CULTURA

Il patrimonio criminale dell’umanità

Il mondo occidentale è il mondo dei diritti civili, del rispetto della persona umana, della pace. O almeno, lo è stato negli ultimi ottant’anni.

Questa è la narrazione che abbiamo di noi stessi, con le nostre democrazie, le nostre istituzioni multilaterali, l’universalismo dei diritti. Basti pensare alla Dichiarazione universale dei diritti umani(pdf), approvata dalle Nazioni Unite nel 1948, che si vuole figlia degli europeissimi principi che animarono l’illuminismo, che confluirono nella Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America e che poi, nel 2000, informarono la Carta dei diritti fondamentali(pdf) della neonata Unione Europea.

Questa, però, è solo una parte della storia. Perché questo racconto non menziona come si sia arrivati all’illuminismo, alla Dichiarazione universale dei diritti umani, e a tutto il resto. Cosa accadde prima? Cosa portò il mondo occidentale a maturare questi principi, a sentire il bisogno di dichiarare l’universalità del rispetto per la persona umana?

A porre questi interrogativi “ingenui” e a colmare le lacune che costellano questa versione della storia dei diritti umani ci viene in soccorso un libro, recentemente pubblicato in italiano da Laterza: Una storia criminale del mondo. Colonialismo e diritti umani dal 1492 ad oggi, scritto (magistralmente) da Eugenio Raúl Zaffaroni.

Zaffaroni, argentino, è professore emerito all’università di Buenos Aires, ed è noto come uno dei più rispettati penalisti al mondo. Nel corso della sua carriera, è stato magistrato, ministro della Corte suprema di giustizia argentina, e, recentemente, ha ricoperto il ruolo di giudice della Corte interamericana dei diritti umani (uno dei tre tribunali internazionali incaricati di giudicare gli Stati per la violazione dei diritti umani: gli altri due sono la Corte europea dei diritti dell’uomo e la Corte africana dei diritti dell’uomo e dei popoli).

In Una storia criminale del mondo, Zaffaroni distingue tra una storia “breve” e una “lunga” dei diritti umani. La prima inizia, come abbiamo accennato, intorno alla metà del secolo scorso, al termine della Seconda guerra mondiale, ed è una storia essenzialmente giuridica. Ma – fa notare Zaffaroni – questa storia, che dà per assodata l’universalità dei principi sanciti in quei documenti, non spiega perché essi abbiano dovuto essere riaffermati più volte; perché sia così difficile perseguirne le violazioni; perché, infine, l’affermazione di questi diritti sembra frutto di una “spontanea maturazione spirituale” avvenuta, guarda caso, nel civile Occidente e poi diffusa al resto del mondo “sotto forma di civilizzazione”.

In altre parole, la “storia breve” dei diritti umani propugna una prospettiva etnocentrica che non illumina le cause profonde dell’attuale affermazione di questi principi, e dunque lascia irrisolta la domanda: “Quali avvenimenti della realtà mondiale li hanno indotti a intraprendere questo processo?”.

Un triste connubio

Gran parte del volume è dedicata a scrivere la “storia lunga” dei diritti umani, una storia basata sui fatti, più politica che giuridica, e che prende avvio non nel XVIII secolo, con l’illuminismo, ma piuttosto nel 1492, con l’inaugurazione della stagione del colonialismo europeo. Una delle tesi centrali che Zaffaroni sostiene in questo volume è che quegli stessi crimini che oggi vengono perseguiti a livello internazionale sono stati in realtà commessi “su scala astronomica” soprattutto dagli Stati colonialisti verso altri popoli, e anche all’interno dei propri stessi Stati, e che questo strascico di crimini che punteggia la storia moderna ha lasciato in eredità un “patrimonio culturale criminale dell’umanità” il cui peso nel plasmare il mondo attuale non può essere taciuto.

