SCIENZA E RICERCA

Galileo: il "nobil occhio" che guarda la Luna

Ciao Pietro. Le colleghe e i colleghi della redazione ti vogliono ricordare nel modo più bello: attraverso i tuoi articoli, il tuo pensiero critico e sempre puntuale. Tra i tanti pezzi che hai scritto – sarebbero troppi da mettere tutti – abbiamo fatto questa piccola selezione che vorrebbe riassumere i tuoi molti punti di vista sulla scienza, sulla società e sulla storia di entrambe.

 

Scrive Italo Calvino: «Appena Galileo Galilei si mette a parlare della luna innalza la sua prosa a un grado di precisione ed evidenza ed insieme di rarefazione lirica prodigiose».

Non c’è dubbio, è nel Sidereus Nuncius, scritto a Padova ma stampato a Venezia il 12 marzo 1610, che Galileo si mette a parlare della Luna raggiungendo un grado di precisione ed evidenza e insieme di rarefazione lirica prodigiose.

La Luna è già nell’incipit:

Avviso Astronomico

che contiene e spiega osservazioni di recente condotte con l’aiuto di un nuovo occhiale sulla faccia della Luna, sulla Via Lattea e le nebulose, su innumerevoli stelle fisse, e su quattro pianeti detti Astri Medicei non mai finora veduti.

Il sidereo annuncio è contenuto in un piccolo libro, 56 pagine, tirato in poche copie, non più di 550. Ma la stampa di quel piccolo libro costituisce per dirla, con Ernst Cassirer: «una svolta in cui le epoche si dividono». Sia perché il resoconto di fatti «non mai finora veduti» è destinato a cambiare per sempre il modo di concepire la realtà nella quale viviamo. Sia perché quello di Galileo per mezzo del «nuovo occhiale» costituisce il primo sguardo profondo lanciato dall’occhio con cui l’universo, dopo miliardi di anni di incubazione evolutiva, ha imparato a osservare sé stesso. 

Galileo è il più nobil occhio, che abbia mai fabbricato la natura Benedetto Castelli

L’occhio con cui l’universo ha imparato a osservare sé stesso è l’uomo. Ma l’occhio di Galileo è davvero particolare. Come scrive Benedetto Castelli, che Galileo ben lo conosce: lui è «il più nobil occhio, che abbia mai fabbricato la natura».

E poi prosegue:

Io dico l'occhio del Signor Galileo Galilei primo Filosofo del Serenissimo Gran Duca di Toscana, occhio tanto privilegiato, e di tanto alte prerogative dotato, che si può dire, e con verità, ch'egli abbia visto piùegli solo, che tutti gli occhi insieme degli uomini passati, ed abbia aperti quelli de' futuri, essendo toccato in gran sorte a lui solo, fare tutti gli scoprimenti celesti ammirandi a' secoli futuri nella via lattea, nelle stelle nebulose, ne' Pianeti Medicei, in Saturno, in Giove, in Marte, in Venere, nella Luna, e nel Sole stesso, e però è degno d'esser eternamente conservato, com'una preziosa gemma, e tanto più, quanto ch'egli è stato ministro di quel suo maravigliosointelletto eccitando a filosofare così altamente delle cose, ond'egli ha trapassato tutti gl'ingegni umani, i quali fin qui si sono intrigati à penetrare i più reconditi segreti della Natura; perdita veramente perniziosissima, e deploranda con lagrime universali di tutti gli occhi umani, ed in particolare dei legittimi investigatori della verità.

È quest’uomo – è questo occhio – che la sera del 12 marzo 1610 sfoglia il libro che divide le epoche. Le prime pagine sono per la Luna. Nel dare a tutti – e in principal modo ad astronomi e filosofi – l’annuncio astronomico sulle «cose mai finora vedute» per mezzo «di un nuovo occhiale», Galileo si mette infatti a parlare immediatamente della Luna.

Perché è sulla faccia della Luna, oltre che nella lontana galassia e nello spazio intorno a Giove, che il fiorentino ha osservato le cose più significative.

