SOCIETÀ

Le emergenze dimenticate: che fine hanno fatto i migranti?

Nell’ottobre 2014 una rete di attivisti Europei e Nord Africani ha attivato un centralino. Un progetto, chiamato AlarmPhone, che voleva ridurre le morti in mare, ridurre gli incidenti ed incentivare i soccorsi. Dall’ottobre 2014 in poi la storia è nota, tra propaganda ed oggettive difficoltà il tema dei migranti non ha ancora trovato una strada che porti verso la soluzione, cioè verso una reale integrazione europea, magari con corridori umanitari o rotte controllate e non lasciate in mano a delinquenti che lucrano sulla vita delle persone.

Da qualche mese però il tema dei migranti sembra essere sparito dalle cronache quotidiane. È’ normale, stiamo vivendo una pandemia ed i fatti “interni” hanno acquisito spesso un’importanza vitale. I migranti però non sono spariti. Proprio Alarmphone nello scorso fine settimana ha rilanciato la notizia di quattro imbarcazioni in panne, con un totale di 250 persone a bordo. 

Mediterranea, la ong che ha come scopo proprio quello di salvare vite umane, ha pubblicato un drammatico audio proveniente proprio da una di queste imbarcazioni. A parlare sarebbe una donna di 21 anni che si sarebbe trovata in difficoltà in mezzo al mare con altre 47 persone. 

L’audio è una chiara richiesta d’aiuto, ed è ancora più chiaro come le autorità non abbiano dato una risposta. 

Per dovere di cronaca bisogna ricordare anche che la Guardia Costiera italiana ha smentito la notizia di un naufragio comunicata dalla ong Sea Watch il 12 aprile scorso. Rimane però il delicato tema degli sbarchi, soprattutto in questo momento emergenziale per la nostra nazione. Sempre secondo il monitoraggio di Alarmphone, le buone condizioni meteorologiche avrebbero fatto si che, nell’ultima settimana, più di mille persone abbiano intrapreso il pericoloso viaggio dalla Libia verso l’Europa.

Più di mille persone hanno intrapreso il pericoloso viaggio dalla Libia verso l’Europa

Il governo di Tripoli ora ha dichiarato i suoi porti “non sicuri”, tanto che il 9 aprile scorso avrebbe rifiutato l’ingresso in porto ad una sua stessa motovedetta con 280 migranti catturati in mare. Se la Libia si è considerata porto non sicuro, l’Italia e Malta non sono da meno.

Il New York Times inoltre, riporta come la marina maltese sia stata accusata di aver sabotato una nave migrante al largo delle coste di Malta. Il fatto sarebbe avvenuto giovedì scorso quando un ufficiale di una nave della Marina militare maltese, il P52, sarebbe salito a bordo della nave con i migranti a circa 20 miglia a sud-ovest di Malta, danneggiando il motore e lasciando la barca alla deriva.

L'Italia non è più un porto sicuro

Ed ora arriviamo a noi, all’Italia. Il governo una settimana fa ha comunicato che il nostro paese non è più un porto sicuro. Il documento interministeriale parla chiaro: “Per l’intero periodo di durata dell’emergenza sanitaria nazionale derivante dalla diffusione del virus COVID-19, i porti italiani non assicurano i necessari requisiti per la classificazione e definizione di Place of saftey (“luogo sicuro”). Il documento porta la firma del ministro degli Esteri Luigi Di Mario, degli Interni Luciana Lamorgese, delle Infrastrutture Paola De Micheli e della Sanità Roberto Speranza.

Il governo una settimana fa ha comunicato che l’Italia non è più un porto sicuro

La nave Alan Kurdi

La decisione è arrivata proprio mentre la nave Alan Kurdi, della ong tedesca Sea Eye, si stava avvicinando alle coste italiane con 150 persone a bordo. Di fatto la nave dedicata al bambino siriano morto sulle spiagge della Turchia ed inconsapevole protagonista di una delle fotografie simbolo della mala gestione europea delle migrazioni, da giorni sta vagando per le acque del Mediterraneo. Caterina Ciufegni, medico a bordo dell’imbarcazione, ha rilasciato un’intervista a Repubblica in cui racconta la situazione a bordo ed i momenti concitati del salvataggio delle persone. “Siamo arrivati in zona Sar (Search and Rescue, ndr) libica domenica scorsa, la mattina dopo ci è arrivata la segnalazione di un gommone in difficoltà - ha dichiarato la dottoressa al quotidiano -. Siamo arrivati contemporaneamente alla milizia libica che ci ha intimato di allontanarci, e per spaventarci ha sparato colpi di fucile in aria. Noi volevamo almeno provare a distribuire i giubbotti salvagente, perché i migranti sul gommone non li avevano. All'improvviso hanno iniziato a tuffarsi in acqua, i libici se ne sono andati e siamo riusciti a salvarli tutti”.

