SCIENZA E RICERCA
Idrogeno verde: una soluzione energetica sostenibile, ma attenzione al greenwashing
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La seconda delle sei missioni del Recovery Plan è dedicata a “Rivoluzione verde e Transizione Ecologica”. Questa missione è a sua volta suddivisa in 4 componenti, la seconda delle quali è “Energia rinnovabile, idrogeno e mobilità sostenibile”. A questa componente sono dedicati circa 18 miliardi di euro dei circa 222 del Recovery Plan e 2 miliardi sono allocati specificamente all’idrogeno.
L’idrogeno non è esattamente una fonte di energia, bensì quello che viene chiamato un vettore energetico, cioè un mezzo che consente l’immagazzinamento dell’energia che può poi venire erogata in altre forme, come l’elettricità o la combustione. L’idrogeno in forma di molecola (H2) è però piuttosto raro sul nostro pianeta e quindi va prodotto, a partire dall’acqua con gli elettrolizzatori (che scindono tramite elettrolisi la molecola d’acqua H2O) o a partire da gas o addirittura petrolio. A certe condizioni che dipendono dal modo in cui viene prodotto, l’idrogeno può rappresentare una soluzione energetica sostenibile e può andare ad affiancare o a sostituire fonti energetiche che hanno un maggiore impatto sull’ambiente.
A novembre 2020 il ministero dello sviluppo economico ha pubblicato le linee guida preliminari della Strategia Nazionale Idrogeno, in cui vengono sintetizzati gli obiettivi, e le mosse per raggiungerli, a cui mira questa soluzione energetica nel percorso di decarbonizzazione concordato con l’Europa. Il Recovery Plan o Piano di Ripresa e Resilienza (PNRR) ha assorbito i contenuti di questo documento e di altri, come il Piano Nazionale di Intesa per l’Energia e il Clima (PNIEC) che a gennaio 2020 è stato trasmesso a Bruxelles.
Gli obiettivi programmatici sono quelli di ottenere il 2% circa della penetrazione dell’idrogeno nella domanda energetica entro il 2030, fino a 5 GigaWatt per una riduzione delle emissioni di 8 Mton di CO2 equivalente, e di far salire questa percentuale al 13 – 14% entro il 2050, arrivando fino al 20%
Sono previsti investimenti fino a 10 miliardi di euro nella filiera dell’idrogeno, tra produzione (5 – 7 miliardi), strutture di distribuzione e consumo (stazioni di rifornimento e mezzi, 2 – 3 miliardi) e ricerca e sviluppo di tecnologie (1 miliardo circa). Un tale contributo potrebbe portare alla creazione di 200.000 posti di lavoro temporanei e 10.000 fissi, per un apporto di 27 miliardi di euro al Pil nazionale.
Con Nicola Armaroli, direttore di ricerca dell’Istituto ISOF (Istituto per la Sintesi Organica e Fotoreattività) del CNR di Bologna e direttore della rivista SapereScienza, abbiamo provato a capire come l’idrogeno possa andare ad inserirsi nel paniere energetico attuale, in quali settori possa dare un contributo decisivo e quali suoi utilizzi sarebbe invece bene evitare.
L’idrogeno è una soluzione promettente per i trasporti pesanti come camion a lungo raggio, treni passeggeri e navi, dove assieme ai biocarburanti potrebbe andare a sostituire progressivamente il diesel. È promettente anche per alcuni settori dell’industria pesante come la siderurgia e il petrolchimico, dove andrebbe a sostituire il carbone attualmente utilizzato. Si tratta dei settori cosiddetti hard-to-abate, ovvero caratterizzati da un’alta intensità energetica e dalla mancanza di soluzioni scalabili di elettrificazione.
Meno promettente invece è l’idrogeno per i trasporti leggeri, dall’automobile in giù fino alla bicicletta, in quanto l’elettrico si sta dimostrando, tra quelle green, la soluzione di gran lunga più competitiva e difficilmente sostituibile. Allo stesso modo non sembrerebbe vantaggioso in termini di impatto ambientale pensare a un utilizzo dell’idrogeno per il riscaldamento degli edifici, nonostante si stia discutendo di un utilizzo della rete del gas come infrastruttura in cui miscelare una percentuale di idrogeno.
