SCIENZA E RICERCA
Genere e cervello: perché non è solo una questione biologica
Donne, uomini e cervello. Si è tornati a discutere di un tema ricorrente nel mondo delle neuroscienze: il cervello può avere un genere ben preciso? Può essere puramente femminile o maschile? In The Gendered Brain, ultimo lavoro della neuroscienziata Gina Rippon, docente all'Aston University di Birmingham, si cerca nuovamente di dare una risposta a questa domanda.
L'idea comune è che donne e uomini si comportino in modo diverso perché il loro cervello è diverso: nel corso del tempo, le varie ricerche scientifiche hanno sempre cercato di dare più enfasi alle differenze di genere, alla ricerca di quella diversità all'interno della struttura cerebrale per riuscire a spiegare l'eterogeneità dei comportamenti. “All’interno di un modello di tipo epigenetico probabilistico - attualmente considerato il paradigma epistemologico più consolidato nell’ambito delle Neuroscienze cognitive dello sviluppo - ogni interpretazione che tenda ad estremizzare il ruolo della genetica o dell’ambiente come vettori isolati alla base dello sviluppo non trova più giustificazione scientifica. Nel corso dello sviluppo ontogenetico – spiega il dottor Giovanni Mento, ricercatore in Neuropsicologia dello sviluppo all'università di Padova - l’ambiente esercita un ruolo neuro-costruttivo, tende cioè a costruire plasticamente l’architettura cerebrale in termini di connessioni e circuiti neurali fino a definire in età adulta un sistema altamente complesso e funzionalmente specializzato. In poche parole l’ambiente ha un ruolo molto importante per lo sviluppo neuropsicologico, ma da solo non è in grado di spiegare tutto. Se facessimo un esperimento ideale (che tale dovrebbe rimanere date le perplessità etiche che esso solleverebbe) esponendo sin dalla nascita due bambini ad un ambiente rigorosamente controllato e misurato, non avremmo comunque alcuna garanzia che le traiettorie di sviluppo cognitivo, le caratteristiche di personalità, l’assetto emotivo, il temperamento, etc. avverrebbero in maniera uguale o anche semplicemente simile”.
La tesi che porta avanti la professoressa Rippon prende come fattore principale il contesto esterno per la determinazione del genere: secondo la sua teoria, la società bombarda il cervello con stereotipi. Tenendo conto che biologicamente le donne e gli uomini sono diversi e che il cervello è un organo umano, oggigiorno non si può basare la divisione tra donna e uomo solamente dal punto di vista biologico: natura e cultura coesistono nell'ampio quadro dell'identificazione o meno in un genere. “Riguardo la presenza o meno di dimorfismo sessuale alla nascita, - continua il dottor Mento - se da un lato non sembrano esistere grosse differenze a livello macrostrutturale (al netto di differenze apprezzabili in termini di peso e dimensione), non possiamo comunque escludere che esistano differenze più sottili a livello di assetto neuro-ormonale, connessioni tra regioni diverse, lateralizzazione cerebrale, ecc.
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In favore di questa ipotesi esistono due linee di evidenza scientifica. La prima riguarda l’epidemiologia di alcuni disordini del neurosviluppo quali ad esempio i disturbi dello spettro autistico o il deficit di attenzione/iperattività (ADHD). Sappiamo che in questi casi la prevalenza si presenta con un rapporto maschi-femmine di circa 4:1. La ricerca scientifica sta dimostrando sempre di più che l’origine di questi disturbi va rintracciata già in epoca fetale, dove l’influenza ambientale, almeno in termini di esposizione a comportamenti potenzialmente “sessualizzanti”, è molto limitata se non assente. Un’ipotesi accreditata per spiegare questa differenza è che le donne sono più protette e richiedono mutazioni genetiche più estreme per sviluppare patologie del neurosviluppo. Una seconda linea di ricerca si occupa di studiare la presenza di differenze cognitive e comportamenti alla nascita. Sebbene gli studi al riguardo non siano tantissimi, esistono tuttavia evidenze che associano comportamenti di esplorazione visiva spontanea al sesso. Ad esempio, le femmine sarebbero più orientate all’esplorazione di stimoli potenzialmente rilevanti dal punto di vista sociale quali ad esempio volti, occhi, voci. Un aspetto molto interessante è che questi pattern sono stati replicati anche in macachi sottoposti a un rigido controllo ambientale, escludendo che l’origine di queste differenze siano legate al contesto esterno.
In conclusione, alla luce di quanto sappiamo credo che spostare il peso interamente sul fattore “nature” (leggasi genetica) o su quello “nurture” (leggasi ambiente) non sia una strategia scientificamente produttiva."
Gli stereotipi di genere, tuttavia, fanno parte ancora oggi della vita della società: “Premesso che io non mi occupo né di sociologia né di antropologia, - spiega il ricercatore - quello che posso dire è che nel corso della storia dell’evoluzione umana sono sicuramente state stereotipate le caratteristiche femminili così come quelle maschili. Siccome solo le donne partoriscono e allattano, si è confinato a loro il ruolo della cura, escludendole da qualunque altra attività sociale, dove invece gli uomini si sono spesi in tutti i modi possibili. Credo che questa visione stereotipata abbia delle radici storiche molto profonde. Solo da poco si è iniziato a vedere qualche cambiamento, seppur con molte difficoltà. Oggi ci sono molti uomini che sperimentano con gioia la possibilità di condividere con le compagne le cure dei figli fin dai neonati, così come ci sono donne che scelgono di dedicarsi il più possibile alla carriera.”
“La biologia dei corpi umani è sicuramente un punto di partenza e l’ambiente è il luogo dell’interazione dove entrano in campo anche i fattori culturali che mettono in discussione la gamma di libertà che gli individui possono esprimere. Il problema – continua il dottor Mento - è che gli esseri umani tendono a interpretare le differenze sempre in termini di subordinazione, nel senso che ammettere che esistano delle differenze radicate nella biologia significa sempre dover decidere quale elemento è migliore e quale inferiore. Io credo che la differenza sia sempre ricchezza e se siamo disposti a vedere il femminile e il maschile come qualità che possano essere condivise da maschi e femmine con ricette sempre diverse, allora saremo più sereni a discutere di differenze anche in termini biologici, con particolare riferimento agli aspetti di neuroplasticità”.