La palla quindi è passata all’Italia, porto attualmente più vicino, ma chiuso causa emergenza sanitaria. La situazione però si è sbloccata con la firma da parte del Dipartimento di Protezione Civile italiano di un provvedimento che ordina che i 156 migranti soccorsi dalla nave siano trasferiti su un’altra nave e messi in quarantena. Di fatto quindi, l’Italia, nonostante la decisione di chiudere i porti, ha deciso di accogliere queste persone su un’imbarcazione battente bandiera italiana. Il ministero dei Trasporti, che di fatto ha richiesto il provvedimento, ha dichiarato che questa soluzione si è resa necessaria “a seguito del rifiuto, da parte della Alan Kurdi, di seguire la procedura per l’accoglienza nel proprio paese di bandiera che è la Germania”. 

La Alan Kurdi è dal 6 aprile scorso che richiede un porto dove poter sbarcare in sicurezza le 156 persone salvate, ed una navigazione verso la Germania sarebbe stata lunga, proibitiva e pericolosa per i migranti e l’equipaggio stesso.

Nonostante questa soluzione, e consapevoli che nella giornata di lunedì 13 aprile a Pozzallo sono comunque arrivati 101 migranti, il decreto di chiusura dei porti ha scatenato delle immediate polemiche, anche alla luce delle decisioni libiche e maltesi. Un gruppo di deputati e senatori, tra i quali l’ex presidente della Camera Laura Boldrini e l’europarlamentare Pietro Bartolo, hanno sottoscritto un appello rivolto al governo. “I porti non si chiudono mai - si legge sul documento -, perché a nessuno e in nessun caso può essere negato il soccorso e la protezione dai rischi della navigazione”.

“Siamo perfettamente consapevoli che, nell'emergenza sanitaria drammatica che la pandemia impone al nostro Paese e al mondo intero, la tutela della salute ha una assoluta priorità - continuano i deputati e senatori -. Per questo, fuori da ogni approccio ideologico, pensiamo che sia necessario individuare ogni utile strumento a definire protocolli in grado di assicurare la sicurezza e la salute pubblica.

Questo vale per i naufraghi salvati nelle operazioni di ricerca e soccorso (qualunque sia la bandiera della nave che li opera e la nazionalità delle persone soccorse), e, nello steso modo per le comunità costiere potenzialmente esposte a rischi di contagio.

Per questo pensiamo che di fronte ad una situazione che, pur non registrando flussi particolarmente intensi non esclude la necessità di impedire che le persone perdano la vita nel Mediterraneo centrale, sia necessario e possibile mettere in atto un protocollo di sicurezza che garantisca la tutela della salute e l'efficacia della battaglia contro il virus, senza pregiudicare la nostra civiltà giuridica e la sicurezza di tutti.

Chiediamo quindi al governo di revocare questo decreto e predisporre invece protocolli sanitari adeguati che, ove non sia possibile garantire a terra luoghi sicuri nei quali far svolgere la necessaria quarantena a chi sbarca, questa sia comunque applicata e garantita attraverso l’utilizzo di assetti navali adeguati ed in condizione di sicurezza".

La situazione italiana dal punto di vista sanitario la conosciamo tutti, l’emergenza nazionale è evidente e ben presente, come evidenti sono i problemi di gestione delle migrazioni libiche. Tra memorandum e guerre interne, la Libia è una polveriera che calpesta i più basilari diritti umani delle persone. Consci di questa situazione, e consci anche dell’autodichiarazione libica a porto non sicuro, la soluzione alle migrazioni può essere quella di chiudere gli occhi e lasciar morire la gente in mare?

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