CULTURA

Quanto è difficile essere "giovani" in Italia

Essere “giovani”, in Italia, non è sempre facile. Sei giovane, sei italiano: per definizione, devi essere uno sfaticato, un choosy, un mammone. Per questo, dicono, in tanti casi fatichi a trovare un lavoro. Anche se, magari, con sacrificio, sei arrivato alla laurea studiando durante il giorno e scrivendo i tuoi articoli di notte, con il sogno di diventare giornalista. A vent’anni, magari, sei giornalista per davvero, ma ti rendi presto conto che nessuna testata farà “sul serio” con te e quei quattro soldi che fai non possono bastare per “costruire” la tua vita. Per questo molli tutto, lasci il tuo paese perché non ti sembra di avere alternative. Alla valigia di cartone dei tuoi bisnonni sostituisci un trolley con le rotelle, di quelli di ultima generazione. Parti, in cerca di una soluzione migliore per te, emigri. Sei uno di “quelli che se ne vanno”.

L’ultimo saggio di Enrico Pugliese, Quelli che se ne vanno – La nuova emigrazione italiana (Il Mulino, p. 154), analizza proprio l’attualissimo fenomeno dell'emigrazione dall’Italia. Quella “di cui tutti parlano e [cui] nessuno presta attenzione veramente, forse sperando che sia un fenomeno transitorio”. Il fenomeno, invece, è di tutto rilievo e, come mette in evidenza l’autore, rivela un intreccio profondo che lega gli scenari demografici a quelli economici.

Secondo i dati Istat, tra il 2008 e il 2016 hanno lasciato l'Italia circa 700mila persone. Ogni anno partano sempre più italiani e ne tornano sempre meno. Giovani e meno giovani, persone laureate o solo diplomate, tutte con un unico intento: “crearsi” un futuro.

Questo scenario, già di per sé, dovrebbe far riflettere. Tuttavia, i dati Istat risultano ancor più allarmanti se si tiene in considerazione, come spiega Pugliese, che appaiono sostanzialmente sottostimati. Per fare un esempio: dal 2012 al 2016, secondo l’Istat hanno lasciato l’Italia per la Germania poco più di 60mila persone. Secondo stime tedesche, invece, risultano 274mila, quattro volte e mezzo in più. La spiegazione è presto detta: per la legge italiana non è obbligatorio dichiarare l’espatrio, mentre a Berlino, per lavorare o affittare casa, serve essere iscritti all’anagrafe locale ed avere la residenza. Un altro esempio? Nel 2015 risultano partiti per la Gran Bretagna poco più di 39 mila italiani. Gli inglesi, invece, ne rilevano, in entrata, quasi 160.000. Ci sono delle differenze sostanziali, quindi, se si mettono a confronto i dati Istat e quelli dei paesi di arrivo: come sottolinea il sociologo de La Sapienza, dal confronto risultano valori superiori al 400% rispetto alla rilevazione Istat. 

Qual è il profilo degli italiani che emigrano? La maggior parte sono giovani alla loro prima esperienza lavorativa: “La classe di età con il maggior numero […] di espatriati è quella compresa tra i 18 ed i 34 anni con oltre 39 mila unità. Segue la classe di età compresa tra i 35 e i 49 anni con 27 mila iscritti”. 

Da dove partono, soprattutto? “Dal Meridione” d’Italia? No, emigrano principalmente dal Nord, dalla “ricchissima” Lombardia, area di immigrazione per eccellenza. Un fatto inedito che evidenzia, da un lato, che l'emigrazione deriva anche dalla forte crisi dei distretti industriali del Nord e, dall'altra, che si è prodotta una sorta di “emigrazione di rimbalzo”: le persone provenienti dal Sud si spostano verso le regioni del Nord quale tappa intermedia per emigrare fuori dall’Italia, per lo più a conclusione del loro percorso d’istruzione universitaria. 

Non solo la “fuga dei cervelli” priva il nostro paese di giovani promettenti e di un ricambio generazionale equilibrato: una meno attesa ma corposa “fuga di braccia” è in corso presso altri strati della popolazione. Molti addetti dell'industria e dell'edilizia sono stati spinti dalla crisi a cercare lavoro in altri paesi europei, accolti a volte da politiche ostili in materia (si pensi semplicemente alle possibili conseguenze della Brexit). 

Va poi registrata l'emigrazione di pensionati verso mete con clima buono e costo della vita basso.

Gli attuali livelli di emigrazione che si riscontrano in Italia sono paragonabili a quelli raggiunti tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta. Tuttavia, l’emigrazione italiana, oggi, a detta di Pugliese, presenta delle caratteristiche molto diverse rispetto a quella di quegli anni: è un’emigrazione giovane, un’alta componente di emigranti è fortemente scolarizzata ed appare rilevante la dimensione di genere. Le donne, infatti, si muovono in autonomia, ovvero non per forza a seguito del marito o della famiglia.

Enrico Pugliesi conclude asserendo che “al centro del Mediterraneo, l’Italia ha sempre rappresentato una sorta di crocevia migratorio. Nei diversi periodi storici il ruolo dominante è stato svolto a volte dall’emigrazione, e a volte dall’immigrazione”: una riflessione illuminante, su cui soffermarsi, soprattutto in questi tempi di retorica e stereotipi nella rappresentazione del fenomeno migratorio

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