SCIENZA E RICERCA

Fiducia nella scienza: alcune piacevoli sorprese

Molti articoli di opinione restituiscono l’idea diffusa che le persone non abbiano fiducia nella scienza e nella ricerca, e che non amino particolarmente gli scienziati, visti come abitanti di una torre d’avorio piena di provette e in generale giudicati poco propensi a confrontarsi con le persone comuni.
Questi stereotipi forse hanno qualche fondamento, almeno in alcune parti del mondo, e in ogni caso l’esistenza stessa di questo tipo di sfiducia desta preoccupazione, a prescindere dalla sua entità, perché, come abbiamo potuto vedere nel caso del Covid19, per affrontare in modo efficace crisi globali come quella pandemica c’è bisogno della collaborazione di tutti, e le persone che si fidano tendono a essere più propense a impegnarsi in prima persona per una causa comune.

Numeri alla mano, però, la situazione è meno plumbea di quanto si potrebbe pensare.
Un nutrito gruppo di 239 ricercatori provenienti da 167 istituzioni diverse ha diffuso nei paesi di tutto il mondo un questionario con domande che avevano lo scopo di rilevare il grado di fiducia verso il mondo scientifico. I partecipanti sono stati 71.417 e provenivano da 67 paesi appartenenti a ogni continente: questo significa che i ricercatori hanno coperto il 31% dei paesi del mondo scegliendo quelli che nel complesso ospitano il 78% della popolazione mondiale. I risultati, descritti in un preprint, com’era facile immaginare non sono omogenei, ma fanno emergere una tendenza positiva, perché la fiducia nella scienza e negli scienziati raggiunge livelli piuttosto alti, anche se con varie distinzioni tra i diversi paesi analizzati.

Andiamo ora a indagare più nel dettaglio il lavoro dei ricercatori, tenendo presente che parliamo di un preprint, quindi di una relazione resa disponibile online prima della peer review formale (revisione da parte di colleghi che lavorano nello stesso settore) e della pubblicazione ufficiale in una rivista, e che quindi non ha ancora ricevuto una vera e propria validazione scientifica, processo per cui sono necessarie tempistiche più lunghe. Pubblicare un preprint consente però agli autori di condividere rapidamente i loro risultati e di ricevere feedback dall’intera comunità scientifica prima della pubblicazione, accelerando così la diffusione delle conoscenze.

Il sondaggio è stato compilato da 71.417 persone che provenivano da 67 paesi, che ospitano il 78% della popolazione mondiale

In questo caso specifico, per esempio, è importante condividere questi dati velocemente: i governi, che in un mondo ideale dovrebbero agire per favorire il bene comune anche a lungo termine, potrebbero di fatto sentirsi frenati dal pensiero che i cittadini che dovrebbero votarli non si fidino della scienza, per esempio nel caso del cambiamento climatico. Sia questo studio, sia un’altra ricerca pubblicata su Nature di cui parleremo più dettagliatamente sul giornale confermano invece che l’interesse e la preoccupazione per la crisi ambientale e in particolare per il riscaldamento globale è molto più alta di quanto gli stessi intervistati pensano. Alla luce di tutto questo, politici e governanti avrebbero dei motivi in più per proporre leggi che vadano a risolvere o tamponare i problemi che tutti i lettori del nostro giornale conoscono, ma se non sanno che è un’esigenza davvero sentita nell’opinione pubblica potrebbero farsi distrarre da altre problematiche, quindi prima prendono atto di questa situazione meglio è. In questo senso anche una sfiducia limitata può fare danni, soprattutto se viene reputata più estesa di quanto in realtà non sia.

Questo studio è ambizioso: oltre ad aver indagato un campione estremamente vasto, si è concentrato su più problematiche rispetto ai lavori precedenti, con una dozzina di domande su competenze, integrità, buona fede e apertura degli scienziati verso i loro interlocutori. Il punteggio assegnabile andava da 1 a 5, dove 5 rappresentava la massima fiducia.
Ma cosa si intende esattamente per “scienza” e “scienziati”? È lo studio stesso a chiarirlo, con gli intervistati prima e con i lettori poi: “Quando diciamo scienza, intendiamo la comprensione che abbiamo del mondo dall'osservazione e dalla sperimentazione. Quando diciamo scienziati, intendiamo persone che studiano la natura, la medicina, la fisica, l'economia, la storia e la psicologia, tra le altre cose”.

Il punteggio medio globale, come dicevamo, è stato piuttosto alto, cioè 3.62, ed è alta anche la fiducia globale nel metodo scientifico, con il 75% del campione che sostiene sia il modo migliore per capire se qualcosa è vero o falso. C’è solo un aspetto in cui i punteggi sono stati inferiori alla media, cioè nelle domande relative all’apertura al dialogo da parte degli scienziati, che, facendosi forse forti delle loro ragioni dimostrate e dimostrabili grazie al metodo scientifico, si preoccupano più dei dati che delle persone. Ma il parere dei cittadini diventa molto importante quando si tratta di prendere decisioni, sia a livello personale sia quando si tratta di stabilire chi mandare al potere per portare avanti iniziative basate sull’evidenza scientifica, quindi questo è un aspetto su cui si può e si deve fare di meglio, magari puntando su iniziative per promuovere una divulgazione virtuosa (l’assertività è un aspetto che si può allenare).

