SOCIETÀ

Per un governo mondiale

In termini ambientali, Johan Rockström e lo Stockholm Resilience Centre ne hanno individuati ben nove di problemi planetari. In realtà lo scienziato svedese e il suo centro parlano di planetary boundaries, di confini o, se volete, di soglie da non superare (alcune sono già state superate): ma tant’è sono emergenze che coinvolgono il mondo intero e che pretendono una soluzione se non unica, almeno coordinata. Sull’esempio, per intenderci, di quel Protocollo di Montreal che ha messo al bando in tutto il mondo, sia pure in maniera articolata nei modi e nel tempo, le sostanze che aggrediscono l’ozono stratosferico. Non esiste nulla di simile per gli altri planetary boundaries.

Ma di problemi planetari – ce ne stiamo accorgendo in queste settimana – ve ne sono anche di natura sanitaria. Le pandemie, per definizione, interessano il mondo intero e non conoscono confini, mentre pretendono soluzioni, ancora una volta, unitarie e coordinate. Mentre a ogni livello – locale, nazionale, continentale, globale – assistiamo a una frammentazione spinta all’insegna dell’”ognuno per sé e Dio per tutti”.

E che dire, poi, del ritorno al riarmo, compreso quello nucleare, che negli ultimi trent’anni ha bruciato il “dividendo della pace” che qualcuno voleva distribuire ai cittadini di tutto il mondo subito dopo il crollo dell’Unione Sovietica e la possibilità di creare quella che Immanuel Kant chiamava la “pace perpetua”, grazie a un governo mondiale capace di assicurare non la mancanza di conflitti (che i conflitti sono il sale della dinamica sociale), ma di conflitti armati almeno a livello delle nazioni?

Già, il governo mondiale. Il solo accennarne appare come una fuga utopistica dalla realtà. Secondo alcuni, addirittura la proposizione un incubo: una sorta di grande e corrotta e inefficiente dittatura planetaria. Eppure negli ultimi giorni almeno quattro intellettuali italiani hanno ripreso il tema su grandi giornali generalisti. Il primo è stato, a quanto ci risulta, il costituzionalista nonché ex ministro Sabino Cassese, che su La lettura, inserto culturale de Il Corriere della Sera, ha ricordato la figura di un giornalista italiano, Giuseppe Antonio Borgese, che tra il 1945 e il 1947 si è posto alla testa di un gruppo internazionale costituito da sei docenti dell’Università di Chicago, tre delle università di Stanford, Cornell e Harvard, uno di Oxford e uno di Toronto e, sulla base di approfondite discussioni, ha personalmente redatto una “costituzione mondiale”, prevedendo tutte le articolazioni di una democrazia formale compiuta: un governo, appunto; un parlamento rappresentativo dell’intera popolazione del pianeta.

Appare sempre più necessario lavorare a istituzioni globali di garanzia su ambiti vitali come ambiente, istruzione, armamenti, diritti sociali, lotta alle diseguaglianze Vittorio Possenti

Il tema è stato ripreso, poi, su L’Avvenire, da Vittorio Possenti, già docente di filosofia politica presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Il cui articolo, a commento dell’intervento di Cassese, inizia così: «Appare sempre più necessario lavorare a istituzioni globali di garanzia su ambiti vitali come ambiente, istruzione, armamenti, diritti sociali, lotta alle diseguaglianze».

Ancora, con una conversazione pubblicata di nuovo su La lettura e intitolata, esplicitamente, Per un governo del mondo, sono intervenuti Maurizio Ferrera, docente di Scienza politica presso l’Università degli Studi di Milano, e Vinod Aggarwal, che insegna Scienza politica presso l’Università di California a Berkeley.

Dunque non è da ingenui parlarne, del governo mondiale, in un momento in cui sembra dominante il pensiero sovranista: prima gli americani, prima gli italiani, prima i russi, prima i cinesi. Sono le “emergenze planetarie”, come le chiama il fisico Antonino Zichichi, a imporre un pensiero centripeta mentre le nazioni del pianeta Terra corrono via l’una dall’altra come schegge di materia dopo il Big Bang. Sono i fatti tangibili che interessano il pianeta intero – l’ambiente, la salute, la pace, le disuguaglianze, i diritti umani – a chiedere con forza un intervento unitario e coordinato tra gli stati e i popoli.

