CULTURA

Daniel Defoe e la grande peste di Londra

“La peste sfidava ogni medicina, gli stessi medici che se ne occupavano e gli uomini che prescrivevano agli altri cosa fare cadevano morti, distrutti proprio dal nemico che dicevano agli altri di combattere”. Così nel 1722 scriveva nella sua History of the Plague in London Daniel Defoe, il celebre autore di Robinson Crusoe. Un romanzo terribilmente realistico sulla storia della grande peste di Londra del 1665: la peggior epidemia di peste in Inghilterra dai tempi della Black Death del 1348.

Londra perse circa il 15% della sua popolazione: in città furono registrati 68.596 morti, ma il vero numero fu probabilmente molto superiore. I primi casi di contagio si verificarono nella primavera del 1665 in una parrocchia fuori dalle mura: St Giles-in-the-Fields. Durante i mesi estivi il tasso di mortalità iniziò ad aumentare e raggiunse la sua punta massima a settembre, quando in una sola settimana morirono 7.165 londinesi. La causa della peste erano le pulci trasportate dai topi, attratti dalle strade piene di spazzatura e rifiuti, soprattutto nelle zone più povere. Quelli che potevano, tra cui la maggior parte della classe dirigente di allora – medici avvocati e commercianti – fuggirono; lo stesso re Carlo II e i suoi cortigiani partirono in luglio per Hampton Court e poi per Oxford. Anche il Parlamento fu rinviato e poté riunirsi soltanto in ottobre a Oxford, così come i tribunali. A Londra rimasero il sindaco, il Lord Mayor, e i consiglieri comunali, tentando di far rispettare gli ordini e di fermare la diffusione della malattia.

Riprese e montaggio di Elisa Speronello

Daniel Defoe nel suo romanzo riporta i provvedimenti presi all'epoca: un tipo di quarantena per molti versi simile a quella che stiamo praticando oggi, con precauzioni come quella di seppellire i morti ad almeno 1,8 metri di profondità, proibire i funerali e chiudere le case dove si erano manifestati casi dell'epidemia. I funzionari delle parrocchie fornivano il cibo ai bisognosi e i cosiddetti “cercatori” prendevano i cadaveri e li portavano di notte nelle fosse comuni. Tutti gli scambi commerciali con Londra e con le altre città colpite dalla peste furono interrotti.

Oggi sappiamo che esistono tre tipi di peste. La maggior parte dei malati nel 1665 fu colpita dalla cosiddetta peste bubbonica, con escrescenze (i bubboni) che si formavano nei linfonodi, sotto le ascelle, all'inguine e al collo; i malati soffrivano tremendi mal di testa, vomito e febbre, e avevano il 30% di possibilità di morire entro due settimane. Questo tipo di peste, come ora sappiamo, dipende da un batterio che si chiama Yersinia pestis, portato da pulci che viaggiano con i cosiddetti topi neri, i black rats, (Rattus rattus). Peggio della peste bubbonica era la peste polmonare, che attaccava i polmoni e si diffondeva attraverso la tosse, il raffreddore e anche la semplice vicinanza a persone infette. Infine c’era la peste setticemica, quando i batteri entravano nel sangue: in questo caso non c'era quasi nessuna speranza di sopravvivenza.

Il numero di vittime della peste continuò ad essere elevatissimo per tutta l'estate e l'autunno del 1665 e solo in inverno il numero delle vittime iniziò a scendere. Per di più l’anno successivo – il 1666 – Londra fu colpita da un’altra catastrofe: un incendio distrusse praticamente tutta la città. Dopo questa doppia catastrofe la capitale inglese si riprese molto lentamente; ci vollero decenni, ma tutto sommato da allora la città non ha più sperimentato epidemie su una scala paragonabile.

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SPECIALE Pandemie nella storia, di Fabrizio Tonello

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