Particolare del delta del Mekong. Fonte: Adobe Stock
“A causa dell’impatto antropico degli ultimi decenni e di una gestione insostenibile delle risorse naturali nel bacino del Mekong, il delta del fiume si sta ritirando rapidamente e potrebbe sprofondare sotto il livello del mare entro il 2100. Evitare un simile impatto catastrofico richiederà misure concertate che riconoscano le cause che stanno alla base del fenomeno e l’importanza globale del delta”. La situazione è nota ormai da tempo, ma le soluzioni finora adottate tendono a gestire i problemi a livello locale, senza considerarli nella loro complessità. Per questo, un gruppo di ricerca internazionale – in un articolo pubblicato su Science, dal titolo eloquente Save the Mekong Delta from drowning. Policy must address drivers, not just symptoms of subsidence – propone una serie di azioni concrete per evitare che quest’area economicamente importante e densamente popolata finisca sott’acqua.
Il Mekong è il fiume più lungo del Sud-est asiatico, intorno al quale ruota lo sviluppo economico dell’intera regione. Si snoda per 4.800 chilometri in sei Paesi diversi – Cina, Laos, Cambogia, Thailandia, Myanmar e Vietnam – e attraversa ecosistemi ricchissimi di biodiversità, fornisce pesce e acqua alla popolazione che vive nel suo bacino idrografico e dà sostentamento a oltre 60 milioni di persone. Si tratta dunque di un’area che negli ultimi 30-40 anni ha visto uno sviluppo socio-economico enorme. Il delta del fiume, dove vivono circa 17 milioni di persone, si trova principalmente in Vietnam, è il secondo più grande al mondo e produce dal 7 al 10% di tutto il riso commerciato a livello internazionale. È in media un metro sopra il livello del mare e ciò lo espone a fenomeni di subsidenza ed erosione costiera.
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“La situazione attuale – sottolinea Simone Bizzi, docente del dipartimento di Geoscienze dell’università di Padova, che firma l’articolo su Science – lascia prevedere che il delta del Mekong scivolerà sotto il livello del mare entro il 2100. Le ragioni per cui questo accade sono molteplici e interconnesse tra loro. Interessano più Paesi, non solo quelli in cui si trova il delta e ciò implica che bisogna guardare a tutto il bacino del fiume”. Spiega Bizzi: “Le cause principali di questo trend vanno ricercate innanzitutto in una subsidenza molto accentuata dall’impatto antropico, in particolare dall’estrazione di acqua dal sottosuolo per usi multipli, sia per lo sviluppo urbano, ma soprattutto per l’agricoltura". La subsidenza è un processo naturale, ma negli ultimi decenni il delta sta sprofondando sempre più rapidamente, aggiunge Philip Minderhoud, co-autore dell’articolo, docente all’università di Wageningen nei Paesi Bassi e ricercatore Marie-Curie presso il dipartimento di Ingegneria civile, edile e ambientale dell’università di Padova. Ampie parti del delta si stanno abbassando 10-20 volte più velocemente dell’innalzamento del livello del mare.
"C’è poi un problema di intrusione del cuneo salino – continua Bizzi – che si connette all’innalzamento del livello del mare dovuto ai cambiamenti climatici. La costruzione di dighe, inoltre, ha diminuito moltissimo l’apporto di sedimenti da tutto il bacino”. Prima della fine del Ventesimo secolo, il delta riceveva da 140 a 160 milioni di tonnellate di sedimenti ogni anno dal bacino del fiume Mekong. Più della metà ora è intrappolata nei serbatoi. Nel bacino superiore del Mekong in Cina (il Lancang), sono state completate otto grandi dighe idroelettriche, e altre 20 sono in costruzione o in fase di progettazione. Nel Mekong, sono state costruite o pianificate 133 dighe. Se tutte venissero edificate come previsto, intrappolerebbero il 96% dei sedimenti che prima raggiungevano il delta.
