SOCIETÀ

Gas naturale liquefatto: le scelte dell’Europa, il piano italiano e le difficoltà del Giappone

La decisione della Russia di interrompere il 27 aprile scorso le forniture di gas a Polonia e Bulgaria è stata duramente criticata sia dalla presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen, che l’ha definita un ricatto ingiustificato e inaccettabile, sia dalla presidente del Parlamento Europeo Roberta Metsola, che ha chiesto un immediato embargo pan-europeo di tutte le forniture energetiche del Cremlino.

Tra le sanzioni economiche già applicate c’è lo stop (entro 4 mesi) alle importazioni di carbone: quello russo costituisce il 46% delle importazioni europee. È in fase ancorché avanzata di discussione la rinuncia al petrolio russo (pari al 27% delle importazioni europee), mentre incontra ancora diverse resistenze da parte di alcuni Paesi membri quella al gas naturale. Quest’ultima è la risorsa più difficile da sostituire per l’Unione Europea, che ogni anno riceve 155 miliardi di metri cubi dalla Russia, equivalente a circa il 40% del gas che l’Europa consuma e a circa il 90% di quello che importa.

La Commissione Europea già lo scorso 8 marzo aveva presentato un piano energetico, REPowerEU, che mira a fare completamente a meno del gas russo entro la fine di questo decennio e a ridurne le importazioni di due terzi nel giro di un solo anno. Il piano prende le mosse dal pacchetto Fit for 55% del Green Deal europeo, che prevede la riduzione delle emissioni del 55% entro il 2030, e rende ancora più ambiziosi gli obiettivi di transizione energetica a un sistema decarbonizzato.

In sintesi, la strategia europea per fare a meno del gas russo prevede la diversificazione delle forniture di gas, aumentando il carico di trasporto di gasdotti già attivi (provenienti da Algeria, Libia, Azerbaijan, Norvegia); l’aumento delle importazioni di Gas Naturale Liquefatto (GNL), di biometano e di idrogeno; la riduzione dei consumi dell’industria e dell’edilizia (incluso il riscaldamento domestico), anche tramite l’efficientamento energetico e l’elettrificazione di quanti più settori possibili, a partire dalla mobilità.

Il GNL in Europa

Secondo quando riportato nella tabella del piano REPowerEU, le importazioni di GNL dovrebbero aumentare fino a 50 miliardi di metri cubi all’anno entro il 2030: buona parte del GNL verrebbe via nave dagli Stati Uniti, ma anche dal Qatar, dall’Egitto e dall’Africa occidentale. Da solo quindi il GNL sostituirebbe circa un terzo del gas proveniente dalla Russia.

L’Europa ha già intavolato dialoghi con i partner commerciali, ma prima di brindare ai nuovi accordi vanno per lo meno considerate alcune criticità legate a questa soluzione. La prima riguarda l’effettiva disponibilità di GNL nel mercato globale.

“Il presidente Biden ha annunciato che gli Stati Uniti manderanno più gas naturale all’Europa per aiutarla a interrompere la dipendenza dall’energia Russa. Ma il piano resta per lo più simbolico” riporta il New York Times “almeno nel breve termine, perché gli Stati Uniti non hanno abbastanza capacità di esportare più gas e l’Europa non ha la capacità di importarne tanto di più”.

Una seconda problematica riguarda gli l’impatto ambientale di maggiori quantità di GNL. Per utilizzare il gas liquefatto infatti alcuni Paesi europei dovranno costruire nuovi rigassificatori: l’Italia ne ha solo tre in funzione nei pressi di La Spezia, Livorno e Rovigo. Tuttavia, “investire in nuove infrastrutture per i combustibili fossili è moralmente e economicamente una follia” ha dichiarato il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres in occasione della presentazione dell’ultimo rapporto IPCC (Intergovenmental Panel on Climate Change).

Va inoltre considerato che il gas statunitense, che arriverebbe ai rigassificatori europei e italiani via nave dall’Atlantico, è ottenuto in buona parte dall’estrazione del cosiddetto shale gas, ovvero il gas contenuto nelle rocce sedimentarie argillose che viene liberato dalla loro fratturazione tramite l’impiego di getti d’acqua ad altissima pressione, misti a sabbia. La procedura è meglio nota come fracking ed è una delle modalità di estrazione più insostenibili a livello ambientale, non solo per le emissioni che produce, ma anche per la quantità elevatissima di acqua che consuma e per il frequente inquinamento delle falde del sottosuolo.

Aumentare dunque le estrazioni di gas e altri combustibili fossili dal sottosuolo per soddisfare la domanda energetica attuale andrebbe nella direzione diametralmente opposta a quanto indicato, oltre che dall’IPCC, dall’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), secondo cui per avere speranza di rispettare gli accordi di Parigi e mantenere sotto i 2°C il riscaldamento globale si sarebbe dovuto smettere già nel 2021 di inaugurare nuovi siti estrattivi e solo portare a esaurimento quelli già aperti.

