Una gara da venti milioni di dollari per scoprire la coscienza. Li mette a disposizione la Templeton World Charity Foundation (TWCF), una fondazione americana che coltiva, insieme, scienza e religione. La gara, tuttavia, è puramente scientifica. Non a caso è stata lanciata al convegno annuale della Society for Neuroscience degli Stati Uniti che si è tenuto a Chicago. L’obiettivo è quello di verificare se c’è e qual è una teoria della coscienza che possa essere empiricamente verificata.
Lo studio del cervello, negli ultimi decenni, ha avuto sviluppi straordinari. Oggi possiamo persino “vedere” quali parti del cervello si attivano quando muoviamo una mano o vediamo qualcun altro muovere una mano. Quando ascoltiamo musica o quando proviamo angoscia. Ma non siamo ancora in grado di capire dove e come si forma la coscienza.
L’impressione, però, è che siamo vicini se non alla soluzione finale del problema, almeno all’imbocco della strada – non sappiamo quanto lunga – che dovrà portarci a capire quella che consideriamo la più nobile delle capacità cognitive nostre e, probabilmente, anche di altri animali non umani.
Di teorie della coscienza ce ne sono molte in giro. Alla TWCF ne hanno valutato almeno una ventina e poi ne hanno scelte due per far partire la gara. La prima è quella che fa capo al francese Stanislas Dehaene del Collège de France di Parigi ed è nota come global workspace theory (GWT). In breve, Stanislas Dehaene, i cui libri sono stati tradotti anche in italiano, sostiene che il segreto della coscienza è situato nella corteccia prefrontale, che controlla i processi cognitivi di più elevato ordine (come, per esempio, il processo della decisione). Questo vero e proprio organo della corteccia opera come un computer centrale, che raccoglie e organizza in un ordine gerarchico le informazioni che provengono dall’ambiente. Dopo averle processate, la corteccia prefrontale passa le informazioni ad altre parti del cervello affinché portino a termine uno specifico obiettivo. Secondo Dehaene il processo di selezione delle informazioni è esattamente ciò che noi chiamiamo coscienza.
Guardiamo, dunque, al processo di selezione. Esso avviene, per sommi capi, così: gli stimoli ambientali raggiungono parti specifiche del cervello. Quelli visivi, per esempio, la corteccia visiva. Questi stimoli vengono, per così dire, presto dimenticati a meno che non riescano a raggiungere la corteccia prefrontale che può essere considerata anche come lo spazio in cui il cervello condivide tutte le informazioni significative. La coscienza è dunque l’elaborazione delle informazioni che sono riuscite a raggiungere la corteccia prefrontale.
La teoria di Stanislas Dehaene ora è pronta a partire (anche) per la gara indetta dalla TWCF.
Se la dovrà vedere con la integrated information theory (IIT), proposta da Giulio Tononi, un italiano, allievo di Gerald Edelman, che lavora negli Stati Uniti alla University of Wisconsin di Madison. Anche di Giulio Tononi possiamo leggere diversi libri in italiano. Secondo Tononi e il suo gruppo, la coscienza consiste, invece, nella interconnettività di varie reti cerebrali. Maggiori sono le connessioni tra queste reti di neuroni maggiore è il grado di coscienza. Anche senza input sensoriali. Secondo la teoria IIT, la coscienza si forma nella parte del cervello chiamata sistema talamo-corticale, dove avvengono le connessioni tra le reti neurali.
Secondo la teoria dell’informazione integrata di Tononi, la coscienza altro non è che la manifestazione della capacità del nostro cervello di integrare l’enorme quantità di informazione che riceve in continuazione. Questa capacità è graduale. La coscienza può variare da un minimo (zero) a un massimo. E questi “gradi di coscienza” possono essere misurati empiricamente. Tononi ha messo a punto un indice – l’indice di complessità perturbativa (PCI) – che è in grado di fornire una misura del livello di coscienza, che consente, tra l’altro, di verificare il livello di coscienza anche in pazienti in stato vegetativo. La tecnica potrebbe rivoluzionare il modo di diagnosticare la morte cerebrale.
Bene, ora la gara promossa dalla Templeton World Charity Foundation può partire. Chi vincerà, tra la GWT di Stanislas Dehaene e la IIT di Giulio Tononi?
Non lo sappiamo. Decideranno infatti il vincitore – se vincitore ci sarà – i test che verranno effettuati, come ha riportato Sara Reardon sulla rivista Science, in sei diversi laboratori distribuiti tra Stati Uniti, Cina, regno Unito e Germania. Vi saranno coinvolti almeno 500 persone e tre diverse tecniche capaci di registrare le attività del cervello di volontari nel corso di attività coscienti. Le tecniche sono la functional magnetic resonance imaging (fMRI), l’elettroencelografia e l’elettrocorticografia. Come in ogni duello che si rispetti, le modalità sono state concordate tra i due sfidanti. Questo è un duello assolutamente incruento che potrebbe portare a un aumento delle conoscenze. In un esperimento, riporta ancora Sara Reardon, si misurerà l’attività del cervello e la sua localizzazione quando una persona diventa consapevole di un’immagine. Secondo la GWT di Dehaene a diventare attiva sarà la corteccia prefrontale, secondo la IIT di Tononi, la parte opposta del cervello.
Qualcuno obietterà, lo sappiamo: ma è questo il modo di fare scienza? Beh sì, somiglia un po’ alle pubbliche disfide che nel Rinascimento videro protagonisti, tra mille altri, Girolamo Cardano, Niccolò Tartaglia, Antonio Maria Del Fiore, Scipione dal Ferro, Ludovico Ferrari. Avevano certo una componente spettacolare, quelle pubbliche sfide. Ma chi può negare che contribuirono ad aumentare le conoscenze matematiche e a far grande la scienza dei numeri italiana nel Cinquecento?
Qualsiasi metodo va bene, se scientificamente solido.
Che la gara inizi, dunque. E che vinca il migliore.