Tuttavia il punto chiave è che esistono diversi tipi di idrogeno: verde, prodotto da energie rinnovabili come l’elettricità ottenuta dal fotovoltaico; blu, prodotto partendo dal metano e intrappolando la CO2 di scarto nel sottosuolo; grigio, ottenuto dal petrolio, dal gas naturale o dal carbone senza che la CO2 di scarto venga intrappolata; viola, se ottenuto utilizzando energia nucleare. Di tutte queste tipologie solo alcune sono veramente sostenibili in termini di emissioni di gas climalteranti e impatto ambientale. Altre vengono solo fatte passare per soluzioni green.
Intervista sull'idrogeno a Nicola Armaroli, direttore di ricerca dell'Istituto ISOF del CNR di Bologna. Montaggio di Elisa Speronello
“C’è un convitato di pietra che campeggia sulla discussione sull’idrogeno, che è il cosiddetto idrogeno blu” sostiene Armaroli. “Vuol dire partire dal metano, e la CO2 che si ottiene viene stoccata nel sottosuolo. Questa è la prospettiva che le grandi aziende energetiche europee e mondiali propongono dicendo che si può fare. In realtà noi siamo indietrissimo con lo stoccaggio della CO2 e tutti i progetti di stoccaggio della CO2 di grandi dimensioni nel mondo sono andati incontro, nelle ultime settimane uno in Texas e uno in Australia, a grandissimi fallimenti. Quindi la prospettiva dell'idrogeno blu non c'è al momento, non ci sarà per lunghissimo tempo e forse non ci sarà mai. L'unica strada è l'idrogeno verde da fonti rinnovabili”.
Secondo Armaroli l’utilizzo più proficuo che si può fare dell’idrogeno vede un sodalizio tra quest’ultimo ed elettricità prodotta da fonti rinnovabili. Ma “per produrre idrogeno verde in quantità significativa dovremmo avere un enorme surplus di elettricità rinnovabile che al momento non abbiamo” sottolinea. “Se vogliamo arrivare all'idrogeno nel trasporto pesante ad esempio dobbiamo incrementare enormemente la produzione dell’elettricità rinnovabile, in particolare il fotovoltaico che si presta perfettamente, perché nei picchi giornalieri produco idrogeno, poi lo tengo lì nei grandi centri di produzione e magari la sera quando tornano gli autobus li riempio. Lo stesso vale per l’industria pesante. In Italia le fonti rinnovabili coprono già quasi il 40% della domanda elettrica, ma dovremmo quintuplicarla per fare in modo di avere un eccesso di energia elettrica con cui produrre l’idrogeno di cui abbiamo bisogno e che sarebbe sicuramente una buona prospettiva”.
Nonostante le tecnologie per spingere sull’elettrificazione ci siano, le grandi aziende energetiche dispongono di una quantità di gas naturale e metano a cui non sono disposte a rinunciare facilmente. Pertanto spingono in direzione dell’idrogeno blu, ottenuto dal metano, che in realtà potrebbe essere, secondo Armaroli, idrogeno grigio, perché sono ancora molto limitate le capacità di sequestrate e mettere nel sottosuolo l’anidride carbonica. “C'è una grande spinta da parte delle aziende private – ma è normale, è un lobbysmo normale, io non mi scandalizzo di questo – per fare in modo di continuare a utilizzare metano, consapevoli che non potranno bruciarlo in eterno. Tentano allora di usarlo in un altro modo, e a rivenderlo dandogli una patina verde come materia prima per produrre idrogeno. Ecco secondo me questa è una classica operazione di greenwashing, perché non possiamo pensare di risolvere i problemi che abbiamo creato con le strategie che abbiamo utilizzato finora per creare questi problemi stessi: il metano è una componente del problema che abbiamo adesso, non possiamo continuare a usare metano, bisogna cambiare radicalmente”.
