

Covid-19, produttività della ricerca e parità di genere: cosa dicono i dati


“La prossima persona che twitta su quanto fosse produttivo Isaac Newton mentre lavorava da casa riceve mio figlio di tre anni!”
Così recitava un tweet di Sam Giles, diventato virale il 12 marzo 2020, in un giorno particolare per l’Italia: il primo giorno di lockdown per la pandemia da Covid-19, un lockdown che si è protratto fino a inizio maggio con diverse forme di restrizione. Tra lavoro da casa e scuole di ogni grado chiuse, la vita di molte famiglie ha dovuto raggiungere un nuovo equilibrio che ha rivelato criticità a cui prima del lockdown non si dava così tanta attenzione. 

Il 17 aprile 2020 Alessandra Minello dell’Università di Firenze inizia infatti ad aprire una questione con un articolo su Nature dal titolo The pandemic and the female academic. La ricercatrice inizia a interrogarsi su quali siano gli effetti del lockdown sul “muro materno” (“maternal wall”, come lo definisce nell’articolo): inizia cioè a chiedersi se il lavoro da casa abbia lo stesso peso per uomini e donne che vivono sotto lo stesso tetto. 

A maggio 2020, sempre su Nature esce un articolo firmato da Guliana Viglione che riporta alcune prime analisi di dati sull’effetto che le condizioni di lavoro dettate dal lockdown hanno avuto sul lavoro delle donne in ambito academico. Are women publishing less during the pandemic? mostra come, dai primi dati analizzati, sembra esserci stato un calo in termini di pubblicazioni sottomesse e di nuovi progetti avviati da parte delle donne, se confrontato con i dati riferiti agli uomini. Sempre in quel periodo è uscito un ulteriore lavoro firmato da Philippe Vincent-Lamarre, Cassidy R. Sugimoto e Vincent Larivière dal titolo The decline of women's research production during the coronavirus pandemic che presenta risultati già mostrati o previsti dai lavori precedenti: sembra proprio che durante il lockdown ci sia stato un calo di produttività per le ricercatrici rispetto a quanto avvenuto per i ricercatori.

I lavori di maggio 2020 presentano studi su scala globale e comprensivi di diversi ambiti di ricerca e, insieme al lavoro della dott.ssa Minello, hanno rappresentato uno spunto per un lavoro successivo, pubblicato su Nature Astronomy il 5 novembre 2020 dalla dott.ssa Laura Inno del Dipartimento di Scienza e Tecnologia dell’ Università degli Studi di Napoli Parthenope e dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) di Napoli, Alessandra Rotundi sempre del Dipartimento di Scienza e Tecnologia dell’ Università degli Studi di Napoli Parthenope e dello IAPS-INAF di Roma e Arianna Piccialli, del Royal Belgian Institute for Space Aeronomy a Bruxel, in Belgio.
Il loro lavoro si intitola Covid-19 lockdown effects on gender inequality e si concentra sull’analisi di dati relativi alla sottomissione di articoli da parte di donne nel campo della ricerca astronomica in Italia. Il risultato principale del lavoro è che nel primo semestre del 2019 si è registrato un calo di pubblicazioni del 6% per le donne, mentre per gli uomini è stato registrato un aumento del 6%.

Perché in questo contesto si parla di “calo di produttività” e cosa riflettono questi dati?
Ne abbiamo parlato insieme a Laura Inno, una delle autrici dell’ultimo lavoro uscito sull’argomento.

Da quale campione siete partite per la vostra analisi e come avete raccolto i dati?

Con le mie collaboratrici condividevo l’interesse ad approfondire la questione della disparità di genere che stava emergendo dai lavori precedenti al nostro riguardo la produttività nel campo della ricerca a seguito delle restrizioni mese in campo con la pandemia da Covid-19. Così abbiamo deciso di approfondire il tema con un’analisi dettagliata di dati raccolti per un campione specifico. Ci siamo innanzi tutto focalizzate sui dati relativi alla ricerca italiana per due ragioni principali: lockdown e provvedimenti non sono stati uguali in tutto il mondo e non sono stati applicati nello stesso momento, quindi per un’analisi più precisa e attendibile abbiamo preso un campione che non presentasse disomogeneità si partenza, e inoltre in Italia è facilitata l’attribuzione del genere agli autori di pubblicazioni accademiche nonché l’accesso ai dati relativi agli autori e alle autrici delle pubblicazioni stesse. Abbiamo poi circoscritto l’analisi alla ricerca in campo astronomico perché, almeno in Italia, come riportano i report sulla distribuzione di donne e uomini nella ricerca (come il recente rapporto del Consiglio Universitario Nazionale - CUN), la percentuale di donne è più alta rispetto ad altri settori (si aggira intorno al 30%) e questo ci ha permesso un margine di analisi migliore, e in più avevamo a disposizione diversi database di settore: i dati del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (il MIUR), ma anche quelli dell’INAF ad esempio. Inoltre abbiamo preferito circoscrivere una prima analisi dettagliata a un solo settore anche perché la parità (o meno) di genere non è la stessa in tutti i settori, come il report stesso del CUN mostra. Una volta definito il campione abbiamo guardato tutti i preprints, cioè gli articoli sottomessi, ad esempio su arXiv, nel primo semestre del 2020 dove il primo nome dell’elenco degli autori era quello di una donna. Abbiamo scelto di analizzare l’intero semestre in modo da comprendere la sottomissione di pubblicazioni durante il lockdown relative a lavori di ricerca dei mesi precedenti, ma anche relative a lavori svolti durante il lockdown stesso.

