CULTURA

Gallerie dell'Accademia: luce sul Cinquecento

Le veneziane Gallerie dell'Accademia hanno attraversato un'estate di restauri e trasformazioni. Dalla fine di agosto, gli ambienti al primo piano dedicati all'arte di Giorgione, Bosch, Tiziano, Tintoretto e Veronese, ovvero le sale VI-XI, si mostrano nel loro rinnovato splendore. Si è infatti conclusa la prima delle quattro fasi operative del progetto Grandi Gallerie dell’Accademia di Venezia, inserito ne programma Poli museali d’eccellenza del Ministero per i beni e le attività culturali (con un finanziamento complessivo di nove milioni di euro), avviato con l'obiettivo di superare i limiti dati dalla ristrettezza di spazi, partendo dall'ampliamento del piano terra (dove sono state sistemate le opere dal Seicento all'Ottocento) e offrendo così al pubblico un nuovo e coerente percorso espositivo nelle sale del primo piano interamente restaurate.

Veri e propri capolavori del Cinquecento hanno trovato nuove e felici collocazioni, in grado di valorizzarne storia e bellezza: così la parete dedicata a tre opere di Giorgione, con la Vecchia (il volto segnato, i capelli scomposti, la dentatura imperfetta e il cartiglio con la scritta col tempo) e il Concerto ad abbracciare, nella sala VIII, il piccolo ma incredibile dipinto conosciuto come la Tempesta.

Di dimensioni contenute, realizzato dal maestro di Castelfranco Veneto tra il 1502 e il 1503, su commissione di Gabriele Vendramin, La Tempesta è documentata successivamente nelle collezioni Orsetti e Manfrin. Tra le opere più misteriose e affascinanti dell'arte italiana, è ancora oggi uno scrigno di enigmi, al centro di continui approfondimenti e interpretazioni. Quel cielo nero, denso di nubi cariche di pioggia, solcato dal fulmine, introduce un elemento inedito: la natura, nell'attimo prima di scatenare la sua furia, si offre, per la prima volta, come protagonista assoluta. E nel paesaggio trova posto anche l'elemente umano: in primo piano, ad anticipare la tempesta incombente, ci sono due figure, un giovane soldato con asta e una madre nuda che, rivolgendo lo sguardo verso di noi, allatta il figlio. Quale rapporto lega i due personaggi? Il riferimento a un poemetto encomiastico dei Vendramin identificherebbe il soldato in Silvio, secondogenito di Enea, e la donna nella madre Lavinia al momento di metterlo al mondo nella selva. E ancora, come si legano il paesaggio e i fenomeni atmosferici all'elemento umano? Ogni dettaglio diviene oggetto di molteplici analisi e sforzi interpretativi. 

In questo scenario di recenti restauri e ambienti ripensati, Giorgione e la nascita della "maniera moderna" a Venezia si colloca a metà percorso, nella sala VIII. Prima di giungervi, il visitatore attraversa altri spazi: la sala VI/a, dedicata ai fratelli Gentile e Giovanni Bellini, attorno alla cui bottega gravitarono la maggior parte degli artisti operanti a Venezia tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento, e la sala VI/b (resa indipendente da una nuova parete divisoria) con il ciclo pittorico per le sale dell'albergo della Scuola Grande di San Marco. Nella sala VII sono collocate le visioni di Jheronimus Bosch, uniche testimonianze dell'artista fiammingo in una collezione pubblica italiana, appartenute, stando al racconto di Marcantonio Michiel nel 1521, al cardinale Domenico Grimani (1461-1523).

Dopo la sala di Giorgione, ecco la sala IX e il focus dedicato ad altri artisti tra Venezia e terraferma, con opere di Jacopo Negretti, detto Palma il Vecchio, Rocco Marconi e Lorenzo Lotto; segue l'ampia sala X dedicata a Paolo Caliari, detto Veronese (il quale nel 1551 si trasferisce da Verona a Venezia), esempio eccellente di arte colta concepita su scala monumentale, artista che in breve tempo si fa notare in laguna, ottenendo importanti commissioni pubbliche e private. Infine, ecco Tintoretto e Tiziano, protagonisti della sala XI con opere straordinarie come la Pietà di Tiziano e il Miracolo dello schiavo, gioco sublime di contrasti di luci e ombre, magnifica prova di talento di un Tintoretto non ancora trentenne.

Non è tutto. A fine giugno scorso, le Gallerie hanno riaperto al pubblico la sala che ospita il ciclo delle Storie di Sant'Orsola realizzato da Vittore Carpaccio, tra il 1490 e il 1495, per decorare le pareti della Scuola omonima nella basilica dei Santi Giovanni e Paolo, capolavoro della pittura del Rinascimento ora magnificamente restaurato. I nove teleri erano coperti da vernici alterate e sovrammissioni pittoriche localmente frammentarie, il loro stato conservativo si presentava disomogeneo. Il restauro, preceduto da una fase di studio e analisi diagnostica condotta dall’Istituto superiore per la conservazione e il restauro di Roma e dal Laboratorio scientifico delle Gallerie, a partire dal 2010, è stato realizzato grazie al contributo di Save Venice. L'intervento, iniziato nel 2013, ha portato alla chiusura della sala nell'agosto 2016 e si è ora finalmente concluso.

Il ciclo narra la leggenda altomedievale della principessa Orsola, figlia del re cristiano di Bretagna, chiesta in sposa per il figlio del re pagano d'Inghilterra. Orsola acconsente alla proposta di matrimonio ma, in cambio, pretende la conversione del principe pagano e l'impegno a un comune pellegrinaggio a Roma. Durante il viaggio, sulla via del ritorno, nei pressi di Colonia, i due vengono attaccati dagli Unni e martirizzati insieme a undicimila vergini. Poco prima, nel Sogno di Sant'Orsola, un angelo annuncia il martirio alla principessa; nell'Apoteosi invece, in conclusione del ciclo, Sant'Orsola e il suo seguito di vergini vengono assunte in cielo.

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