Armaroli ha le idee chiare a riguardo: “Il punto è uno solo: buona parte degli idrocarburi che noi sappiamo già esserci, trovati da qualche parte, devono rimanere dove sono, non devono venire estratti. Bisogna completamente cambiare logica. Vogliamo produrre idrogeno? Dobbiamo farlo unicamente con fonti rinnovabili altrimenti noi non ne usciamo. Abbiamo fretta, abbiamo clamorosamente fretta. Come sottotitolo del mio libro “Emergenza energia” che ho scritto l’anno scorso, ho messo “non abbiamo più tempo”. Dobbiamo fare le cose che sappiamo fare: gli elettrolizzatori sono già a buon punto, andiamo avanti lì. L’elettrificazione la sappiamo fare, andiamo avanti lì. L'efficientamento lo sappiamo fare, andiamo avanti lì”.
Nicola Armaroli, Emergenza energia - non abbiamo più tempo, edizioni Dedalo, 2020
Di seguito proponiamo la trascrizione dell’intervista completa a Nicola Armaroli.
Professor Armaroli, partirei dalle basi: che cos’è l’idrogeno, inteso non come elemento della tavola periodica ma come soluzione energetica? Che caratteristiche ha, come si produce, quali e quante tipologie di idrogeno ci sono e che impatto ambientale hanno?
L’idrogeno di cui si parla quando si parla di energia è l'idrogeno molecolare, la molecola H2. L'idrogeno è l'elemento più abbondante nell'universo però nella sua forma molecolare almeno in questo angolo di universo che si chiama Terra praticamente non esiste. Di idrogeno ce n’è ovunque, attaccato gli idrocarburi, nel nostro corpo, nella materia organica, ma è un elemento molto socievole e tende ad attaccarsi ad altri atomi, al carbonio, all'ossigeno, all’azoto.
Quello che ci serve però è l’idrogeno molecolare, che però non c’è e quindi deve essere fatto. Pertanto l'idrogeno non è una fonte di energia ma è un cosiddetto vettore energetico, cioè qualcosa che io posso fare per immagazzinare l'energia e trasformarla da una forma all'altra. Per esempio se ho degli eccessi e di energia rinnovabile posso pensare di usare questa energia per produrre l'idrogeno scindendo l'acqua, H2O, da cui estraggo l’idrogeno (il processo si chiama elettrolisi, ndr), mentre l’ossigeno lo posso rilasciare in atmosfera o comunque riutilizzare.
Il fatto è che oggi l'idrogeno per lo più non lo facciamo così, purtroppo lo estraiamo tipicamente da un'altra molecola, il CH4, cioè il metano, e così si produce CO2 che viene rilasciata in atmosfera. Più del 95% dell’idrogeno prodotto attualmente viene prodotto in questo modo: principalmente dal metano, ma anche talvolta dal petrolio o dal carbone, con l'utilizzo del vapore acqueo e dei catalizzatori. Processi di questo tipo hanno un enorme impatto sull'ambiente.
Ad esempio la produzione di ammoniaca, una molecola fondamentale per produrre fertilizzanti quindi per farci mangiare tutti quanti, richiede la produzione di idrogeno, che poi viene mescolato all'azoto dell’aria ottenendo ammoniaca. Anche in questo caso la produzione di idrogeno è ottenuta partendo dagli idrocarburi e quindi rilasciando emissioni.
Quindi questa non è la strada, perché noi abbiamo il grande problema che produciamo troppa CO2 e stiamo mandando in pallino la termoregolazione del pianeta. Bisogna cambiare strada. L’idrogeno di cui ho parlato finora, quello ottenuto da metano, viene tipicamente chiamato idrogeno grigio. Poi ci sono altri colori, quello da carbone viene chiamato idrogeno marrone, colori i brutti, che richiamano diciamo non la primavera, come invece l’idrogeno verde, cioè prodotto da fonti rinnovabili e in particolare da elettricità rinnovabile. Per produrre idrogeno verde si utilizzano degli elettrolizzatori, cioè le macchine che prendono energia elettrica prodotta da fotovoltaico, eolico, geotermico, idroelettrico e producono idrogeno dall'acqua, tramite elettrolisi. Non c’è carbonio di mezzo e quindi non c'è produzione di gas climalteranti. Questa è la direzione verso cui andare.
