Cellule cancerose. Foto: National Cancer Institute/Unsplash
Che il nostro corpo sia abitato da miriadi di microrganismi è noto: il microbiota umano è amplissimo ed estremamente diversificato – basti pensare che, secondo alcune stime, le sole comunità microbiche che vivono nell’apparato gastrointestinale di un individuo umano raggiungono il peso di 1,5 kg. La teoria secondo cui, alla luce di questa coesistenza, sarebbe più corretto pensare all’essere umano non come individuo, ma come un vero e proprio ecosistema – o meglio, un olobionte – è ormai ampiamente accreditata.
Un’ulteriore conferma della validità di questo approccio ecosistemico allo studio del corpo umano proviene da due studi pubblicati recentemente sulla rivista Cell, nei quali vengono presentate nuove, importanti scoperte sulla composizione delle comunità microbiche associate ad alcuni tipi di tumori. I due gruppi di ricerca – guidati rispettivamente dalla Duke University di Durham, negli Stati Uniti, e dal Weizman Institute of Science, a Revohot, Israele – hanno condotto una serie di analisi miranti a caratterizzare con precisione la componente fungina delle comunità microbiche tumorali, meno rappresentata, certo, rispetto alle componenti batteriche e virali, ma non per questo meno importante.
Uno dei due studi, presieduto dalla ricercatrice israeliana Lian Narunsky-Haziza, ha caratterizzato il micobioma (cioè il patrimonio genetico fungino) tumorale presente in circa 17.000 pazienti affetti da 35 diversi tipi di tumore, evidenziando le differenze esistenti nella composizione delle colonie di microrganismi che vivono su questi tessuti e osservando le relazioni ecologiche che si instaurano al loro interno.
Il secondo studio, condotto negli Stati Uniti, ha esaminato il tipo di funghi presente in alcuni tessuti tumorali, scelti in base alla presenza, già riscontrata in analisi precedenti, di tracce di micobiota. I tumori scelti sono quelli che colpiscono l’apparato gastrointestinale, nonché quelli che si sviluppano nel cervello, nel seno, nei polmoni. In tutti i tessuti tumorali prelevati da questi organi è stata confermata la presenza di microrganismi fungini, seppur con notevoli differenze in termini di specie prevalenti e di densità delle popolazioni.
Guarda l'intervista completa a Carmen Losasso. Servizio di Sofia Belardinelli, montaggio di Barbara Paknazar
Il micobiota dei tumori
«Che i tumori debbano essere considerati come un microambiente in stretto contatto con l’ambiente esterno ad esso è ormai noto. Già prima di questi due studi, in molti tumori era stata rilevata, oltre alla presenza di batteri, anche quella di alcune specie di funghi, che sembravano poter contribuire alla cancerogenesi», spiega Carmen Losasso, dirigente biologo del Laboratorio di ecologia microbica e genomica dei microrganismi dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, non coinvolta nelle ricerche. «Tuttavia – prosegue la biologa – l’identità di questi funghi e gli effetti che essi provocano nei tumori sono ancora abbastanza sconosciuti. La novità di queste due ricerche è la scoperta, mediante l’analisi di diversi tipi di cancro, che ognuno di questi è colonizzato da specie distinte di funghi, e che è dunque possibile associare ad ogni tipologia di tumore un microambiente caratteristico.
Inoltre, i ricercatori hanno identificato anche una sorta di “firma biologica” microscopica, costituita da poche decine di specie di funghi, che potrebbe rappresentare un marcatore per distinguere le persone sane dai pazienti oncologici. È proprio questa la seconda novità: la possibilità di utilizzare la firma del microbiota e, nello specifico, del micobiota dei tumori per poter individuare precocemente l’insorgenza di una forma tumorale».
