Foto: Contrasto
Lampedusa è un porto di mare, da millenni una lingua piccola, lunga e stretta di terraferma, inevitabile approdo e transito per tante rotte mediterranee, da nord e da sud, da ovest e da est. Negli ultimi anni dalla penisola e dal settentrione si arriva soprattutto con ordinari e straordinari aerei di linea, dall’Africa e dal meridione si arriva via mare perlopiù senza alcuna programmazione ufficiale. Non ci sono mai state migrazioni ordinate, responsabili e sicure e l’Italia del precedente ministro plenipotenziario dell’interno ha votato per migrazioni disordinate, irresponsabili e insicure, né l’Europa aveva e ha una seria organica politica immigratoria ed emigratoria; così i pochi noti luoghi di confine migratorio da almeno venti anni subiscono le conseguenze di arrivi massicci e imprevisti. Suppliscono come possono, per quel che possono, le isole con l’antico spirito delle civiltà marinare. Ora il presidente del Consiglio ha annunciato una utile imminente visita, speriamo si faccia davvero al più presto e si adottino poi conseguenti meditati provvedimenti di cura dei valori costituzionali (come il comma 3 dell’articolo 10 della Costituzione italiana), di assistenza in mare, di accoglienza civile, di redistribuzione fra i porti italiani e fra gli stati europei, di canali regolari di ingresso. Siamo sulla stessa barca.
Lampedusa ha una storia millenaria di passaggi e funzioni insulari. Come noto si tratta di una piccola isola italiana nel cuore delle rotte del Mediterraneo centrale, la più grande nel ristretto arcipelago delle Pelagie, un gruppo di due isole e uno scoglio (Lampione), considerate geologicamente più africane che europee, due milioni di anni fa sollevatesi dalle acque nella placca continentale africana. Occupa la latitudine più meridionale del nostro Paese, abbastanza lontana e quasi equidistante da molte terreferme: 113 chilometri dalla Tunisia, 150 da Malta, 205 dalla Sicilia, poco più dalla Libia. Amministrativamente parliamo del Comune italiano di “Lampedusa e Linosa” nella siciliana provincia di Agrigento, circa seimila e cinquecento abitanti (poco più di cinquecento dei quali a Linosa). L’isola maggiore ha una superficie di circa 20 chilometri quadrati; 133 metri risulta la massima altezza sul livello del mare. Lampedusa è da cinquant’anni una delle poche isole minori con un proprio decisivo aeroporto (oltre alle navi) per entrare e uscire, in ragione proprio della grande distanza da terreferme più ampie. Tramite l’aerostazione nel 2019 vi hanno volato e transitato finora quasi 300.000 persone, il trentesimo scalo italiano per volume di traffico, in costante progressiva crescita di rotte e di passeggeri rispetto agli anni precedenti, almeno dal 2015. Dall’area portuale (che si trova a sud-ovest, “guarda” Tunisia e Libia) partono traghetti di linea verso nord, per la vicinissima Linosa e verso Porto Empedocle (la Vigata di Camilleri), sempre con decine di migliaia di passeggeri ogni anno nelle acque nazionali.
Lampedusa ha conosciuto una presenza umana che va indietro nel tempo, agli arabi, ai romani, ai greci, ai fenici, a prima ancora; vari nuclei di coloni (da cui anche secoli fa il famoso Tomasi del Gattopardo), poi i Borbone, poi il Regno d’Italia. Ovviamente è stata anche un’isola-carcere. Per restare all’epoca contemporanea, nel 1872 l’Italia vi impiantò una colonia penale, poi soppressa nel secolo successivo, anche se fu utilizzata come luogo di confino politico dal regime fascista (pure specificamente per omosessuali dal 1936 al 1940). Manca una storia e una geografia delle isole-carceri nella storia italiana (circa quaranta!), europea, mondiale. Certo è che questa aggiunta umana identità di “reclusione” è divenuta di nuovo recentemente molto di moda in isole grandi e piccole di tutti i continenti, come blocco e cuscinetto nei confronti dei migranti. Lampedusa ne è uno dei principali complessi esempi per l’intera Europa, un’identità per certi versi inevitabile sul piano geografico che si intreccia (e talora confligge) con altri caratteri tipici dell’insularità, anche legati a una separazione produttiva e creativa: la pesca, il commercio, il turismo, la bellezza del paesaggio e dell’ecosistema, il dialetto pelagio; tutti caratteri “meticci” comunque, a cavallo e ponte fra i due enormi continenti a sud e a nord. Lampedusa è oggi la porta dell’Europa.