Poi c'è anche l'idrogeno viola che è quello ottenuto con l’energia nucleare: è prodotto sempre a partire dall’acqua solo che l’elettricità utilizzata dagli elettrolizzatori viene da centrali nucleari.
Infine c'è una soluzione ibrida, il convitato di pietra che campeggia sulla discussione sull’idrogeno, che è l’idrogeno cosiddetto blu. Vuol dire utilizzare il metano, quindi non acqua, e la CO2 che si ottiene viene stoccata nel sottosuolo.
Questa è la prospettiva che le grandi aziende energetiche europee e mondiali propongono dicendo che si può fare. In realtà noi siamo indietrissimo con lo stoccaggio della CO2 e tutti i progetti di stoccaggio della CO2 di grandi dimensioni nel mondo sono andati incontro nelle ultime settimane, uno in Texas e uno in Australia, a grandissimi fallimenti.
Quindi la prospettiva dell'idrogeno blu non c'è al momento, non ci sarà per lunghissimo tempo e forse non ci sarà mai. L'unica strada è l'idrogeno verde da fonti rinnovabili.
Dopo questa tassonomia dell’idrogeno, molto colorata, le chiederei per quali impieghi è pensato l’idrogeno?
L’idrogeno ha tre potenziali impieghi. Il primo, che è il più banale di tutti e che io scarterei a priori, è quello della combustione: noi possiamo bruciare idrogeno esattamente come facciamo col metano. Siccome il metano ce lo troviamo già bello e pronto nel sottosuolo mentre l'idrogeno ce lo dobbiamo fare, utilizzare l'idrogeno per bruciarlo sarebbe una follia dato che viene prodotto con tutta questa fatica e processi di inefficienza intrinseci. La cosa che noi dobbiamo mettere in cima ai piani del Green Deal dell’Unione Europea è smettere di bruciare il più possibile: dobbiamo uscire dalla logica delle combustioni, perché i motori a combustione sono i più inefficienti di tutti. Per fare l’esempio classico di un'automobile, su 100 unità di energia che entrano nel serbatoio 80 mediamente vengono sprecate in calore perché abbiamo un motore inefficiente. Mentre con l’elettrico la situazione è ribaltata: su 100 unità di energia in una batteria, 80 unità di energia vanno alle ruote, solo 20 vengono sprecate complessivamente nel ciclo.
Il secondo possibile impiego è quello di fare elettricità, cioè noi produciamo elettricità da fonti rinnovabili, con questa produciamo idrogeno dall’acqua e l’idrogeno e lo andiamo a mettere ad esempio in una cella a combustibile. Le celle a combustibile sono quei dispositivi che stanno nelle autovetture a idrogeno, poco diffuse, che convertono idrogeno in elettricità, cioè scindono l'idrogeno nel protone (lo ione H+) e nell’elettrone. Quest’ultimo circola esternamente nel circuito esterno e va ad alimentare il dispositivo, che sia automobile o un telefono, mentre il protone va a combinarsi con l’ossigeno e genera acqua. Le fuel cells hanno un’ottima efficienza quindi questa è una soluzione desiderabile.
Poi c’è la terza che sarebbe molto importante, anzi importantissima in prospettiva, che è quella di utilizzare l’idrogeno nell’industria pesante, ad esempio nelle acciaierie che utilizzano attualmente carbone per scindere in qualche modo il ferro dall'ossigeno: bisogna fare la riduzione del ferro, si dice così. Adesso utilizziamo carbone del per ridurre gli ossidi di ferro, ma un domani potremmo utilizzare idrogeno per fare esattamente la stessa cosa dal punto di vista chimico. È possibile dunque un utilizzo massiccio dell’idrogeno verde nell’industria pesante per decarbonizzarla.
Mi soffermerei sui motori a celle a combustibile, che hanno un’applicazione nei trasporti. L’idrogeno in che modo potrebbe inserirsi come carburante nel settore dei trasporti?