Se si accoglie questa versione “lunga” della storia, il riconoscimento e la tutela dei diritti umani avviene solo dopo l’orrore dello sterminio nazista, in cui si compirono “contro altri europei i crimini con i quali fino ad allora erano stati vittimizzati solo i colonizzati di pelle scura”. L’orrore di quel massacro organizzato come un processo industriale, afferma Zaffaroni, “fece in modo che le grida delle vittime del Nord rendessero più percettibili quelle del Sud, aprendo lo spazio per l’evoluzione del diritto internazionale che iniziò a prendere forma nel secondo dopoguerra”.

“Affermare che i misfatti del patrimonio culturale criminale dell’umanità siano parte della storia dei diritti umani può sembrare esagerato, ma la verità è che senza di essi non si può comprendere il senso della legislazione né tantomeno le istanze per renderla efficace”, scrive Zaffaroni. Insomma, portare alla luce la “storia criminale” dell’umanità, riconoscendo che la primazia geopolitica e il benessere di cui hanno goduto le società occidentali si basano su secoli di crimini e di profonde violazioni dei diritti degli altri esseri umani, significa restituire giustizia alla lotta per i diritti umani. Questa lotta, secondo il giudice argentino, è sempre stata portata avanti – e lo è ancora oggi, di fronte alle violazioni che continuano a essere commesse sotto i nostri occhi, letteralmente – dai popoli vittimizzati, che hanno resistito a sterminii e genocidi (anche culturali) e hanno continuato a lottare perché le loro voci venissero ascoltate, i loro diritti difesi.

E se i crimini contro l’umanità sono stati motore della creazione del mondo – inteso, come spiega l’autore, come mondo umano, mondo moderno –, alcune nefaste ideologie sono state il terreno di coltura ideale perché il colonialismo si sviluppasse in tutta la sua forza. Da un lato patriarcato e misoginia, tratti caratteristici delle società europee, fondamento di una società gerarchizzata e, dunque, prona alla militarizzazione, che sottometteva sistematicamente più della metà della sua popolazione; dall’altro il razzismo, sviluppato e arricchito ideologicamente nel corso dei secoli per giustificare tramite la superiorità morale, culturale o biologica i crimini commessi verso popoli altri.

Una lunga storia criminale

Zaffaroni propone una disamina cronologica delle varie fasi che, nell’interpretazione dell’autore, hanno scandito il colonialismo occidentale. Le fasi che Zaffaroni individua sono quattro: colonialismo originario, nazionalcolonialismo, neocolonialismo nel mondo bipolare (coincidente con il periodo della Guerra fredda) e, infine, tardo colonialismo finanziario (in cui siamo oggi immersi). Tutte queste fasi sono accomunate da ideologie condivise e, non sorprendentemente, da innumerevoli crimini e una lunghissima scia di sangue – milioni e milioni di morti, che l’autore ricorda senza edulcorare la crudeltà delle pratiche coloniali, definite come “omicidi e genocidi a scopo di furto”.

Quando si tenta di comprendere le radici dell'indifferenza di fronte al genocidio, si incappa, oltre che in stratagemmi per nascondere i fatti, anche in elementi filtrati dalla realtà che generano sensi di colpa e successivi meccanismi di difesa Eugenio Raúl Zaffaroni, "Una storia criminale del mondo"

È particolarmente interessante l’analisi che Zaffaroni offre del colonialismo odierno: un tardo colonialismo finanziario, che prosegue con i suoi crimini nonostante l’avvenuta affermazione (almeno di diritto, se non di fatto) dell’universalità dei diritti umani. Questa forma di colonialismo, contrassegnata dal “consolidamento di un totalitarismo finanziario che dà potere a una plutocrazia mondiale, convalidata dall’odierna tecnologia della comunicazione creatrice della realtà, che tenta di annullare la capacità critica delle stesse maggioranze vittimizzate”, continua a compiere imprese criminali, ma è spesso più capace di dissimularle rispetto al passato. Oggi, infatti, i genocidi continuano, ma sono dei “genocidi goccia a goccia”: genocidi lenti e costanti, che piuttosto che uccidere, preferiscono lasciar morire. Ne è un esempio, non lontano da noi, l’ecatombe quotidiana di persone migranti nel Mediterraneo. Questi genocidi goccia a goccia non avvengono solo tra Nord e Sud, ma anche all’interno di ogni società, colpendo i molteplici “Sud del Nord”.

