SCIENZA E RICERCA

Crew Dragon: gli Usa tornano nello spazio (ma con l'aiuto dei privati)

Per gli Stati Uniti, presi d’assedio dal coronavirus, il 27 maggio sarà una data storica: dopo 9 anni dalla conclusione del programma Shuttle, dalla storica rampa di lancio di Cape Canaveral partirà (alle 22.32, ora italiana) una nuova missione patrocinata dalla NASA, ed interamente made in USA: la Demo-2, che vedrà protagonista la navicella Crew Dragon. La vera novità è che, per la prima volta, l’agenzia spaziale americana è stata affiancata, nell’organizzazione di una missione con equipaggio, da un’azienda privata – e non una qualunque: la futuristica SpaceX di Elon Musk.

È tutta racchiusa in questo “dettaglio” la grande aspettativa per il lancio, al quale saranno presenti anche il presidente Trump e la First Lady: si tratta, infatti, della prova definitiva con la quale, se tutto andrà bene, Musk potrà dimostrare al mondo di aver definitivamente conquistato il settore dell’industria spaziale. Abbiamo chiesto un commento sull’evento al professor Roberto Ragazzoni, direttore dell’Osservatorio astronomico di Padova.

Professore, quali innovazioni porterà, dal punto di vista tecnologico ed economico, la decisione della NASA di appoggiarsi ad aziende private per la realizzazione di una missione spaziale?

“I due grandi obiettivi dell’attuale ricerca spaziale sono due: da una parte l’implementazione dell’accesso all’orbita bassa, per lo sfruttamento della quale si prevedono grandi sviluppi commerciali; dall’altra l’accesso allo spazio extraorbitale, che è il vero traguardo verso cui i nuovi attori privati si stanno spingendo. È in atto un vero e proprio mutamento culturale: fin dall’inaugurazione del programma dello Space Shuttle vi era chi sosteneva che i viaggi in orbita bassa dovessero essere affidati a privati, e che invece la NASA avrebbe dovuto concentrarsi su progetti più ambiziosi e di frontiera, puntando a raggiungere la Luna e Marte. I privati, oggi, non solo hanno assunto questo ruolo di “camionisti dello spazio” – che comunque ha bisogno di tecnologie molto complesse, in cui il rischio di fallimento è altissimo –, ma lo stanno superando e si orientano verso obiettivi ulteriori”.

Sono sempre più diffuse, in alcuni ambienti, idee transumaniste secondo cui il futuro dell’umanità sarà nella conquista e nella colonizzazione dello spazio: anche Elon Musk si è espresso a favore di una simile soluzione. È possibile che, tra le aspirazioni che spingono grandi aziende come SpaceX, Boeing, Blue Origin e altre ad investire in programmi spaziali, vi sia anche l’influenza di simili visioni del mondo?

“Indubbiamente è un’idea accarezzata da molti visionari, ma è difficile che si realizzi in tempi brevi. Se guardiamo alla storia dell’esplorazione spaziale, notiamo che dopo la conquista della Luna si è verificata una lunga fase di stasi, ed ora ciò a cui principalmente si mira è l’utilizzo commerciale dell’orbita bassa. Sicuramente sul lungo periodo si tenterà di implementare tecnologie che permettano di andare ben oltre l’orbita terrestre, e non è detto che non ci si riesca: dopotutto, 50 anni fa nessuno avrebbe pensato che avremmo raggiunto l’attuale livello di sviluppo, mentre ora siamo alle soglie del turismo spaziale.

A conferma di ciò, basti pensare che uno dei progetti a cui la NASA sta lavorando è la realizzazione di una stazione spaziale cislunare, che dovrebbe costituire una base da cui partire per l’eventuale esplorazione di Marte. La base si chiamerà, non a caso, Artemide, come la mitica gemella di Apollo, il dio che diede il nome alle storiche missioni di allunaggio”.

Quali rischi – se ve ne sono – potrebbe nascondere il processo di “democratizzazione” dello spazio?

“I rischi ci sono, questo è innegabile. Come ogni altra tecnologia, è chiaro che all’inizio si tende a sottolinearne i pericoli e gli aspetti negativi. Nel caso in questione, ad esempio, il crescente numero di satelliti in orbita potrebbe creare un problema di “spazzatura spaziale”, ma già da anni la legislazione internazionale prevede che ogni satellite sia programmato per un deorbiting. Il punto fondamentale è la regolamentazione di questi nuovi fenomeni: bisogna individuare dei limiti entro cui le aziende devono rimanere per evitare che il libero mercato, esercitato nello spazio, degeneri in una situazione caotica”.

La missione Demo-2 è stata presentata come autenticamente americana. Qual è la motivazione geopolitica che ha spinto la NASA ad accelerare il proprio ritorno in orbita in autonomia?

“La vera novità nel panorama geopolitico, dal punto di vista dell’industria spaziale, è la prepotente entrata in scena di molte nazioni emergenti, e in particolare della Cina, che in quest’ambito sta investendo moltissimo. Nei prossimi anni la scena sarà dominata non più soltanto da Stati Uniti e Russia, ma anche dalla Cina. Come è accaduto durante la Guerra Fredda, anche questa nuova competizione potrebbe stimolare la ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica: e una simile prospettiva potrebbe avere conseguenze positive”.

Il lancio sarà visibile in diretta sul canale Youtube della NASA

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