Il virus SARS-CoV-2 si è diffuso in tutto il mondo contagiando milioni di persone e uccidendone alcune centinaia di migliaia anche perché il mondo non lo ha fronteggiato in maniera unitaria, leale e coordinata. Ognuno è andato per sé, anche nella stessa Unione Europea, è il virus sta punendo tutti. Anzi, nel pieno della lotta, si è tentato di svuotare di ogni funzione anche l’unico, timidissimo embrione di governo mondiale della salute, l’Organizzazione Mondiale di Sanità.

Lo stesso vale per altri embrioni di governo mondiale: come la Convenzione delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici nell’ambito della quale non si riesce a ottenere un consenso globale per contenere l’aumento della temperatura media del pianeta entro gli 1,5 °C o, almeno, entro i 2 °C, come sostengono gli scienziati se si vuole evitare un’evoluzione catastrofica del clima globale.

Mentre da decenni non fa un passo avanti verso il totale disarmo il TNP, il Trattato di non proliferazione nucleare che si regge su una pericolosa asimmetria: distinguendo tra chi ha ufficialmente l’atomica (USA, Russia, Cina, Regno Unito e Francia) e tutti gli altri paesi firmatari. Questi ultimi, tutto sommato, stanno rispettando l’obbligo a non dotarsi dell’arma, mentre i cinque detentori, che pure si sono impegnati a disfarsene in tempi ragionevoli, pensano a tutt’altro. Altri tre paesi non firmatari – India, Pakistan e Israele – non hanno firmato il TNP, non per questo non costituiscono un problema.

Per tutti questi problemi gli esperti del Bulletin of the Atomic Scientists hanno portato le lancette del Doomsday Clock ad appena 100 secondi dalla mezzanotte. Ovvero dalla catastrofe globale. Forse sono troppo pessimisti, questi scienziati: ma le emergenze planetaria che essi indicano reali, concrete, immanenti e per molti versi imminenti.

La soluzione è, dunque, nel governo mondiale? E se sì, che razza di governo dovrebbe essere, il “governo di tutto il mondo”?

L’idea ha patri nobili e antichi. Pare che risalga già ai Romani. E ha avuto nobilissimi sostenitori. Ne citiamo tre, tutti tedeschi, oltre al già ricordato Giuseppe Antonio Borgese e agli accademici, quasi tutti americani, con cui ha collaborato: Immanuel Kant, Albert Einstein e papa Benedetto XVI (al secolo, Joseph Aloisius Ratzinger). Si tratta di persone certamente influenti, ma per cultura e formazione molto diversi tra loro: un filosofo, un fisico, un religioso. Per non fargli torto, dovremmo aggiungere anche l’attuale papa, Francesco (al secolo Jorge Mario Bergoglio), ma rischieremmo di rompere la simmetria disciplinare. O ricordare Jean-Jacques Rousseau, l’Abate si Saint-Pierre, Altiero Spinelli o ancora Aldo Capitini, ma vale la motivazione di cui prima.

Un governo mondiale è l’idea che ha attraversato e attraversa la mente di grandi personalità della cultura

Dunque, Immanuel Kant. Nel 1795 scrive un libro Zum ewigen Frieden. Ein philosophischer Entwurf, ovvero La pace perpetua, in cui riflette sul modo in cui raggiungere questa auspicata condizione. Il grande filosofo di Königsberg per la verità non parla in termini stretti di un governo a scala planetaria, ma piuttosto di leali accordi di pace di tutti i paesi con tutti gli altri che non possono essere violati. Kant propone anche il graduale, ma veloce scioglimento degli eserciti permanenti.

Un’idea che viene ripresa già nella prima parte del Novecento da Albert Einstein (non a caso, perché il fisico ha letto già da giovanissimo Kant) che fonda il suo pacifismo militante su due presupposti: lo scioglimento degli eserciti che invito ai giovani a rifiutare la leva e la formazione, appunto, di un governo mondiale.

