SOCIETÀ

Nel futuro, economia e politica si giocheranno nello spazio

La nuova missione congiunta di NASA e SpaceX rappresenta un evento inedito nella storia dell’esplorazione spaziale: non solo perché, dopo 9 anni, gli Stati uniti tornano in orbita con dei mezzi propri, senza dover fare affidamento sulle tecnologie russe, ma perché è la prima volta che un’impresa privata ricopre un ruolo fondamentale nella realizzazione di un progetto spaziale, assumendosi i costi e i rischi di questo processo altamente complesso.

La buona riuscita della missione di prova Demo-2 aprirà nuove prospettive sia in ambito politico sia in campo economico: a fornirci un punto di vista estremamente informato sulla questione è Piero Benvenuti, astrofisico, professore emerito all’università di Padova e attualmente advisor presso il Comitato esecutivo della International Astronomic Union (IAU).

“Questa missione– spiega Benvenuti – ha un’importanza straordinaria da tutti i punti di vista, perché sancisce una volta per tutte l’ingresso nell’attività spaziale dell’industria privata non più soltanto come fornitrice di elementi, ma con la capacità di portare a termine una missione spaziale nella sua interezza, senza l’appoggio delle agenzie spaziali statali.

Aziende come la SpaceX, in ogni caso, si stanno già appropriando dello spazio sul piano commerciale. L’azienda di Elon Musk, ad esempio, ha già avviato la missione Starlink: si tratta della costruzione di una costellazione di satelliti che sarà la base di una rete internet spaziale con la quale si potrà accedere alla tecnologia 5G su scala globale. Insomma, che l’accesso alla space economy non sia più appannaggio esclusivo delle agenzie spaziali nazionali ed internazionali è già un dato di fatto”.

Riferendosi al sempre più facile accesso all’industria spaziale, si parla spesso di una “democratizzazione”: ma quanto vi è di vero in questa descrizione? Non si nasconde piuttosto, in questa corsa alla space economy, il serio rischio di aumentare il divario tra ricchi e poveri?

"Il Trattato sullo spazio extra-atmosferico, in vigore dal 1967, considera lo spazio e tutti i corpi in esso presenti un patrimonio comune dell’umanità: in astratto, dunque, esso dovrebbe essere libero da qualsiasi utilizzo commerciale. Nella realtà, tuttavia, è ovvio che per poter viaggiare nello spazio è necessario avere a disposizione almeno gli strumenti finanziari sufficienti per completare una missione, e quindi accade che non tutti abbiano accesso ad esso.

La dimensione normativa è importante soprattutto in questa fase di innovazione: finora, tutte le imprese spaziali sono state portate avanti dalle agenzie nazionali, che si basano su accordi patrocinati dall’UNOOSA (United Nations Office for Outer Space Affairs), nella cui assemblea siedono circa 90 stati). È in quella sede che si discutono e si elaborano le normative con l’obiettivo di promuovere la cooperazione internazionale ed un accesso “ordinato” allo spazio extra-atmosferico.

Quando in questa attività entrano le imprese private, è necessario capire come controllarle e modificare la legislazione di conseguenza. Quando gli attori si moltiplicano, la gestione normativa si complica: in questo caso, sarà necessario individuare rapidamente delle soluzioni, considerata la velocità dei progressi tecnologici raggiunti dalle aziende private. Se pensiamo, ad esempio, ad un futuro sfruttamento dei minerali presenti negli oggetti spaziali, vi sarà bisogno di una precisa regolamentazione perché non si creino delle vere e proprie guerre spaziali”.

In questo nuovo contesto, in cui lo sfruttamento dello spazio esterno assume un peso sempre maggiore anche sul piano economico, c’è chi sostiene che l’Europa rischi di rimanere indietro, venendo surclassata sia da potenze già affermate come Stati Uniti e Russia, sia da attori emergenti come la Cina. Qual è il punto di vista di un addetto ai lavori?

“Non dimentichiamo che l’Europa – rappresentata nel settore spaziale dall’ESA (European Space Agency) – ha preso decisioni strategiche molto diverse da quelle della NASA: da tempo, infatti, ha deciso di dedicarsi principalmente al monitoraggio e all’osservazione dell’ambiente terrestre, e lo sta facendo con grande successo. Missioni di questo genere risultano certamente meno spettacolari per il pubblico rispetto al lancio di astronauti nello spazio; ma i benefici che ne derivano per i cittadini sono molteplici.

Si pensi, ad esempio, alla rete COSMO-SkyMed, che fornisce immagini radar preziose per lo studio e il monitoraggio dei fenomeni della Terra, o al satellite iperspettrale Prisma, che invia immagini a colori della superficie terrestre fondamentali per le strategie di protezione dell’ambiente. Non è dunque detto che l’Europa sia inferiore alle altre agenzie. È importante sottolineare inoltre che l’ESA, da statuto, esclude ogni missione con finalità militare: le agenzie nazionali europee possono, chiaramente, perseguire anche scopi di difesa (come accade in Italia), ma nel caso dell’ESA questo è del tutto escluso. Non si può certo dire lo stesso per altre grandi agenzie spaziali, come Roscosmos (l’agenzia spaziale russa) e la stessa NASA.

Proprio Stati Uniti e Russia, che stanno nuovamente iniziando una corsa agli armamenti, portano avanti un gioco pericoloso: una guerra spaziale potrebbe avere effetti potenzialmente devastanti per la Terra. La speranza è che ci si renda conto del pericolo di questa corsa agli armamenti spaziali: dipendiamo sempre più strettamente dalle tecnologie spaziali, e attacchi ad esse potrebbero creare crisi di portata globale. La democratizzazione dello spazio porta con sé anche dei rischi: senza un chiaro quadro normativo, il libero accesso allo spazio extra-atmosferico può costituire un trampolino di lancio per lo sviluppo del terrorismo anche in questo settore, mettendo così in serio pericolo molte delle tecnologie su cui, oggi, le società sviluppate si fondano.

L’evoluzione senza vincoli non coincide necessariamente con il progresso, ammoniva Pasolini: il progresso deve essere globale e per tutti, e non settoriale, come a volte è l’evoluzione incontrollata”.

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012