Sicuramente non per il trasporto leggero, intendo automobili, moto e biciclette, perché in quel settore c'è già un concorrente formidabile che è la mobilità elettrica. Non è assolutamente pensabile che l’idrogeno possa competere dalle auto in giù verso il monopattino con con l'elettrico. Le ragioni sono molteplici. La prima è che l'elettricità ha già una rete di distribuzione presente ovunque. Possiamo caricare un automobile in garage. La rete di distribuzione dell’idrogeno non esiste. Un altro motivo è l’efficienza. Se io prendo 100 unità di elettricità rinnovabile e devo far funzionare un auto elettrica nei vari passaggi io ho un po' di perdite però di 100 unità di energia elettrica prodotta dal pannello fotovoltaico alla fine 77 di queste unità arrivano a muovermi le ruote di un’auto elettrica. Se faccio la stessa operazione con un auto a idrogeno, supponiamo di avere pannello fotovoltaico, elettrolizzatore che me lo produce dopodiché idrogeno va nell'auto dove deve essere compresso a 700 atmosfere, va nella cella combustibile e finalmente produce elettricità che va a muovere le ruote, in quel caso dalle 100 unità iniziali me ne arrivano 30, meno della metà di quelle della batteria. È assolutamente impensabile e irrazionale pensare di utilizzare l’idrogeno per la mobilità leggera.
Quando però passiamo al trasporto pesante la situazione cambia radicalmente. L’idrogeno può essere una prospettiva. Per trasporto pesante intendo camion, autobus, navi perché posso pensare di produrlo in grandi centri localizzati come porti, grandi parcheggi di autobus, In modo tale da produrlo lì con a fonti rinnovabili e distribuirlo lì senza bisogno di rete di distribuzione. La cosa importante in questo settore è che gli autobus, i camion, le navi fanno percorsi definiti tipicamente mentre io con l'auto onestamente non so dove andrò fra qualche giorno, probabilmente da nessuna parte perché sono in zona rossa da domani.
Facendo grandi centri produzione, evitando la rete distribuzione per far arrivare l’idrogeno in casa di tutti che è costosissimo, posso pensare di utilizzarlo. Le prospettive che io vedo sul trasporto pesante a lungo termine non domattina possono essere interessanti. Fermo restando che per produrre idrogeno in quantità significativa dovremmo avere un enorme surplus di elettricità rinnovabile che al momento non abbiamo. di un momento non abbiamo. Quindi se vogliamo arrivare all'idrogeno nel trasporto pesante dobbiamo incrementare enormemente la produzione dell’elettricità rinnovabile, in particolare il fotovoltaico che si presta perfettamente perché nei picchi giornalieri produco idrogeno poi lo tengo lì nei grandi centri di produzione e magari la sera quando tornano gli autobus li riempio.
Lo stesso vale per l’industria pesante. In Italia le fonti rinnovabili coprono già quasi il 40% della domanda elettrica, ma dovremmo quintuplicarla per fare in modo di avere un eccesso di energia elettrica con cui produci l’idrogeno di cui abbiamo bisogno e che sarebbe sicuramente una buona prospettiva.
Un aspetto critico che ha evidenziato riguarda la rete di distribuzione dell’idrogeno. Come si pensa verrà strutturata la filiera dell’idrogeno, dalla produzione allo stoccaggio, passando per il trasporto e dunque per la rete di distribuzione?
Attualmente la filiera dell’idrogeno è molto semplice: quasi tutto l’idrogeno prodotto nel mondo viene utilizzato in loco, proprio perché il trasporto dell'idrogeno è un problema. Dove sta il problema? L’idrogeno è la molecola più piccola dell'universo, ha una capacità molto spiccata di andarsi a intrufolare negli interstizi delle strutture metalliche delle condotte attraverso i quali passa. Il materiale con cui si devono fare questi condotti è un acciaio molto particolare. Il costo di quest’acciaio con gli standard di sicurezza e di produzione attuale sarebbe assolutamente proibitivo. Se noi dovessimo pensare di fare una rete dell'idrogeno distribuita quanto la rete del metano, che va dai giacimenti in Siberia o in Algeria a casa nostra, avremo un costo ripeto proibitivo.