Funghi specifici per tumori diversi
Lo studio americano ha rilevato la prevalenza di alcune specie fungine in determinate forme tumorali. Ad esempio, gli autori hanno suggerito che i tumori del tratto intestinale possano essere suddivisi tra tumori associati a Candida albicans e tumori associati a Saccharomyces cerevisiae. A questi due funghi sembrano essere associate, selettivamente, sia alcune altre specie fungine, sia altri microrganismi, come Streptococcus e Clostridium, associati positivamente a C. albicans, e Helicobacter pilorii, associato positivamente a S. cerevisiae. Tali informazioni sono importanti non solo per migliorare la nostra conoscenza del microbiota tumorale, ma anche per identificare la malattia fin dalla prima insorgenza e progettare eventuali strategie di cura.
Nonostante le frequenti interazioni tra cellule degli organismi superiori e microrganismi sia ben nota e – in situazioni fisiologiche – tendenzialmente vantaggiosa per entrambe le parti, quando assistiamo a simili interazioni in un contesto patologico «viene da chiedersi, però, quale sia il vantaggio per le cellule batteriche e per le cellule fungine di risiedere in tessuti tumorali piuttosto che in tessuti sani», afferma Losasso. «Le ragioni possono essere molte, e sono tutte ragioni biologiche, che probabilmente all’inizio non hanno nulla a che fare con la patologia, e che possono invece diventare patologiche in un secondo momento».
«In primo luogo, le cellule tumorali evadono il riconoscimento delle cellule immuni da parte dell’organismo attraverso vari meccanismi: questo è un gran vantaggio per i microrganismi. Quando i batteri e i funghi riescono ad inserirsi in tessuti tumorali, infatti, trovano protezione: il tessuto tumorale garantisce ai microrganismi, funghi compresi, la sopravvivenza – è un rifugio. Bisogna poi considerare che l’ambiente tumorale è un ambiente modificato rispetto a quello dei tessuti normali: è solitamente più ipossico (contiene meno ossigeno), il che determina una riduzione della biodiversità del microbiota e favorisce l’instaurarsi di relazioni molto strette a vantaggio dei pochi microrganismi che riescono ad avere successo in quello specifico ambiente. Probabilmente, proprio questa riduzione di biodiversità è all’origine di situazioni che possono portare all’instaurarsi di relazioni patologiche tra il microbiota e l’organismo che lo ospita.
Infine, i tessuti tumorali sono caratterizzati da una vascolarizzazione fortemente disorganizzata: questo può far sì che i microrganismi passino con maggiore facilità dal tessuto tumorale al circolo sanguigno, o viceversa. Questo aspetto è estremamente interessante, perché la microvascolarizzazione che si forma nei tessuti tumorali è anche causa dello spostamento di cellule tumorali in altre parti dell’organismo, e quindi facilita la colonizzazione di altri tessuti da parte di queste cellule tumorali, con la conseguente formazione di metastasi».
Sviluppi futuri
L’“impronta digitale” – definita dai ricercatori israeliani ‘micotipo’ – costituita dalle interazioni tra funghi, batteri e sistema immunitario è un elemento importante, dal momento che la sua individuazione può aiutare a predire la risposta alle cure del tumore e l’aspettativa di vita del paziente. Seppur non sia ancora possibile, in base ai dati attualmente disponibili, stabilire con certezza l’esistenza di una relazione causale tra il micobiota tumorale e le variazioni nella progressione della malattia, vi è senz’altro almeno una correlazione.
Le potenziali applicazioni in ambito medico sono numerose, e tutte da esplorare: «In ambito clinico, potrebbe essere estremamente interessante utilizzare le “firme biologiche” derivanti dal microbioma come marcatori per identificare eventuali situazioni di tumorigenesi in atto, ma anche per effettuare prognosi, ad esempio valutando il rischio di metastatizzazione», nota la ricercatrice dell’IZS.
«È molto promettente, inoltre, la possibilità di utilizzare microbiota e micobiota come target di nuove terapie. Non si tratta di un’opportunità del tutto nuova, ma oggi, nell’era del next generation sequencing, le informazioni derivanti dalla genomica e dalla metagenomica ci permettono di raggiungere un maggiore livello di precisione, formulando terapie basate sul paziente e anche sul microambiente interno al paziente stesso, terapie che, con ogni probabilità, potranno avere più successo rispetto a terapie più generiche».