Quanto a Benedetto XVI, ecco cosa scrive nell’enciclica Caritas in veritate del 2009, così come ce la ricorda Vittorio Possenti: «Urge la presenza di una vera Autorità politica mondiale, quale è stata già tratteggiata dal mio Predecessore, il Beato Giovanni XXIII. Una simile Autorità dovrà essere regolata dal diritto, attenersi in modo coerente ai principi di sussidiarietà e di solidarietà, essere ordinata alla realizzazione del bene comune, impegnarsi nella realizzazione di un autentico sviluppo umano integrale ispirato ai valori della carità nella verità. Tale Autorità inoltre dovrà essere da tutti riconosciuta, godere di potere effettivo per garantire a ciascuno la sicurezza, l’osservanza della giustizia, il rispetto dei diritti». Già, ci eravamo dimenticati di Giovanni XXIII, il “papa buono”.

Un governo mondiale, dunque, è l’idea che ha attraversato e attraversa la mente di grandi personalità della cultura. Non può essere un’idea ingenua, frutto di un idealismo staccato dalla realtà: perché ingenui non erano e non sono tutte le persone citate.

D’altra parte l’idea del governo mondiale, come ricorda Danilo Zolo, che ha insegnato filosofia e sociologia del diritto presso l’Università di Firenze, in un libro pubblicato nel 1995, Cosmopolis. Zolo, che era stato allievo di Giorgio La Pira, criticava per la verità l’idea del governo mondiale. Però di questa idea ha ricostruito la storia tangibile.

La nascita degli stati moderni con l’affermazione della loro totale indipendenza – allora dalla Chiesa e dall’Impero – è tutta europea e risale alla pace di Westfalia del 1648 con cui viene posto termine alla disastrosa “guerra dei trent’anni” (che si accompagnò, vale la pena ricordarlo, a una serie di epidemie, tra cui quella di peste a Milano del 1630 così ben descritta da Alessandro Manzoni).  La pace tra i popoli europei nelle intenzioni dei convenuti a Westfalia e, poi, nella prassi dei decenni e secoli successivi fu mantenuta dall’equilibrio, altamente instabile, di potenza. Lo stesso che – come equilibrio del terrore – ha impedito una guerra nucleare tra USA e URSS negli anni della guerra che per forza di cose era “fredda”. L’equilibrio nella seconda parte del Novecento – e per certi versi anche ora – si reggeva sulla cosiddetta MAD, mutual assured destruction, la certezza della reciproca distruzione che una guerra nucleare totale non avrebbe avuto alcun vincitore. Tutti avrebbero perso. La stessa civiltà umana avrebbe subito un colpo mortale. L’equilibrio di potenza era (ed è) un più che mai instabile “equilibrio del terrore”.

L’instabilità dell’”equilibrio di potenza” era presente alla mente di molti anche prima di Westfalia. Basti citare Dante Alighieri (tra XIII e XIV secolo) o Carlo V (nel XVI secolo) che hanno preconizzato, in forme diverse, l’idea di una monarchie universelle, su cui hanno scritto filosofi di assoluto valore, come David Hume e come Charles-Louis de Secondat, barone di La Brède e di Montesquieu, autore nel 1734 di un trattato, appunto su La Monarchie universelle. Al grande filosofo politico francese l’idea di un governo mondiale (la monarchia universale) proprio non piaceva.

Tuttavia, ci sono stati, negli ultimi due secoli, almeno tre tentativi di fondare una pace più stabile e meglio regolata. Tre tentativi di fondare un timido “governo mondiale”. Il primo risale al 1815 quando le potenze che hanno sconfitto Napoleone Bonaparte – e, segnatamente, Austria, Gran Bretagna, Prussia e Russia – danno vita alla Santa Alleanza: «Per il bene del mondo – si legge in un documento fondativo della Santa Alleanza – [le potenze vincitrici si impegnano a] prendere le misure più salutari per la tranquillità e la prosperità dei popoli e per il mantenimento della pace tra gli Stati». Tutto questo sarebbe avvenuto mediante periodici incontri tra i rappresentanti di questa sorta di federazione. Alla Santa Alleanza aderiscono un po’ tutte le potenze europee minori, tranne lo Stato pontificio e, in Turchia, il Sultano. Come rileva Danilo Zolo, per la prima volta nella storia europea e mondiale si afferma e si esperisce il principio di una pacifica federazione internazionale, aperta a tutti gli stati, anche se guidata dal direttorio delle quattro potenze vincitrici.

La Santa Alleanza raggiunse anche obiettivi rimarchevoli, come l’abolizione della schiavitù. Ma l’equilibrio era appunto troppo instabile e nell’arco di un decennio venne a termine.