Il GNL in Italia e la sostituzione del gas russo

Il ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani il 2 maggio ha annunciato che l’Italia punterà sull’aumento della capacità di rigassificazione, ma che i nuovi impianti saranno galleggianti e dunque, in linea di principio, non avranno una durata di vita trentennale. Il primo dovrebbe entrare in funzione già nel 2023 ed entro il 2025 il GNL che arriva in Italia dovrebbe far risparmiare 12 dei 29 miliardi di metri cubi di gas che ogni anno il nostro Paese importa dalla Russia.

Stando a quanto dichiarato da Cingolani, il GNL che arriverà in Italia proverrà soprattutto da Paesi africani quali Congo e Angola, ma anche dal Qatar e avrà importanza strategica nell'allacciare rapporti con l'Africa e spostare il baricentro geopolitico dell'energia nel Mediterraneo. Il gas naturale in arrivo dall'Algeria via gasdotto infatti è destinato ad aumentare fino a 9 miliardi di metri cubi all'anno dal 2024. Aumenterà anche il carico del gas proveniente dall'Azerbaijan (fino a 1,5 mmc all'anno) e l'estrazione del gas dai giacimenti nazionali (di 1,5 mmc in più).

Per arrivare alla completa sostituzione del gas russo servirà anche il contributo dell'efficientamento energetico, dell'elettrificazione e della riduzione dei consumi, tenendo un po' più basso il riscaldamento domestico d'inverno e un po' più alta la temperatura del condizionatore d'estate: così si risparmierebbe l'equivalente di altri 7 miliardi di metri cubi di gas.

Il GNL in Giappone

Dal Giappone però arrivano segnali a riguardo del fatto che il GNL è una risorsa rischiosa su cui fare affidamento. Come riporta il New York Times, la terza economia mondiale oggi sta facendo seriamente i conti con la fragilità del proprio sistema energetico, al cuore della quale c’è proprio il GNL.

Il Giappone è un Paese che non dispone di grandi risorse energetiche proprie ed è dunque altamente dipendente dalle importazioni di combustibili fossili, ai quali fa affidamento anche per generare energia elettrica.

Secondo i dati della IEA, nel 2020 circa il 40% dell’elettricità giapponese era generata da gas naturale (la maggior parte proprio GNL) e quasi il 30% da carbone, mentre le rinnovabili pesavano per circa il 20%. L’utilizzo del gas è cresciuto specialmente dal 2011, dopo l’incidente di Fukushima. Prima, il nucleare in Giappone produceva più del 20% dell’energia elettrica, mentre nel 2020 ne ha prodotta circa il 5%.

Solo pochi anni fa, il GNL sembrava una soluzione conveniente e molte aziende erano entrate nel mercato giapponese dell’energia elettrica, da poco liberalizzato per contrastare i monopoli esistenti, vendendo contratti di fornitura a prezzi bassi. La pandemia prima e la guerra in Ucraina poi hanno però fatto schizzare alle stelle il costo del GNL: nel giro di pochi anni una trentina di aziende energetiche giapponesi non sono più state in grado di far quadrare i conti e sono fallite.

Gli analisti temono che questo colpo al mercato dell’energia giapponese allontani il Paese dai suoi obiettivi di neutralità climatica previsti per il 2050. In vista del progressivo spegnimento delle centrali a carbone, il GNL era visto come il combustibile della transizione: circa un terzo della produzione di elettricità giapponese dipende dal GNL e il Paese del Sol Levante ne importa circa il 20% delle forniture globali, secondo solo alla Cina.

Ora in Giappone si sta discutendo se sia opportuno tornare al nucleare e al carbone per garantire una sicurezza energetica che l’eccessivo affidamento al GNL sembra aver compromesso. A questo si aggiunge il fatto che le rinnovabili come solare ed eolico non sono mai decollate per le resistenze contrapposte dalle stesse aziende produttrici di energia elettrica, riporta il New York Times.

Alla luce delle difficoltà del Giappone, della scarsa disponibilità sul mercato globale e degli impatti ambientali di estrazione e trasporto, la scelta dell’Europa di far affidamento sul GNL va considerata con attenzione.

Un’analisi indipendente compiuta da un consorzio di think tank quali ha Regulatory Assistance Project, Ember, E3G e Bellona suggerito che l’Europa può diminuire di due terzi le forniture di gas russo entro il 2025 senza dover ricorrere alla costruzione di nuove infrastrutture per i combustibili fossili, inclusi i rigassificatori necessari alla conversione del GNL, ma puntando solo, e convintamente, su efficientamento energetico, elettrificazione e rinnovabili. Il terzo di gas russo mancante andrebbe temporaneamente coperto con un aumento del carico dei gasdotti già esistenti.

Naturalmente nel breve periodo la priorità è quella di non far saltare la corrente e il riscaldamento nel caso di un’improvvisa interruzione delle forniture di gas dalla Russia. Ma le scelte prese su questo fronte non possono compromettere l’obiettivo sul lungo periodo, che è quello di un abbandono dei combustibili fossili e di una completa decarbonizzazione del sistema energetico europeo e globale.

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