Ecco come la sua prosa raggiunge «un grado di precisione ed evidenza ed insieme di rarefazione lirica prodigiose»:

Bellissima cosa e mirabilmente piacevole, vedere il corpo della Luna, lontano da noi quasi sessanta raggi terrestri, così da vicino come distasse solo due di queste dimensioni; così che si mostrano il diametro stesso della Luna quasi trenta volte, la sua superficie quasi novecento, il volume quasi ventisettemila volte maggiori che quando si guardano a occhio nudo: e quindi con la certezza della sensata esperienza chiunque può comprendere che la Luna non è ricoperta da una superficie liscia e levigata, ma scabra e ineguale, e, proprio come la faccia della Terra, piena di grandi sporgenze, profonde cavità e anfratti.

Il Sidereus Nuncius è insieme una grande opera scientifica – un’opera che contribuisce a fare di Galileo uno dei più grandi fisici di ogni tempo – e una grande opera letteraria – un’opera che contribuisce a fare di Galileo uno dei più grandi scrittori italiani di ogni tempo. 

E in quest’opera che addirittura divide le epoche è la Luna più che mai l’«astro narrante». Perché è la Luna il primo oggetto nel cielo verso cui il fisico punta il cannocchiale.

lasciate le terrestri, mi volsi alle speculazioni del cielo; e primamente vidi la Luna così vicina come distasse appena due raggi terrestri.

È dunque sulla Luna che primamente Galileo «vede cosa mai prima vedute». Ed è la Luna il primo oggetto che dal cielo gli restituisce una nuova narrazione del cosmo. Attirando l’attenzione di «tutti quanti amano la vera filosofia». E suscitando la reazione di coloro che invece la odiano.

Osservata col nuovo occhiale, la Luna parla. E Galileo ne restituisce le parole con linguaggio asciutto e preciso. La Luna parla in primo luogo del suo volto, di come appare, della sua luminosità e delle sue macchie, riprendendo il tema e la narrazione raccolti da Plutarco e Dante. Ma le parole, questa volta, hanno una forza affatto nuova. La forza dell’evidenza empirica. La forza delle “sensate esperienze”.

E della definizione di dettaglio. La prima osservazione che Galileo riporta riguarda sì le parti luminose e quelle più opache della Luna. Ma tra le aree lucenti e le macchie scure di cui parla non sono solo quelle visibili a occhio nudo e osservate da tutti fin dai tempi più remoti. Ce ne sono anche altre e distribuite in maniera imprevista. Rispetto, per esempio, alle macchie «grandi e antiche», viste da tutti, lui ne vede in aggiunta di:

minori per ampiezza ma pure così frequenti da coprire l'intera superficie lunare, soprattutto la parte più luminosa: e queste non furono viste da altri prima di noi.

Non è scoperta banale il fatto che sul volto della Luna vi siano piccole e frequenti macchie, accanto a quelle «grandi e antiche». Né è banale che queste minute macchie costellino non solo le parti scure, ma anche le aree più luminose. E infatti sulla base di queste osservazioni, ripetute «più e più volte», Galileo ricava subito a una precisa e clamorosa convinzione:

che la superficie della Luna non è levigata, uniforme ed esattamente sferica, come gran numero di filosofi credette di essa e degli altri corpi celesti, ma ineguale, scabra e con molte cavità e sporgenze, non diversamente dalla faccia della Terra, variata da catene di monti e profonde valli.

È la medesima convinzione di Giordano Bruno. È il medesimo volto della Luna descritto in versi da Ariosto. Ma con una differenza.

Bruno ha immaginato che la Luna fosse della stessa specie della Terra. Galileo lo vede. Ne ha sensata esperienza.

Ariosto ha immaginato la scabrosità della Luna. Ha fantasticato di monti e valli e anfratti della Luna. Galileo li vede coi propri occhi. Vede e descrive le albe luminose e gli splendidi tramonti. Vede che la superficie lunare è persino più scabrosa di quella terrestre. Con valli più profonde e montagne più alte. Sulla base dei dati osservati calcola persino l‘altezza di quei monti. Galileo vede le ombre che si formano tra le valli e dietro gli altissimi monti. Osserva come, nel corso della giornata, quelle ombre si accorciano e si allungano. E verifica che – a causa della diversa esposizione alla luce del Sole – quelle ombre si accorciano e si allungano proprio come succede sulla Terra. Sulla Luna valgono, dunque, le medesime leggi fisiche. La Luna è davvero della stessa specie della Terra.

