CULTURA

Venezia 82: Un anno di scuola ma tutto quello che conta davvero è irripetibile

Ci sono certe cose nella vita di una persona che succedono una volta sola, e il dramma è che mentre avvengono nemmeno ci pensiamo. In Un anno di scuola, il nuovo film di Laura Samani presentato nella sezione Orizzonti alla 82esima Mostra del Cinema di Venezia, lo capiamo già dalla prima scena, quando la professoressa augura ai ragazzi “buon ultimo primo giorno di scuola”. Una frase che quando hai 18 anni ha poco significato: sei proiettato verso il futuro, e settembre, con l’aria frizzante e l’inizio delle tue ultime lezioni può sembrarti un rituale come tanti, perché non sai ancora che nessun altro giorno sarà più così, nessun gruppo resterà intatto, e tu stai per diventare una persona diversa. Il film di Samani prende questa intuizione e la trasforma in racconto: ogni gesto dei protagonisti, ogni sorriso, ogni sguardo ha il peso delle cose che non si ripeteranno. Il pubblico se ne rende conto, i personaggi no, e questa distanza tra inconsapevolezza e rimpianto è il cuore stesso della narrazione: mentre i personaggi si muovono ignari, lo spettatore già percepisce che il tempo sta scivolando via.

Dal romanzo al film: nasce una storia diversa

Il progetto si sviluppa da una coincidenza curiosa: Laura Samani, durante il lockdown che aveva interrotto le riprese del suo primo film Piccolo corpo, riprende in mano il romanzo di Giani Stuparich Ultimo giorno a scuola, ambientato nella Trieste dei primi del Novecento. Lo legge con occhi nuovi, riconoscendo in quelle pagine la sua stessa esperienza di adolescente: «Volevo raccontare cosa significa essere l’unica femmina in un gruppo di maschi», dirà. Da lì la decisione di trasporre la storia al 2007, un anno che non è scelto a caso.

Il confine come filo rosso

Quello è un anno storico, soprattutto per gli abitanti di una città di confine come Trieste: anche la Slovenia entra nello spazio Schengen, cadono i controlli di frontiera, Facebook non ha ancora trasformato radicalmente le relazioni interpersonali, gli smartphone non hanno ancora fatto il loro ingresso nella nostra quotidianità. Per un gruppo di giovani triestini sono gli ultimi nove mesi “prima di tutto il resto”, gli ultimi nove mesi dall’altra parte del confine che li separa dal mondo degli adulti, gli ultimi nove mesi in cui saranno chiusi, ma nel contempo protetti, nel microcosmo di una classe, che può essere sia una prigione che un rifugio confortevole.

Il desiderio di appartenenza e il conflitto generazionale

La protagonista è Fred (Stella Wendick), diciottenne svedese trasferitasi a Trieste con il padre. Non ha madre, il che significa, come dirà in una scena, che non ha coprifuoco, e gode di una libertà preclusa alle altre ragazze.

Il suo ingresso nell’istituto tecnico maschile è un rito iniziatico. All’inizio viene umiliata: dopo la lezione di educazione fisica i compagni le rubano vestiti e biancheria e lei torna a casa avvolta in un asciugamano senza fare una piega. Al padre che le chiede com’è andata risponde: “Come in un film porno” e lui, con un’ironia ottusa, commenta: “Allora direi bene”. È il primo segnale della distanza: un padre apparentemente complice, ma incapace di comprenderla davvero, come dimostrerà nel momento di crisi. In questa storia gli adulti hanno le migliori intenzioni, ma si percepisce netta la frattura tra due mondi, tra chi conosce la vita ma non ricorda il passato e chi quella vita la vuole divorare ma non ha ancora i mezzi conoscitivi per farlo.

A dominare la classe c’è un trio inseparabile: Antero (Giacomo Covi), studioso e introverso; Pasini (Pietro Giustolisi), istrionico e fragile; Mitis (Samuel Volturno), affidabile e pacifico. Fred conquista pian piano la loro fiducia ed è la prima donna a essere ammessa nel rifugio segreto, la Tana, un edificio abbandonato dove passano le notti a fumare, bere e parlare, in un eterno presente destinato a rimanere parentesi. È un luogo provvisorio, arrangiato alla meglio, ma per i ragazzi è la loro vera casa, dove gli adulti non possono entrare. Il rifugio rappresenta la giovinezza: sembra eterno, ma cosa succederà solo l’anno successivo?

