SOCIETÀ
Hong Kong, dalle proteste al voto. La vittoria della democrazia anti-Cina
Photo: Reuters/Marko Djurica
Domenica 24 novembre i cittadini di Hong Kong sono stati chiamati alle urne per votare i propri rappresentanti distrettuali. Queste elezioni hanno rappresentato un momento decisivo per la città che da quasi sei mesi è attanagliata da proteste e violenze: in un'apparente situazione di calma, il 71% degli abitanti ha espresso il proprio supporto ai manifestanti, facendo salire in quasi il 90% dei seggi (396 su 452) i candidati democratici e anti-governativi. Un duro colpo per la governatrice filo-pechinese Carrie Lam che di fronte alla lacerante sconfitta ha dichiarato che rispetterà il volere dei cittadini di Hong Kong. L’inaspettato cambiamento di rotta del governo sta facendo dubitare Pechino della propria influenza sulla città; il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha espresso la propria posizione: “Qualsiasi tentativo di danneggiare il livello di prosperità e stabilità della città, non avrà successo”.
Il 9 giugno quasi un milione di cittadini sono scesi in piazza per protestare contro la nuova legge sull’estradizione, ritirata poi il 9 luglio, che avrebbe dato il potere a Pechino di estradare persone per determinati crimini, quindi anche dissidenti politici della Cina continentale che hanno trovato rifugio a Hong Kong. Gli scontri con la polizia, che hanno portato a due vittime e migliaia di feriti, si sono spostati dalle piazze alle scuole e università. Dall’11 novembre, infatti, diversi studenti si sono barricati all’interno del Politecnico di Hong Kong e nel giro di pochi giorni la protesta si è fatta violenta.
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All’alba del 17 novembre, la polizia ha deciso di interrompere lo stallo ed entrare con armi antisommossa: gli studenti assediati hanno risposto con il lancio di mattoni, bombe molotov e utilizzando armi rudimentali. Alcuni manifestanti si sono arresi di fronte alle forze armate, mentre tentavano la fuga attraverso le fogne. Sono ancora presenti all’interno dello stabile diverse decine di persone: secondo la testimonianza di Owen Li, membro del consiglio del Politecnico, la situazione igienica sta peggiorando, anche a causa delle sostanze chimiche che gli studenti hanno utilizzato per produrre bombe molotov.
Mentre Hong Kong stava vivendo momenti di tensione tra manifestanti e governo, il Senato degli Stati uniti ha approvato l’Hong Kong Human Rights and Democracy Act, una legge che appoggia le proteste dei cittadini, prevedendo sanzioni contro le autorità cinesi e di Hong Kong che violano le libertà fondamentali e i diritti umani. Inoltre, stabilisce una revisione annuale dello status speciale dell’ex colonia britannica, sul piano commerciale ed economico in base agli accordi dell’Hong Kong Policy Act. Così facendo, Washington entra in gioco nella partita tra Pechino e Hong Kong.
La risposta della Cina non si è fatta attendere: l’atto degli Stati Uniti viene ritenuto da Pechino una “grave violazione” delle leggi internazionali e un’interferenza negli affari tra la Cina continentale e Hong Kong. Inoltre, il viceministro degli esteri Ma Zhaoxu ha dichiarato che il proprio paese: “Adotterà forti contromisure e gli Usa si faranno carico di tutte le conseguenze”. Per il momento, il documento è ancora senza firma del presidente Trump che da giugno non ha ancora trovato una posizione “fissa” all’interno di triangolo Pechino-Hong Kong-Washington, appoggiando alcune volte il presidente cinese Xi Jinping, mentre altre i manifestanti di Hong Kong.
Hong Kong, l’ex colonia britannica tra Oriente e Occidente
Il Regno Unito, durante la prima Guerra dell’Oppio nel 1842, prese il controllo di Hong Kong e del suo porto, sottraendola all’impero cinese con il trattato di Nanchino nel 1843. Successivamente, il territorio della città si espanse, grazie anche a cessioni per 99 anni da parte della Cina all’impero britannico. L’economia dell’area si basava sia sulla pesca che sul commercio e in poco tempo diventò uno dei nodi più importanti dell’economia asiatica con una visione aperta al capitalismo.
Mentre si avvicinava la scadenza delle cessioni, venne firmata la Dichiarazione congiunta sino-britannica (Pechino, 19 dicembre 1984) in cui si stabiliva il passaggio di Hong Kong alla Cina dal 1 luglio 1997, non istaurando immediatamente un sistema socialista ma lasciando invariato per 50 anni il sistema economico e politico della città. Hong Kong viene definita una “regione amministrativa speciale della Cina”, con un sistema politico abbastanza libero e con una giustizia che si basa su l’Hong Kong Basic law che sancisce il passaggio da Londra a Pechino e sostiene l’autonomia della regione.
Le proteste di quest'anno, tuttavia, non sono state le uniche: già nel 2014, Hong Kong fu protagonista di manifestazioni contro la modifica delle legge elettorale, che avrebbe inserito una “preselezione” dei candidati da parte del Partito comunista, e la minaccia del governo cinese all’autonomia di Hong Kong.