La manifestazione più lampante di questo colpevole lasciar morire è – denuncia Zaffaroni – la crisi ambientale, frutto di un’insensata depredazione dell’ambiente che “estingue specie animali e vegetali, genera desertificazione e contamina l’acqua e l’atmosfera bruciando i fossili dei suoi antenati biologici”, e il cui negazionismo è “un’istigazione al suicidio della specie in corso di svolgimento”.

Riaffermare i diritti umani, da Sud

Questa storia lunga dei diritti umani vuole contrastare la narrazione ideologica ed etnocentrica che, da secoli, fa di tutto per “cancellare dalla storia le vittime delle violazioni dei diritti umani”. Invece, secondo il giurista, la prospettiva delle vittime, dei resistenti, va valorizzata, perché è grazie alla loro forza che i diritti umani hanno potuto essere affermati ed è grazie alla loro prospettiva – quello che Zaffaroni chiama “lo spirito del Sud” – che la loro tutela potrà essere resa davvero efficace.

Lo spirito del Sud è composto dal variegato insieme di culture e saperi dei popoli colonizzati, che costituiscono, come nota giustamente l’autore, la grande maggioranza dell’umanità. Prendere seriamente in considerazione questo bacino di conoscenze e di visioni del mondo può contribuire a tutelare i diritti umani e persino i diritti non umani: infatti, le culture non occidentali non si basano sulla pretesa di conoscere la natura per dominarla, ma dialogano con essa in modo orizzontale e fraterno. Esse mirano non all’accumulazione della ricchezza ma alla “conservazione delle fonti di vita della comunità”, e per questo si differenziano dalle culture occidentali poiché non sono, a differenza di quelle, “culture suicide”. 

Per garantire l'efficacia di questi diritti è necessario lottare ovunque, all'interno delle istituzioni di ogni Stato, in un esercizio costante e incessante di resistenza che imponga finalmente il passaggio all'essere di questo dover essere. Eugenio Raúl Zaffaroni, "Una storia criminale del mondo"

Oggi, le violazioni dei diritti umani proseguono, e non possiamo delegarne la tutela solo agli organi giurisdizionali. “Lottare ovunque”, soprattutto a livello nazionale, pretendendo che il proprio Stato rispetti i diritti umani, è il dovere dei popoli. E oggi, di fronte alla “plutocrazia finanziaria globale” che muove i fili del tardo colonialismo, questa resistenza locale deve essere pensata su scala planetaria: a questo scopo, afferma Zaffaroni, “il discorso dei diritti umani, data la sua natura globale, è uno strumento particolarmente utile”.

In un’intervista che il giudice ha rilasciato a margine di un evento organizzato da UniTelma Sapienza, a Roma, Zaffaroni ha affermato: “Siamo adesso in una fine d’epoca in cui dobbiamo ripensare questo passato. Come diceva papa Francesco, questo sistema mondiale è insostenibile. E il grande problema della nostra storia e del nostro diritto – un problema non solo storico, ma teorico – è che il nostro diritto positivo trae valore ed efficacia da una norma fondamentale, che nella realtà storica è stata stabilita attraverso un genocidio. Questo mette in discussione la legittimità dei nostri diritti positivi, e mette in discussione anche la lotta per i diritti umani. Oggi è in atto il tentativo di alterare il discorso sui diritti umani, di farne una bandiera che giustifica nuovi crimini contro l’umanità. In nome dei diritti umani si cerca di ammazzare milioni di persone, un’altra volta”.

In quell’intervista, Zaffaroni dice di non avere una soluzione. Eppure, nel volume offre una speranza: un’alleanza planetaria dei popoli di Nord e Sud, insieme, contro lo snaturamento dei diritti umani, che rimangono strumento indispensabile per avere consapevolezza del nostro passato e per costruire, sulla base di questi principi, la nuova epoca che si apre.

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