Il cuore emotivo del film è il triangolo che si sviluppa nel gruppo e che rischia di distruggerlo, un po’ alla Jules e Jim. Fred e Antero si avvicinano grazie alla poesia, di cui il secondo è appassionato, e il primo bacio avviene alla frontiera appena abolita tra Italia e Slovenia: l’Europa cambia, mentre loro stanno attraversando due confini invisibili, quello tra adolescenza ed età adulta e quello del giuramento tra i frequentatori della tana: niente legami sentimentali. È una delle immagini più forti del film: la vita privata si intreccia con la storia collettiva, e il passaggio dei ragazzi diventa metafora di un mondo che non sarà più lo stesso.

La relazione di Fred è Antero continua nella Tana:: per lui è la prima volta, per lei no. La sproporzione pesa silenziosa, e fa emergere la fragilità di un amore nato nel momento sbagliato, troppo fragile per durare quando il resto sta per finire, ma troppo intenso per non lasciare cicatrici.

Pasini, l’istrione ferito

Accanto a loro c’è Pasini, il personaggio più tragico, segnato dalla morte del fratello: beve troppo, cerca attenzioni con bravate disperate (arriva a portare un motorino in classe, dice che è quello del fratello morto e che ha paura che glielo rubino).

Il conflitto culmina quando Pasini, vedendo Fred con Antero, si lascia investire da una macchina perché si è innamorato di lei. Finisce in ospedale, e quando gli altri lo vanno a trovare ci scherza su, mandando in crisi Mitis, che se la prende con Fred, che però gli fa notare lapidaria “Guarda che eravamo in due a baciarci”: un altro tema del film è lo squilibrio di genere, perché Fred, per fare parte del gruppo, deve rinunciare a una parte di sè stessa. Entrambi hanno violato il patto, ma nel suo caso è visto come un tradimento più grave.

Tornato a scuola, durante un gioco di gruppo, Pasini fa cadere apposta una velina per pagare pegno e baciarla, lei non si sottrae: un atto senza ritorno che spacca il gruppo e trasforma per sempre l’equilibrio fragile che lo teneva insieme.

L’ostracismo finale

Il gruppo primigenio però è più forte: si ricompone, lasciando fuori Fred, che arriva a scuola e trova sui muri la scritta “Fred troia”. È la condanna definitiva, l’espulsione sociale che la priva del suo posto nel gruppo. Non importa chi l’abbia scritto: il meccanismo di esclusione è scattato e non lascia scampo.

Il linguaggio cinematografico di Samani

In un festival come Venezia 82, che ha messo in dialogo diverse forme di racconto infantile e adolescenziale, Un anno di scuola si distingue per il suo linguaggio discreto. Samani non cerca la spettacolarità, ma costruisce un film che vive di dettagli e non di proclami.

La macchina da presa indugia sui volti, cattura esitazioni più che pose. Ogni inquadratura sembra un appunto più che un manifesto, ma proprio per questo non si stacca dalla memoria. Allo spazio chiuso della classe e della Tana si alternano aperture improvvise con il mare, le montagne e la frontiera slovena che ricordano quanto minuscoli siano i drammi individuali davanti a un mondo che sta per spalancarsi.

Se da una parte sembra di volare verso il futuro come fanno i protagonisti, tranne forse Pasini che è come bloccato, dall’altra si fa largo un senso di perdita: i protagonisti non sanno che stanno vivendo un momento più irripetibile di tanti altri, ma la maggior parte degli spettatori sì: tutti i momenti della vita sono irripetibili, ma in qualche modo alcuni lo sono più di altri.

Le cose che accadono una volta sola

Un anno di scuola non è un film che vuole scioccare: temi forti come il bullismo e il rapporto con gli adulti sono appena accennati, la tragedia di un fratello morto e di un tentato suicidio si stempera amaramente con qualche battuta.

Samani racconta senza enfasi, con delicatezza, e per questo il film lascia un segno, non tanto per la trama, quanto per il senso di perdita che porta con sé. È un film che ci ricorda che la giovinezza non è infinita, ma un fragile intermezzo e che, proprio per questo, non si dimentica più.

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