SOCIETÀ

Emigrare dall’Italia, immigrare in Italia: quali politiche nel 2021?

Presentando il nuovo governo alle due Camere per il voto di fiducia il neo presidente del Consiglio Mario Draghi ha solo accennato alle politiche connesse al fenomeno migratorio contemporaneo. Su tali questioni c’è da decenni un aspro conflitto politico e culturale, sugli organi d’informazione e sui social e, forse, è proprio questa la ragione di una forte cautela per il nuovo governo, che cercherà il più possibile di evitare di pronunciarsi su argomenti rilevanti ma divisivi. Del resto, i due precedenti governi di questa stessa legislatura avevano espresso indirizzi e comportamenti parzialmente opposti, manifestatisi in particolare attraverso i testi molto differenti delle leggi di conversione di decreti legge approvati dal primo esecutivo guidato da Giuseppe Conte e poi dal secondo esecutivo con lo stesso presidente. Tuttavia, la cronaca consegna frequenti nuovi fatti ed emergenze riferibili a emigrazioni e immigrazioni, non sarà facile far finta di nulla. Appare, quindi, opportuno richiamare i tre cenni svolti da Draghi e valutare, comunque, i nodi da affrontare presto, non rinviabili.

Opportunamente il presidente Draghi parte da un quesito e dalle spesso dimenticate emigrazioni (dall’Italia): “Una domanda alla quale dobbiamo dare risposte concrete e urgenti quando deludiamo i nostri giovani costringendoli ad emigrare da un paese che troppo spesso non sa valutare il merito e non ha ancora realizzato una effettiva parità di genere.” La sostanza è tecnicamente corretta: è auspicabile che la comunità nazionale elimini quelle costrizioni che indussero e inducono nostri concittadini delusi a fuggire all’estero. Un secolo fa furono decine di milioni, nel dopoguerra quasi altrettanto. Non si trattò di vere e proprie emigrazioni forzate, non si trattava di Refugees, tuttavia non furono nemmeno free migrations, scelte libere e tranquille. Ed è condivisibile tanto che un certo grado di merito dovrebbe prevalere sulle diseguaglianze sociali quanto che occorrerebbe sempre prestare rigorosa attenzione alle disparità fra uomini e donne, pur se le connessioni con il lato “partenze” del fenomeno migratorio sono complesse, diacroniche e asimmetriche, sia a livello individuale che a livello sociale.

In un successivo confuso paragrafo il presidente Draghi fa poi veloci riferimenti alle politiche comunitarie sulle immigrazioni, soprattutto quelle forzate: “Ma occorrerà anche consolidare la collaborazione con Stati con i quali siamo accomunati da una specifica sensibilità mediterranea e dalla condivisione di problematiche come quella ambientale emigratoria: Spagna, Grecia, Malta e Cipro… Altra sfida sarà il negoziato sul nuovo Patto per le migrazioni e l’asilo, nel quale perseguiremo un deciso rafforzamento dell’equilibrio tra responsabilità dei Paesi di primo ingresso e solidarietà effettiva. Cruciale sarà anche la costruzione di una politica europea dei rimpatri dei non aventi diritto alla protezione internazionale, accanto al pieno rispetto dei diritti dei rifugiati.” Tutto sembra ruotare intorno a due indirizzi connessi e poco ponderati: accogliere solo i rifugiati (come non erano e non sono gli italiani emigranti); rimpatriare tutti gli altri migranti (come erano e sono gli italiani emigranti). Si sa che la distinzione fra chi esercita un diritto di asilo e chi esercita una libertà di movimento è molto complicata da verificare, forse impossibile, tanto più che alle comunità nazionali europee gli immigrati servono per svariate ragioni, non ultime quelle demografiche. Nel caso, sarebbe certo opportuno farlo a livello europeo, pur se per ora, anche quello appare un ulteriore obiettivo improbabile da realizzarsi a breve.