La stessa esigenza di evitare il caos e l’anarchia sulla scena internazionale che aveva generato la Prima guerra mondiale e causato quasi venti milioni di morti portò alla costituzione, nel 1920, della Società delle Nazioni a opera di Francia, Gran Bretagna, Italia e Giappone e su ispirazione del presidente americano Woodrow Wilson (che per questo ottenne il premio Nobel per la pace già nel 1919). Sulla carta la Società delle Nazioni costituiva un “governo mondiale” piuttosto spinto e articolato, con un’Assemblea, il parlamento mondiale costituito dai rappresentanti di tutti gli stati membri; un Consiglio, una sorta di potere esecutivo costituito dai rappresentanti di alcuni stati membri permanenti e da altri nominati dall’Assemblea; un Segretariato permanente e anche una Corte di Giustizia.

La storia della Società delle Nazioni ci offre almeno due insegnamenti: ogni idea del “governo mondiale” non può fondarsi sul dominio di pochi, né sul progetto di mantenere lo status quo congelando ogni conflitto

La Società delle Nazioni è l’istituzione più vicina al “governo mondiale” che sia mai stata realizzata. Ma nel mezzo secolo successivo mostrò tutti i suoi limiti perché, come sottolinea Danilo Zolo, aveva una visione troppo centralistica e dunque sembrava designata a mantenere lo status quo. Progetto soprattutto di marca francese che non teneva conto delle enormi asimmetrie create nei confronti delle potenze sconfitte (la Germania) e anche di quelle nascenti (l’Unione Sovietica).  

La storia della Società delle Nazioni ci offre almeno due insegnamenti: ogni idea del “governo mondiale” non può fondarsi sul dominio di pochi (le potenze vincitrici di una guerra) né sul progetto di mantenere lo status quo congelando ogni conflitto. Il “governo mondiale” deve limitarsi (si fa per dire) a far sì che i conflitti si risolvano in guerre guerreggiate e alla ricerca di soluzioni concordate ad alcuni problemi di carattere universale. Un esempio di successo è la Terza Convenzione di Ginevra del 1925, firmata da sedici stati, con cui si vieta l’uso anche in guerra di armi chimiche.

Ma per i suoi difetti intrinseci (compresa la mancanza del monopolio della forza) la Società delle Nazioni non riuscì a impedire il proseguimento della “lunga guerra civile” scoppiata in Europa nel 1914 e che si concluderà solo con la sconfitta del nazifascismo nel 1945.

Già, il 1945. Il 26 giugno di quell’anno in cui viene a termine la Seconda guerra mondiale vengono tenute a battesimo le Nazioni Unite. Con gli stessi limiti (anzi, con alcuni aggiuntivi) della Società delle Nazioni. Il potere di veto che hanno di fatto le cinque potenze vincitrici (considerate più uguali degli altri) nel Consiglio di Sicurezza ha avuto e ha tuttora un effetto paralizzante. Nonostante le Nazioni Unite, la pace mondiale nel dopoguerra è stata mantenuta dall’”equilibrio del terrore”. E quando l’URSS è finita, al dominio dei due blocchi si è sostituita una frammentazione difficile da governare. In ogni caso negli ultimi 75 anni non sono mancate guerre definite locali e anche guerre combattute nel nome delle Nazioni Unite (in Corea, in Irak, per esempio) ma dalla incerta legittimazione etica.

Le Nazioni Unite non rappresentano certo un modello ideale di “governo mondiale”. Tuttavia sarebbe un errore considerare la loro esistenza come irrilevante se non addirittura dannosa. Esempi positivi della presenza, non facilmente sostituibile delle Nazioni Unite, ne troviamo in molti campi: per esempio l’approvazione, il 10 dicembre 1948, della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.