Lo studio mette in discussione i lavori precedenti anche su altri punti: se prima era stata rilevata una maggiore sfiducia nella scienza in alcuni paesi dall’America Latina e dell’Africa, è emerso invece che i paesi più bendisposti erano Egitto, India e Nigeria, mentre i più restii a fidarsi degli scienziati sono, in ordine crescente, Russia, Bolivia, Kazakhstan e Albania. E l’Italia? Non siamo messi bene, visto che su 67 stati siamo tra gli ultimi 12.
Gli studi precedenti secondo i ricercatori avevano anche altri limiti: da una parte si concentravano più che altro sui paesi occidentali, e, soprattutto, non prendevano in esame un aspetto molto importante: quale dovrebbe essere il ruolo degli scienziati nelle decisioni politiche?

Qui la maggior parte degli intervistati è d’accordo: gli scienziati dovrebbero assumere un ruolo attivo nella formulazione di leggi basate sulle scoperte scientifiche e che poi dovrebbero comunicare direttamente con il pubblico. Naturalmente ci sono paesi che fanno eccezione, per esempio Serbia e Slovenia, ed è anche emerso che ad auspicarsi un maggior coinvolgimento degli scienziati nelle decisioni politiche sono gli abitanti dei paesi anglofoni, come USA e Australia, i giovani, le persone con un alto livello di istruzione che popolano aree urbane e che hanno un reddito più alto. Rimane poi quel quarto di campione globale che nella scala da 1 a 5 ha selezionato dei punti medi e quindi, probabilmente, non ha un’idea precisa su ciò che dovrebbero fare gli scienziati in ambito politico.

Secondo il 75% del campione il metodo scientifico è il modo migliore per capire se qualcosa è vero o falso

Un punto interessante dello studio riguarda proprio l’eventuale legame tra la fiducia nella scienza e l’orientamento politico. Anche qui ci si è discostati dai lavori precedenti, che rilevavano una correlazione positiva tra l’orientamento politico di sinistra e la fiducia nella scienza, mentre i conservatori sarebbero stati più restii ad affidarsi agli scienziati. Nella maggior parte dei paesi, 41 su 67, non è emerso alcun legame tra l’orientamento politico e livello di fiducia. In alcuni invece l’ipotesi precedente è confermata: in Nordamerica e nella maggior parte dei paesi europei è effettivamente così. Ci sono però altri stati in cui la situazione è rovesciata, come Brasile, Georgia, Egitto, Filippine, Nigeria, Grecia e Israele, con una maggiore diffidenza verso la scienza tra gli individui che si dichiarano di sinistra. I ricercatori quindi sostengono che non ci sia una vera e propria relazione tra orientamento politico e fiducia nella scienza, e che questa sia emersa soltanto perché gli studi precedenti si erano concentrati sui paesi europei e nordamericani. La relazione sarebbe semmai filtrata dall’atteggiamento della leadership politica: in alcuni paesi, come gli USA, i politici di destra hanno più volte ostentato un forte disprezzo verso gli scienziati, e l’elettorato li avrebbe seguiti a ruota. In altri paesi come la Grecia, invece, la destra è stata collaborativa con gli scienziati, e per questo la situazione è rovesciata. Sarebbe interessante indagare ulteriormente quest’ipotesi, per capire se in questo caso è nato prima l’uovo o la gallina.

Un’altra discrepanza è quella con il Wellcome Global Monitor, uno studio globale condotto dalla Wellcome Trust per la prima volta nel 2018, che si concentrava sulla salute e la ricerca scientifica. Secondo questo studio, la fiducia nella scienza sarebbe positivamente correlata a un alto PIL pro capite, mentre dal nuovo studio emerge che la fiducia sia positivamente correlata all’indice di Gini e che quindi sia più alta nei paesi con maggiore disuguaglianza di reddito. L’ipotesi dei ricercatori è che nel Wellcome Global Monitor le aree non urbane fossero sottorappresentate nei paesi con un punteggio alto nell’indice di Gini (le popolazioni urbane sono tendenzialmente più portate a fidarsi), e che questo avrebbe potuto falsare i dati, ma ipotizzano anche che in questi paesi gli scienziati potrebbero essere visti come un’autorità più affidabile rispetto ai politici, spesso corrotti. Questo potrebbe essere una delle possibili ragioni per cui la fiducia nella scienza non è maggiore nei paesi con una maggiore alfabetizzazione scientifica. Anche qui, bisognerebbe approfondire.

Un ultimo punto interessante riguarda la religione: spesso si è ritenuto che fosse negativamente correlata alla fiducia nella scienza, e invece da questi dati emerge il contrario, con una correlazione positiva a livello globale tra fiducia e religiosità. La tendenza però dipende dalla religione specifica, perché se nei paesi a maggioranza musulmana non viene percepito un conflitto tra religione e scienza così non è nei paesi con una popolazione a maggioranza cristiana, dove la fiducia, al contrario, è correlata negativamente con la religiosità.

I dati raccolti potranno essere molto utili per future campagne di sensibilizzazione, per avere un solido punto di partenza quando ci chiediamo perché le persone non si fidano della scienza e per far sì che politici e istituzioni comprendano meglio le esigenze dei cittadini (un’altra cosa che è emersa è che secondo gli intervistati le priorità della ricerca sono quelle relative al settore militare, quando invece la maggior parte di loro preferirebbe che si occupasse di ambiente e salute, ma questo era in linea con gli studi precedenti). Ora le informazioni ci sono, e la palla passa agli scienziati, che dovrebbero rivedere le modalità con cui si rapportano con il pubblico, e alla politica, che spesso fino a ora ha sottovalutato il valore delle informazioni scientifiche e l’apporto che gli scienziati potevano dare alla società.

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