Come risultato avete ottenuto che, rispetto al primo semestre dei tre anni precedenti (2017, 2018 e 2019) nel 2020 le pubblicazioni firmate da donne hanno subito un calo del 6%. Ve lo aspettavate? 

Il risultato è stato proprio questo. Anzi, andando più nel dettaglio, quello che abbiamo ottenuto è che nel primo semestre del 2017, 2018 e 2019 sono stati sottomessi un numero di articoli totale che andava da 151 a 158, di cui circa il 30% firmato da donne, un dato che ci aspettiamo partendo dal fatto che il 30% circa del personale che si occupa di ricerca in campo astronomico è composto da donne. Nel 2020, però, sono stati sottomessi in generale meno articoli: 144, di cui il 24,3% firmato da donne, quindi il 6% in meno rispetto al primo semestre dell’anno precedente. A questo si aggiunge quindi un altro risultato interessante: che per gli uomini c’è stato invece un aumento di pubblicazioni sottomesse. Le donne hanno pubblicato 16 articoli in meno rispetto al 2019 e 17 in meno rispetto al valore medio (75). Invece gli uomini hanno pubblicato 6 articoli in più rispetto al 2019 e 3 in più rispetto alla media. Quindi, a parità di condizioni lavorative dettate dal lockdown, è stata registrata una disparità di genere.

Come mai, secondo voi, partendo proprio dal presupposto che ricercatori e ricercatrici si trovavano esattamente nelle stesse condizioni, c’è stato questo “calo di produttività”? E c’è qualcosa che secondo voi può essere implementato perché non vengano registrate disparità di questo tipo o perché queste disparità non impattino sulla carriera delle ricercatrici?

Innanzi tutto dobbiamo precisare che quando parliamo di “calo di produttività” nella ricerca collegandolo strettamente al numero di pubblicazioni, ci stiamo attenendo a dei criteri che sono quelli più diffusi ad oggi, in Italia, proprio per valutare il curriculum lavorativo di chi si occupa di ricerca. Le condizioni di ricercatori e ricercatrici sì, erano le stesse durante il lockdown, ma la disparità emersa è lo specchio di quanto emerge da lavori come quello di Londa Schiebinger e Shannon K. Gilmartin dal titolo Housework is an academic issue. Qui sono più piani che si mescolano perché, al piano accademico, legato alla carriera accademica e alla valutazione di questa carriera, si aggiunge il piano della “parità di genere tra le mura domestiche”, che non per forza corrisponde a “discriminazioni dichiarate”, ma che spesso può corrispondere a una distribuzione di tutti quei compiti che riguardano la cura della casa e della famiglia, non “alla pari” tra uomo e donna. Questo nel caso in cui uomini e donne si trovino a lavorare da casa in una condizione come quella vissuta durante il lockdown del 2020, può effettivamente portare a un calo di produttività lavorativa per le donne che avrà effetti sull'andamento della carriera per le donne. Ed è difficile stabilire quale possa essere la soluzione proprio per l’intreccio di piani sociali, culturali e accademici intorno alla parità di genere. Una cosa utile sarebbe di sicuro rivedere gli “indicatori di produttività” slegandoli un po’ dal numero di pubblicazioni e pesandolo su altri parametri.

State proseguendo nelle ricerche relative a questo tema? Avete già qualche nuovo dato?

I nostri studi in questo senso stanno andando avanti e abbiamo registrato una ripresa della produttività delle donne nel secondo semestre del 2020, anche per le diverse restrizioni derivate dalla pandemia da COVID-19. Stiamo anche cambiando il campione di analisi: vorremmo comprendere anche altri Stati e non solo il numero pubblicazioni che per noi sono state un inizio per questo tipo di analisi, ma vorremmo comprendere anche le proposte di progetti di ricerca come quelle che vengono fatte per il programma Marie Curie. Sono tutti dati interessanti quelli che stanno emergendo, dati che possono aiutarci ad avere uno specchio complessivo sulla questione della parità di genere nella scienza che unisca dinamiche accademiche e dinamiche socio-culturali.
 

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