Sento dire in giro che per il trasporto dell’idrogeno si pensa a utilizzare la rete esistente del gas. Qui bisogna essere molto chiari e onesti. Finché io penso di utilizzare un mix del 10%-20% può darsi che i metanodotti più nuovi e più controllati possano reggere. Però in questa operazione l’idrogeno lo userei per bruciarlo, che è la cosa più stupida, l'ho già detto prima: non posso fare tutta questa fatica per andare a bruciare l’idrogeno. il futuro del riscaldamento non sono le caldaie che bruciano metano o idrogeno, sono le pompe di calore elettriche, l’elettrificazione del riscaldamento, ed è questo che dobbiamo fare in ottica Recovery Plan, ed è questo che la classe politica si deve mettere in testa. Basta metano, è una strada senza fine, nel senso che non ci porta da nessuna parte. Anche perché il metano ha questo problema ignorato largamente che nel suo cammino dalla Siberia a casa nostra ha varie fasi di perdita e queste perdite non sono minimamente considerate. Sono stati fatti recentemente degli studi negli Stati Uniti, in alcune città Boston, dove si vede che le perdite della rete del gas sono molto più elevate di quello che si pensava. E il problema è che il metano è un gas serra decine di volte più climalterante della CO2 e quindi alla fine il guadagno che io ho a bruciare metano al posto del carbone me lo gioco completamente nel metano che perdo in atmosfera e va a creare effetto serra da solo, di per sé, incombusto.
Quando puoi sento dire che arriveremo a mescolare idrogeno al 50% con il gas, questa è una cosa che non si può ascoltare. Addirittura qualcuno dice utilizzare i metanodotti ad esempio il Transmed che è stato posato 45 anni fa e pensare di utilizzare 100% idrogeno con un’infrastruttura vecchia di decenni è una cosa che francamente non si può ascoltare. Vuol dire non conoscere o far finta di non conoscere gli standard di sicurezza delle condotte. Il problema è che nessuno vuole pagare e allora ci raccontiamo che possiamo usare una rete esistente. Questa è una prospettiva che non ci porta da nessuna parte.
Chi sta investendo sull’idrogeno?
Ci sono delle coalizioni, chiamiamole così, di idrogeno che coinvolgono grandi aziende di produzione e distribuzione europea. C’è n’è una di cui fa parte anche la Snam che ha prodotto anche dei report per l'Unione Europea, perché è importante che il cittadino sappia che il rapporto che parla delle prospettive dell’idrogeno in Europa è stato prodotto da aziende di consulenza private, una delle quali è diretta emanazione di Engie, la più grande azienda energetica francese. Questi report della Commissione Europea non è che sono asettici, la Commissione Europea chiama degli esperti, capita anche a me, in questo caso il report è stato fatto da aziende private. Quindi c'è una grande spinta da parte delle aziende private, ma è normale, è un lobbysmo normale, io non mi scandalizzo di questo, per fare in modo di continuare a utilizzare metano consapevoli che non potranno bruciarlo in eterno tentano di usarlo in un altro modo, ovvero rivenderlo dandogli una patina verde come materia prima per produrre idrogeno. Ecco secondo me questa è una classica operazione di greenwashing, perché non possiamo pensare di risolvere i problemi che abbiamo creato con le strategie che abbiamo utilizzato finora per creare questi problemi stessi: il metano è una componente del problema che abbiamo adesso, non possiamo continuare a usare metano, bisogna cambiare radicalmente. A un certo punto quando i problemi diventano insormontabili bisogna cambiare radicalmente logica. È difficile, è costoso, è uno sfinimento, ma bisogna farlo. Non fossilizziamoci sull’idrogeno blu perché tecnicamente non si può fare.