Va poi considerata la forte estrazione di sabbia per costruzioni che incide i fiumi e crea destabilizzazioni e diminuzione della quantità di acqua disponibile, perché diminuisce anche il livello delle falde. “Anche la costruzione di difese per la protezione dal rischio idraulico ha fatto sì che una buona parte dei canali di distribuzione del fiume nel delta fossero disconnessi dalla pianura inondabile: in questo modo, però, si previene anche la costruzione del delta da parte dei sedimenti che vi arrivano durante le piene. Ebbene, tutte queste azioni concertate tra loro vanno a mettere a rischio l’esistenza stessa del delta”.
Intervista completa a Simone Bizzi, docente del dipartimento di Geoscienze dell'università di Padova e autore dello studio su "Science". Servizio di Monica Panetto, montaggio di Barbara Paknazar
I problemi che interessano il Mekong, e il rischio che il suo delta sprofondi sotto il livello del mare, è una questione ormai nota, come si è detto, sia a livello scientifico che governativo. Il governo vietnamita, che guida lo sviluppo del delta, nel 2017 ha promulgato la Risoluzione 120, che sottolinea la necessità di uno sviluppo sostenibile, e incoraggia la pianificazione integrata tra diversi settori e scale spaziali. Tuttavia, sia la Risoluzione che il precedente Mekong Delta Plan trattano inondazioni, salinità ed erosione costiera più come sfide ingegneristiche isolate, proponendo soluzioni su scala locale, osservano i ricercatori su Science, anziché considerare i problemi locali come “sintomi” di cause sottostanti che si estendono su più scale.
Il Mekong Delta Plan propone interventi per minimizzare la subsidenza, ristabilire la connettività dei sedimenti, aumentare la resilienza del delta, senza tuttavia affrontare la minaccia esistenziale per il delta stesso. Questa lacuna non viene colmata nemmeno in documenti più recenti, come The Mekong Delta Integrated Regional Plan proposto al Ministry of Planning and Investment vietnamita nel luglio 2020 o il rapporto del governo che esamina i primi tre anni dell'attuazione della Risoluzione 120.
“Se non si considera il sistema nella sua complessità e l’interconnessione tra i fattori antropici e le loro conseguenze – sottolinea Bizzi –, il delta scomparirà, con delle conseguenze enormi da un punto di vista sociale ed economico. Accettato questo aspetto, ciò che noi proponiamo è una serie di azioni che, solamente se intraprese in concertazione, potranno diminuire l’attuale rischio di scomparsa del delta”.
Le sei misure individuate dai ricercatori interessano vari aspetti. Si dovrebbero innanzitutto evitare dighe idroelettriche ad alto impatto sostituendo i progetti pianificati con parchi eolici e solari, quando possibile, o costruendo le nuove strutture in modo strategico, dove il trasporto di sedimenti è meno significativo, così da ridurre il loro impatto a valle. Le dighe, inoltre, dovrebbero essere costruite o adeguate, adottando strategie sostenibili di gestione dei sedimenti, come la canalizzazione o i bypass che possono permettere ad alcuni sedimenti di muoversi da monte a valle. Ancora, si dovrebbe eliminare gradualmente l’estrazione di sabbia dal letto del fiume, regolamentando in modo rigoroso l’estrazione di sedimenti e incoraggiando l’impiego di materiali da costruzione sostenibili e il riciclo.
L’agricoltura intensiva sul delta del Mekong dovrebbe essere rivalutata in termini di sostenibilità, per minimizzare l’estrazione di acque sotterranee. È necessario anche mantenere la connettività della pianura alluvionale del delta, adattando le infrastrutture idriche e impedendo per esempio che le dighe ne taglino i canali. I ricercatori suggeriscono, infine, di implementare soluzioni naturali (come le mangrovie) per proteggere i litorali su larga scala e diminuire l’erosione costiera.
“Siamo consapevoli che ciò che chiediamo è estremamente difficile – commenta Bizzi –, perché coinvolge gli interessi di molti Paesi, dalla Cina al Vietnam, in cui ricade il bacino del Mekong. Si tratta di Stati che hanno interessi economici in conflitto, quindi può essere estremamente difficile trovare dei compromessi”. E conclude: “L’alternativa, tuttavia, è che tra il 2050 e il 2100 il delta del Mekong, con le sue attività economiche, la sua produzione di riso e i suoi 17 milioni di abitanti, scompaia”.