Eccola, dunque, la prima e grandissima novità. Con il Sidereus Nuncius la Luna diventa definitivamente della stessa specie della Terra. E con lei l’universo intero. Non ci sono più due fisiche, l’una per il mondo corruttibile terrestre e l’altra per il mondo incorruttibile dei cieli. L’osservazione diretta di quei monti e di quelle valli, di quegli anfratti e di quelle ombre, lì sulla luna, spazza via per sempre la plurimillenaria visione cosmica di Aristotele. 

Non sempre, tuttavia, l’osservazione consente di giungere a conclusioni fondate. I sensi possono ingannare. E anche le deduzioni logiche. Galileo applica le leggi di simmetria cosmica appena scoperte per sostenere che, come sulla Terra, le parti luminose della Luna appartengono alla superficie solida e le parti più scure sono mari e oceani. Oggi noi sappiamo che non ci sono mari e oceani sulla Luna e che l’inferenza è stata perlomeno imprudente. Ma il principio che la Luna sussurra a Galileo e che Galileo subito rilancia, quello è corretto: non c’è soluzione di continuità dalle mie parti, la fisica sulla Luna e sopra la Luna è la stessa fisica che vale sulla Terra, nel mondo sublunare.

Galileo coglie dunque una «parentela e similitudine tra la Luna e la Terra» totale. La simmetria è limpida e perfetta. Anche nella capacità di riflettersi reciprocamente la luce. Infatti:

la Terra, grata, rende alla Luna luce pari a quella che essa stessa dalla Luna riceve per quasi tutto il tempo nelle tenebre più profonde della notte.

Conclusione cui Galileo giunge con puntuali argomentazioni astronomiche ed effettuando, probabilmente, un esperimento mentale che non è nuovo. Immagina sé stesso, come Dante e Astolfo, sulla Luna. E immagina come da lassù vedrebbe la Terra: tonda e luminosa, proprio come noi vediamo la Luna. Perché la Terra, grata, restituisce alla Luna la luce riflessa del Sole proprio come la Luna la invia alla Terra. E la luce riflessa della Terra contribuisce a rischiarare le notti lunari proprio come la luce riflessa della Luna contribuisce a rischiarare le notti terrestri.

Dalla Luna, pensa, si vedrebbero anche le fasi terrestri, con tanto di Terra piena, Terra calante, Terra buia e Terra crescente. Questa relazione tra «i due globi» è simmetrica, ma non sincronica. A Luna piena, calcola Galileo, deve corrisponde Terra buia, a Luna calante deve corrispondere Terra crescente.

perché questa relazione è tra i due globi: quando la Terra è maggiormente illuminata dalla Luna, la Luna riceve dalla Terra minor luce e viceversa.

L’esperimento mentale di Galileo è una nostra pura invenzione. Ma i risultati di questo esperimento sono proprio quelli che Galileo affida alle scarne pagine del Sidereus. E si tratta di risultati così rivoluzionari che Galileo annuncia di volerli riprendere e discuterli più diffusamente in un futuro libro, il Sistema del mondo. Libro in cui, promette, approfondirà proprio i temi relativi alla novità di quel «sistema del mondo» che ha scoperto e che risulta informato dai principi di omogeneità e simmetria emersi dalle prime osservazioni della Luna. Ma Galileo ha già le idee molto chiare: quei primi sussurri della Luna vista da vicino propongono una nuova immagine della Terra. Un’immagine copernicana. Nel nuovo libro, infatti:

con molteplici ragionamenti ed esperienze si mostrerà validissima la riflessione della luce solare operata dalla Terra a coloro che van dicendo si debba escluderla dal novero degli astri erranti soprattutto perché non ha moto e luce; e dimostreremo che gira e supera lo splendore della Luna, e non è sentina delle terrestri sordidezze e brutture; questo confermeremo con infinite ragioni natural

Se la Luna è come la Terra, la Terra è astro errante come la Luna.

Mai come in queste pagine la Luna – oltre che astro errante – si è dimostrata “astro narrante”.

 

 

 

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