CULTURA

La dozzina dello Strega: Carmen Verde

Carmen Verde, esordiente, entra nella dozzina dello Strega con un romanzo brevissimo, levigato, fatto di vuoti parlanti, in cui il lettore ha la possibilità di trovare la sua propria misura.

S’intitola Una minima infelicità (Neri Pozza, 2023) e, a dispetto di quanto possa sembrare, dal titolo e di quanto l’autrice spieghi (anche nell’intervista qui sotto), non è un romanzo sull’infelicità, tantomeno un romanzo infelice, a riprova del fatto che l’intenzione dell’autore non esaurisce il ventaglio delle possibilità.

Una minima infelicità è la storia di Annetta e della sua invisibilità in una famiglia in cui predomina una madre, Sofia Vivier, che respira solo per se stessa. È quindi – più correttamente – la storia di questa donna e di tutti coloro (il marito, la figlia, la tata, la nonna) che hanno con lei costruito l’esistenza, senza però mai metterle un freno. E Annetta? Lei non soffre in un palese strazio, ma assiste al dispiegarsi della storia, raccontando in prima persona gli spazi del suo essere salva (la nonna) e del suo naufragare (gli eventi inattesi).

L’eccezionalità di questa storia minuta e potente sta proprio nello sguardo di ciascuno, mai coincidente con quello che dovrebbe essere a rigore e che è mediato dalla diretta interessata, che qui diviene un trovatore lucido e spiazzante, meticoloso raccoglitore di dettagli.

A volte il romanziere riesce a raccontare la storia per immagini accostate come fossero le perle sgranate di una collana in grado di restituire l’intero tessuto della vita: è questo il caso.

“Da mesi ormai mi specchio nei vetri delle sue finestre e da lì guardo la mia vita. Nelle finestre degli altri la vita sembra più bella”: nei silenzi di Carmen Verde risiede l’universalmente grande e l’universalmente piccolo. Sbirciamo nella vita di Annetta e di Sofia da una finestra accostata. Sembra di leggere a tratti Francois Sagan – per la brevità, la femminilità – e, insieme, Amélie Nothomb – per la sagacia e l’assurdo, a tratti –.

E nell’incedere la scrittrice decide di dar voce alle fotografie, che a volte diventano vere e proprie radiografie, secondo il noto adagio dell’album della memoria, come se solo nella luce che si ferma s’agganciasse la vita, ma non sarebbe stato necessario: la "frammentarietà completa" sarebbe la cifra di questo libro, comunque.

Anche la vita e la morte, in Una minima infelicità, perdono i loro confini e sono piccole e infinite: “Lasciate che i giaggioli siano gialli, che gli iris siano azzurri, che i piccoli restino piccoli per l’eternità”.

Lasciate che i giaggioli siano gialli, che gli iris siano azzurri, che i piccoli restino piccoli per l’eternità Carmen Verde

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