I programmi di governo non sono legalmente vincolanti, forse nemmeno politicamente vincolanti: dipendono dagli equilibri parlamentari del momento (connessi alle precedenti elezioni generali, nel nostro caso a quelle del 4 marzo 2018, esattamente tre anni fa) e dalle dinamiche di medio lungo periodo del rapporto fra i partiti di maggioranza e di opposizione; incidono pure ovviamente veti reciproci e sondaggi contingenti, oltre alle sensibilità dei singoli leader rispetto a parole-chiave o a discriminanti identitarie; i temi del fenomeno migratorio sono materia sensibile. E, certamente, pesano le continuità dell’azione amministrativa. Sotto questo punto di vista è abbastanza decisivo il fatto che la ministra Luciana Lamorgese abbia mantenuto il suo incarico di titolare del dicastero dell’Interno dal secondo governo Conte al primo governo Draghi, potendo anche contare sull’oggettiva relativa limitazione delle partenze dirette verso l’Italia dovuta all’emergenza sanitaria mondiale per la pandemia da Covid-19.

Tuttavia, da vari paesi del mondo si continua a dover fuggire o partire. In questo preciso istante c’è un’ingente massa di uomini e donne in movimento fuori dai confini patri. Magari, non sanno bene dove stanno o vorrebbero andare, spesso l’Italia e la stessa Europa non sono la destinazione scelta o accettata, purtroppo una parte potrebbe non sopravvivere prima di arrivare in qualche luogo dove vivere ancora per un poco. Non tutti, anzi una bassa percentuale, avrebbero le specifiche condizioni previste dall’apposita Convenzione, sotto il mandato della relativa agenzia Onu Unhcr (United Nations High Commissioner for Refugees), per poter chiedere “rifugio”, ovvero asilo, discriminati per ragioni di razza, religione, identità sessuale, opinioni politiche, guerra civile. Eppure, sono fuggiti e in marcia, soli o in gruppo, soli o insieme ad altri dello stesso nucleo familiare, con qualche soldo in tasca o senza niente, maggiorenni e minorenni, con vestiti adatti e inadatti alle temperature, alle stagioni e al meteo che incrociano. Possiamo negarlo o fregarcene, non verificare e non parlarne, esistono lì fuori comunque, ora e domani.

Le rotte delle emigrazioni (una volta usciti dal proprio paese) vengono censite ex post.

Le rotte delle emigrazioni (una volta usciti dal proprio paese) vengono censite ex post. Conosciamo eventualmente le traiettorie degli immigrati solo dopo che sono arrivati e, a quel punto, rilevano ancor meno. Andando verso la primavera e l’estate 2021 dobbiamo immaginare che un ampio numero di quella massa in movimento accelererà l’avvicinamento all’area mediterranea, almeno da est e da sud. È stato già ricordato il collo dell’imbuto al confine tra Bosnia-Erzegovina e Croazia, la Balkan Route donne uomini bambine bambini partiti (chissà quando) da Afghanistan o Pakistan, Siria, Bangladesh, Iran, Iraq, passati (chissà quando) da Turchia e Grecia per poi risalire la penisola balcanica, Macedonia Albania, Bulgaria Serbia Bosnia-Erzegovina, ovvero il confine con l’Unione Europea, dove trovano un blocco militare e, se per caso passano, respingimenti violenti (anche dall’Italia verso la Slovenia). Dal settembre 2016 l'International Organization for Migration (Iom o Oim) è un'agenzia collegata delle Nazioni Unite e ha stimato che soltanto nel 2020 sono stati registrati in Bosnia, 16.150 nuovi migranti immigrati (il conto totale, dal 2015, arriva a 71.230), in Serbia i nuovi arrivi sfioravano quota 40mila.

Le drammatiche immagini e notizie di inizio 2021 mostrano che sono ancora lì e altri continuano ad arrivare. Il quadro è analogo, drammaticamente analogo, per altre forme di migrazioni, soprattutto per gli arrivi via mare dalle varie mutevoli alternate rotte mediterranee, una delle traversate più letali al mondo. Quei cenni contenuti nel programma di governo segnalano che in Italia durante l’anno in corso saremo ancora costretti a improvvisare, speriamo con pratiche e spiriti accoglienti.

