CULTURA
"La follia. Le storie, i luoghi": al Musme una mostra contro i pregiudizi
Foto: Il Bo Live
Ambienti e persone. Sono queste le due direttrici attraverso le quali si snoda la mostra dal titolo La follia. Le storie, i luoghi, in corso al Musme - Museo di storia della Medicina a Padova fino al 31 maggio. Gli spazi di cui si racconta sono quelli degli istituti psichiatrici del Veneto, dell’ex ospedale psichiatrico di Padova in particolare. Le persone sono le donne e gli uomini, giovani e meno giovani, che hanno abitato quegli spazi, a cominciare dai pazienti principalmente, fino al personale e ai direttori.
“Parlare di follia – sottolinea Gerardo Favaretto, presidente della fondazione Musme e psichiatra, che ha curato la mostra – significa affrontare un’esperienza umana che ha segnato profondamente la storia della civiltà e che ha a che fare col bisogno, con la cura, con la necessità, con la sofferenza. Farla al Musme ha significato recuperare una dimensione della malattia che spesso si tende a dimenticare, dato che quando si pensa al corpo e alle sue sofferenze, ai traumi, in generale alla medicina, a volte ci si dimentica che a far parte di questo mondo è anche il disturbo mentale. Se questo è stato l’intento, abbiamo avuto poi un’occasione: l’Ulss 6 Euganea ci ha dato la possibilità di recuperare alcuni oggetti di uso comune dall’ex ospedale psichiatrico di Padova. Una storia dell’ospedale psichiatrico della città, a ben vedere, non è ancora stata rigorosamente scritta ed è come se questa mostra cominciasse a raccogliere degli appunti su questa istituzione”.
Gerardo Favaretto, presidente della fondazione Musme, illustra la mostra "La follia. Le storie, i luoghi". Riprese e montaggio di Barbara Paknazar
Ad accogliere il visitatore all’ingresso dell’esposizione, e a catturarne l’attenzione, sono innanzitutto i volti dei molti che hanno trascorso un periodo della loro vita all’interno di un ospedale psichiatrico. Fino agli inizi del Novecento l’assistenza veniva prestata principalmente nei manicomi centrali di San Servolo (dal cui archivio fotografico provengono le immagini esposte) e a partire dal 1860 anche di San Clemente. Considerata, tuttavia, l’insufficienza dei posti disponibili in questi istituti, spesso sovraffollati, ben presto anche gli ospedali civili delle varie città venete iniziarono ad accogliere persone malate. Solo nel 1904 fu promulgata la legge nazionale che regolamentava le diverse realtà deputate all’assistenza dei malati psichiatrici. Tre anni più tardi, il 16 giugno 1907, fu istituito l’ospedale psichiatrico di Padova, in località Brusegana. Si trattava di una cittadella autonoma, articolata su 13 padiglioni, provvista di una chiesa, di un teatro e di una biblioteca. Nel 1928 furono aperte anche delle scuole per la licenza elementare e delle scuole professionali. Per lungo tempo l’istituto fu considerato un modello in tutta Europa, grazie alla linea adottata dal suo primo direttore, Ernesto Belmondo, che introdusse fin da subito il metodo del no restraint, con l’abolizione di tutti i metodi di costrizione dei malati e la valorizzazione invece di ogni forma di cura e riabilitazione nota all’epoca.
L’allestimento ripercorre la storia di questi ambienti, partendo dalle vicende di chi li ha abitati, dai pazienti innanzitutto. Ci sono occhiali, chiavi, medaglie, breviari, foto, disegni, alcuni approssimati e dal tratto incerto, altri ben concepiti e definiti. Ci sono le lettere, talora fitte e frequenti, che i pazienti scrivevano alla famiglia, al direttore, ma anche le note dei medici o dei familiari.
Soprattutto, ci sono le cartelle cliniche dell’ex ospedale psichiatrico di Padova, ora patrimonio dell’Archivio di Stato della città, studiate e scelte da Fabio Zampieri e Alberto Zanatta, storici della medicina dell’università di Padova. Sono documenti che già ad un primo esame fanno emergere, secondo Zampieri, un’evoluzione nel modo di prendere in carico il paziente, testimoniata dalla progressiva riduzione del numero dei parametri fisici raccolti, in favore di note che evidenziano invece la sempre maggiore importanza data al colloquio tra psichiatra e malato, nel tentativo di dare più spazio al vissuto interiore. “Le cartelle cliniche – aggiunge Favaretto – costituiscono il legame che ci resta con queste storie del passato, e sono un mondo ancora tutto da esplorare”.
Continuando nel percorso, accanto alle testimonianze che riguardano i malati ci sono le foto del personale che ha prestato servizio nel manicomio di Padova e dei suoi direttori.
Una sezione specifica è dedicata ai farmaci e agli strumenti che venivano impiegati nel trattamento del paziente psichiatrico, dall’apparecchio per l’elettroshock (tuttora impiegato in alcuni casi in terapia) al macchinario per produrre scariche faradiche, scariche intense e di breve durata di elettricità che potevano essere utilizzate in casi di paralisi di arti o altro.
L’ultima sala propone un viaggio nella storia della psichiatria, passando per l’arte e la cultura. La medicina iniziò a occuparsi dei fenomeni mentali “straordinari” già dal V secolo a.C. e molti dei termini che ancora oggi vengono impiegati per descrivere determinati disturbi mentali, come isteria, mania, fobie, malinconia, angoscia, appartengono proprio a quell’epoca.
Due teche, infine, contengono rispettivamente strumenti per lo studio del cervello post mortem e in vivo. In una vi sono libri, crani e un preparato di encefalo umano; nell’altra è collocato invece un monitor con immagini che rappresentano tecniche di neuroimaging.
“La scelta di allestire una mostra sulla storia della psichiatria a partire dal manicomio di Padova e dei manicomi veneti – osserva il presidente del Musme – non è solo una rievocazione del passato ma anche e soprattutto un segnale dell’importanza del tema della salute mentale oggi e un’azione culturale che ha lo scopo di far conoscere i servizi e combattere i pregiudizi sui disturbi mentali”. E conclude: “Ci auguriamo che questo percorso aiuti il visitatore a superare alcuni di questi pregiudizi, ad avere una visione del disturbo mentale più coerente, più rispettosa delle persone che ne soffrono, nella consapevolezza che oggi molto si può fare attraverso i percorsi di cura”.
Il comitato scientifico della mostra, oltre che da Favaretto, Zampieri e Zanatta, è composto da Raffaele De Caro, Angela Favaro e Giovanni Silvano dell’università di Padova, e da Maria Cristina Zanardi e Roberto Lezzi dell’Azienda ospedaliera di Padova, che hanno contribuito a vario titolo alla selezione del materiale esposto. L’inaugurazione ufficiale avrà luogo il 22 febbraio, giorno in cui si terrà anche il primo della serie di incontri e iniziative che approfondiranno le tematiche affrontate nel corso della mostra.