Tipicamente quello che si fa oggi, che è una follia, è di utilizzare la CO2 per fare il cosiddetto recupero secondario del petrolio. La CO2 va nel sottosuolo, dove ho un gas che non mi serve niente, lo nascondo sotto il tappeto. È chiaro che dal punto di vista del business questa cosa non può stare in piedi, lo capisce anche un bambino di 5 anni. Allora le aziende, con i pochi impianti che ci sono, lo spingono nel sottosuolo dentro delle rocce porose che ospitavano inizialmente petrolio o gas per far uscire più petrolio e gas: si chiama inhanced recovery degli idrocarburi. Ecco io faccio tutta questa fatica, mi costa energia, attenzione, mettere CO2 nel sottosuolo a 2500 metri di profondità come fanno a Gorgon in Australia nell'impianto che è stato chiuso 3 settimane fa.
Quindi io faccio tutta questa operazione per andare a tirar fuori del petrolio e del gas per bruciarli e produrre altra CO2, è una follia. Poi ci sono altri problemi nel mettere la CO2 nel sottosuolo: nessuno può garantire la tenuta del tappo geologico, se me ne esce anche l’1% all’anno in 100 ani l’ho rimessa tutta in atmosfera. Il problema della CO2 è già su scala secolare, prima che il ciclo del carbonio se la mangi passeranno secoli e secoli.
Inoltre quando si va a iniettare CO2 nel sottosuolo è in forma fluida supercritica e quindi ha le caratteristiche per andare, semplifico, a lubrificare delle faglie. Bisogna fare attente considerazioni dal punto di vista sismico. E quando mi vengono a parlare di iniettare la CO2 nel sottosuolo dell'Emilia-Romagna e dell'Adriatico che sono zone notoriamente sismiche mi si gela il sangue.
Il punto è uno solo ed è stato detto e ridetto. Buona parte degli idrocarburi che noi sappiamo già esserci, trovati da qualche parte, devono rimanere dove sono. È inutile spendere energie mentali economiche, e energia vera e propria, per continuare a incaponirci sulla CO2. Bisogna completamente cambiare logica. Vogliamo produrre idrogeno? Dobbiamo farlo unicamente con fonti rinnovabili altrimenti noi non ne usciamo mai da questo problema.
La soluzione che lei caldeggia è l’idrogeno verde, ottenuto con elettrolizzatori a partire dall’acqua. A che punto è la ricerca e lo sviluppo degli elettrolizzatori?
Noi eravamo coinvolti come gruppo di ricerca in un consorzio che c'è ancora e che si chiamava Sunrise e adesso si chiama Sunergy, dove c’erano tante aziende tra cui ad esempio la Siemens. La tecnologia è già abbastanza avanzata. Uno dei problemi della tecnologia è che l’elettrolizzatore non ama molto il fatto dell'intermittenza, uno dei fattori da considerare quello. Però certamente la tecnologia degli elettrolizzatori è enormemente più avanti della tecnologia che non porta nessuna parte del sequestro di CO2. Sicuramente entro i prossimi 10 anni possiamo avere un dispiegamento di elettrolizzatori molto interessante in Europa anche e soprattutto di produzione europea perché l’Europa è molto avanti con questa tecnologia, in modo tale che si riesca a gestire la produzione intermittente e si riesce a gestire in grandi centri produttivi l’idrogeno e fare idrogeno verde. Questa è un'ottima soluzione.
Aggiungo una cosa importante: abbiamo poco tempo per agire. L'Unione Europea dice che al 2030 vuole abbattere le emissioni del 55% rispetto al 1990, cioè nei prossimi 10 anni dovremo fare meglio, per abbattimento di CO2, di quanto non abbiamo fatto negli ultimi 30 anni. E nel 2050 la neutralità climatica. Abbiamo fretta, abbiamo clamorosamente fretta. Come sottotitolo del mio libro “Emergenza energia” che ho scritto l’anno scorso, ho messo “non abbiamo più tempo”. Dobbiamo fare le cose che sappiamo fare: gli elettrolizzatori sono già a buon punto, andiamo avanti lì. L’elettrificazione la sappiamo fare, andiamo avanti lì. L'efficientamento lo sappiamo fare, andiamo avanti lì. Facciamo in fretta e tantissimo le cose che sappiamo fare e finanziamo la ricerca su quelle che non sappiamo ancora fare, ad esempio le varie tecnologie di sequestro della CO2 ce ne sono di più intelligenti rispetto a iniettare la CO2 nel sottosuolo.