Le Nazioni Unite non rappresentano certo un modello ideale di “governo mondiale”. Tuttavia sarebbe un errore considerare la loro esistenza come irrilevante se non addirittura dannosa

Ma anche nei tre ambiti che abbiamo indicato all’inizio la presenza delle Nazioni Unite si è rivelata preziosa: la salute, l’ambiente, le armi nucleari. Nel primo caso ricordiamo l’Organizzazione Mondiale di Sanità (OMS) – un piccolo governo mondiale della salute fondato in ambito ONU il 22 luglio 1946 ed entrata in funzione due anni dopo. Nel caso dell’ambiente ricordiamo, oltre al Protocollo di Montreal per l’ozono, le Convenzioni sui Cambiamenti del Clima e sulla Biodiversità approvate a Rio de Janeiro nel 1992 (oltre a una serie sterminata di altri trattati di cui non sempre abbiamo contezza). Per quanto riguarda la pace al tempo delle armi nucleari, ricordiamo il TNP, il Trattato di Non Proliferazione Nucleare, approvato dall'Assemblea generale dell'ONU il primo luglio 1968.

L’OMS, le Convenzioni sul clima e la biodiversità, il TNP sono esempi di un “governo mondiale” limitato ad alcuni settori ben definiti

Certo, nessuna di queste iniziative è stata decisiva. Oggi la pandemia COVID-2019 si diffonde nel mondo con gli stati che non seguono le direttive dell’OMS ma reagiscono ognuno per sé (con evidenti disastri). Oggi si stenta ad applicare le indicazioni drammatiche proposte dagli scienziati in sede di Convenzioni sul clima e sulla biodiversità. Quanto al Trattato di Non Proliferazione è in una condizione di congelamento di una condizione asimmetrica che non sta impedendo neppure una nuova corsa al riarmo.

E tuttavia proviamo a immaginare come sarebbe il mondo senza le Nazioni Unite. Un mondo in cui esisterebbero 200 sistemi sanitari diversi tra loro, senza programmi per esempio di vaccinazione universale (sarebbe mai stato eradicato il vaiolo in un sistema diverso dalle Nazioni Unite?); un mondo che neppure si accorgerebbe delle emergenze cambiamenti climatici ed erosione della biodiversità; un mondo in cui ogni paese si sentirebbe libero di dotarsi di un arsenale nucleare.

Ha, dunque, più che mai ragione Vittorio Possenti: «Appare sempre più necessario lavorare a istituzioni globali di garanzia su ambiti vitali come ambiente, istruzione, armamenti, diritti sociali, lotta alle diseguaglianze». Non vogliamo chiamarlo governo, utilizziamo un termine inglese che sembra più alla moda: governance.

Appare sempre più necessario lavorare a istituzioni globali di garanzia su ambiti vitali come ambiente, istruzione, armamenti, diritti sociali, lotta alle diseguaglianze Vittorio Possenti

Ce lo insegna in questi giorni la pandemia: la mancanza di una governance sufficientemente forte, con un certo potere decisionale, si risolve in un danno per tutti i popoli e per tutti i cittadini del mondo. Riformiamo pure l’OMS, ma nel senso di rafforzarla, non demolirla. Riformiamo pure la diplomazia ecologica, me nel senso di avere un governo mondiale del clima e della biodiversità e degli altri sette “confini planetari”. Riformiamo pure il TNP, ma nel senso di rafforzarlo per arrivare in tempi certi al disarmo nucleare totale.

Certo, dobbiamo fare tutto questo conservando la democrazia. Rafforzando la democrazia come bene universale. Non è semplice in un mondo in cui le dittature e le democrature (le democrazie autoritarie) sembrano ritornare e persino avere, su certuni, un certo appeal. Non è semplice se il sovranismo e il nazionalismo tornano a essere coltivati da grandi masse.

Ma a un “governo mondiale” o, se volete, a una governance globale, sia pure ristretta a pochi, grandissimi problemi, è necessaria. Possiamo aderire alla proposta centralistica di Giuseppe Antonio Borgese oppure a una proposta con istituzioni molto più leggere, ma non possiamo sfuggire il problema: il mondo ha problemi globali, che interessano tutti i cittadini del pianeta e, quindi, ha bisogno di un “governo Mondiale”.

Utopia?

Forse. Ma è grazie alle utopie di persone come Kant, Einstein, Spinelli che alcuni tratti, magari piccoli e tortuosi, li abbiamo fatti per uscire dal caos ingovernabile dell’”ognuno per sé” che porta a quel Bellum omnium contra omnes, quella guerra di tutti contro tutti di cui parlava nel Seicento Thomas Hobbes. E che indebolisce non solo l’umanità con i suoi conflitti interni, ma anche l’umanità rispetto ai pericoli esterni, siano essi il clima o un virus.  

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