A due mesi esatti dall'inizio del 2021, i migranti sbarcati in Italia sono 4.536 (secondo il Viminale) o 5.033 (secondo Mediterranea), un numero comunque evidentemente molto basso seppur in leggera crescita rispetto al recente passato. Nel solo mese di febbraio sono arrivati, autonomamente o con il supporto delle navi delle Ong e della Guardia costiera italiana, 3.895 migranti, di cui 398 minori, tutti in fuga, dalla Libia perlopiù (i due terzi). Inoltre, continuano ad aumentare le partenze dalla Tunisia, copiose già dal mese di agosto. Altre rotte sono state ancor più movimentate e, con il tempo migliore, le previsioni geopolitiche suggeriscono il verificarsi ovunque di migrazioni più intense. Occorre tener presente che non sono mai arrivati coloro che non sono sopravvissuti al deserto, alle detenzioni lungo il cammino, alla precaria navigazione. Limitandosi alle ultime settimane e ai pressi delle nostre acque, restano ancora senza volto e senza nome le vittime di tre naufragi: a Lampedusa venerdì 19 febbraio durante un'operazione notturna di trasbordo in cui sono state pur salvate 47 persone; in zona Sar libica sabato 20 febbraio, a seguito di una operazione di soccorso effettuata dal rimorchiatore Vos Triton su una imbarcazione con 120 persone a bordo (in salvo 77); a poche miglia dalle coste libiche il 28 febbraio scorso quando si sono salvate 95 persone e almeno 15 sono risultati gli annegati. Conteranno molto le scelte future quotidiane delle autorità di governo per le statistiche successive.

Nei prossimi mesi sono poi attesi gli esiti giudiziari di processi che prendono spunto dal testo di norme governative o dal comportamento di ministri. Si è aperto a Roma il 23 febbraio il processo in Corte di Appello per quattro imputati eritrei, tutti rifugiati politici, condannati in primo grado per il reato di aver comprato il biglietto del treno per il Nord Italia e aver così favorito il viaggio di due giovani donne in fuga dalla stessa Eritrea. Risulta evidente la connessione con gli altri processi che vedono coinvolte alcune Ong per i salvataggi in mare nel 2019, la comandante di nave tedesca Carola Rackete (1988) per la disobbedienza civile a Lampedusa sempre nel giugno 2019 e pochi giorni fa due coniugi italiani dell’associazione Linea d’ombra a Trieste. Il messaggio delle norme allora in vigore era di criminalizzare la solidarietà ai migranti e di impedire il dovere di soccorso: chi aiuta, per ragioni umanitarie e a proprie spese, un fuggitivo potenziale rifugiato (in Europa) andava comunque accusato di aiuto all’immigrazione clandestina, equiparato di fatto a scafisti e trafficanti (quelli sì da perseguire). Le modifiche ai decreti del primo governo Conte hanno ridotto le sanzioni pecuniarie ma non hanno modificato il quadro penale, pur se è stata da poco sollevata questione di legittimità costituzionale. Difficile che la vicenda non chiami in causa diversamente l’evoluzione delle politiche migratorie in Italia e in Europa.

Siamo ancora alla fase delle udienze preliminari (preliminari appunto all’eventuale rinvio a giudizio) presso l’aula bunker del carcere di Bicocca a sud di Catania per l’accusa all'allora ministro dell’interno che nel luglio 2019 avrebbe abusato dei propri poteri privando della libertà personale 131 migranti a bordo della nave militare Gregoretti della guardia costiera italiana, lasciati in attesa a bordo per più di cinque giorni (quando non era nemmeno pensabile la quarantena per il Covid-19). Le deposizioni si susseguono e coinvolgono vari ex ministri dei precedenti governi e pure ministri in carica dell’attuale governo, così come altri processi in corso su vicende analoghe derivanti dalle emergenze del fenomeno migratorio e da altre politiche che coinvolgono cittadini stranieri (corridoi umanitari, decreti sui pur minimi flussi regolari, riconoscimento della cittadinanza, vaccinazione dei non cittadini, contrasto a odio razzismo xenofobia discriminazioni, ecc.). Difficile che non si determinino tensioni politiche fra i partiti dell’attuale maggioranza, tenendo presente che un gruppo politico è presente in tutti e tre i governi (finora) della legislatura, ovvero il Movimento Cinque Stelle, e due gruppi si sono invece contrapposti nei primi due governi e fanno ora entrambi parte dell’ultimo in carica, ovvero Lega e Pd. Dovremo probabilmente riparlarne presto.

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