Lampedusa da venti anni è il più transitato filtro detentivo di primo arrivo, accoglienza e soggiorno obbligato per immigrati via mare. Il centro amministrativo fu istituito nel 1998, un Cpta (Centro di permanenza temporanea e assistenza). Nel marzo 2006 prese il via il progetto Praesidium: Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Acnur), Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) e Croce rossa italiana (Cri) ebbero accesso per la prima volta ai detenuti del centro. Il 16 febbraio 2007, con decreto interministeriale, il centro divenne un Cspa (centro per il soccorso e la prima accoglienza), poi Cie dal gennaio 2009, ancora poi c’è la vicenda travolgente dell’ultimo decennio, della sbandierata logica del muro e dell’espulsione, emergenze e naufragi di notte e di giorno, documentati in decine di libri, film, memorie, interviste, documentari, entrati nel cuore e nella consapevolezza di tutti. Solo negli ultimi sei anni più di 15.000 donne uomini bambini sono periti nelle varie traversate (non solo verso l’isola). Ormai la tragica data del 3 ottobre 2013 è purtroppo nei libri di storia, annegarono insieme 368 migranti a poche miglia da Lampedusa, quasi tutti eritrei. Leggiamoli, guardiamoli, soffriamoli e sentiremo tutti un po’ più Lampedusa nel cuore e nel cervello, memoria costante dell’asimmetricità del fenomeno migratorio che fa incontrare persone diverse in contesti drammatici.
Non siamo di fronte ad alcuna invasione. Se si pensa ai dati annuali delle vie del cielo e degli aeroporti (centinaia di migliaia nella sola Lampedusa) gli arrivi tramite le vie del mare e dei porti (al più poche migliaia irregolari a Lampedusa) sono modesti, la percentuale di morti nel viaggio scandalosamente alta. Praticamente nessuno sbarca per risiedere stabilmente sull’isola. Chi arriva via Mediterraneo perlopiù non è libico o tunisino ed è partito da dove risiedeva molti mesi e talora vari anni prima della traversata, il corpo già segnato da viaggi di sofferenze e oppressioni vere (da parte di altri umani). Se è in fuga dal suo paese avrebbe diritto d’asilo, anche attraverso i corridoi umanitari dal suo paese d’origine al nostro continente; se non è in fuga, nulla dice che non possa essere utile alla comunità nazionale dove riesce ad arrivare. Comunque, chiunque arriva ha diritto a un minimo di assistenza sanitaria e civile. Inoltre, ci sarebbero poi l’obbligo internazionale di verifica personale del suo possibile status di rifugiato e l’opportunità europea di valutare per gli altri l’accoglienza con permessi temporanei di soggiorno. A Lampedusa da venti anni, accanto alla consueta vita più o meno civile di ogni altra città, cittadini, operatori, medici, tecnici, soccorritori civili e militari (traumatizzati), lavoratori, amministratori, volontari cercano di fare questo duro lavoro di assistenza, verifica e valutazione, spesso con una forte dose di generoso misconosciuto impegno rispetto a leggi e decreti in continua trasformazione e frequentemente contraddittori.
Negli ultimi anni una tragica routine è sempre continuata, con maggiore o minore clamore, con maggiore o minore centralità rispetto al variare delle rotte di mare e di terra: partenze continue, arrivi frequenti a Lampedusa, a tratti più con barchini o gommoni autonomi, a tratti più grazie alle navi umanitarie; naufragi e soccorsi disperati; cadaveri affondati senza nome, testimoni, rispetto; corpi recuperati dalla guardia costiera e portati sull’isola; sovraccarico dell’ambulatorio e delle strutture di prima accoglienza, hotspot periodicamente al collasso (anche a causa dei tagli governativi). In larga parte le persone raggiungono l’isola autonomamente, a bordo di piccole imbarcazioni di legno o vetroresina, che partono dalle coste libiche e tunisine. La rotta per Lampedusa è scelta spesso se possibile, non la sola, non con frequenza costante; dipende pure dall’inasprirsi o meno dei combattimenti in Libia, dalle opportunità di guadagno per schiavisti e scafisti (che si arricchiscono grazie alla chiusura della fortezza europea), dalle relazioni fra le Guardie Costiere, dalle condizioni delle stagioni e del mare. Nel Mediterraneo al momento non ci sono assett, ovvero risorse, sufficienti per le operazioni di ricerca e soccorso, e questo mette a rischio, drammaticamente, la vita delle persone in viaggio. Nelle ultime settimane è accaduto finalmente che siano stati assegnati altri porti italiani sicuri per lo sbarco (Messina, Taranto, ecc.), che dopo l’arrivo abbia un poco funzionato l’accordo di ripartizione con alcuni (pochi disponibili) altri paesi europei, che siano stati accelerati i trasferimenti delle persone, in nave, dall’isola alla terraferma.
Nel contempo, anche dal 1998 al 2019 l’isola ha continuato a essere ricca di attività sociali ed economiche legate al mare e meta di turismo di massa. Le attività di salvataggio, il contenimento degli arrivati, il pianto per chi non ce l’ha fatta, le telecamere fisse sul porto, le visite ufficiali riguardano una parte dell’isola, una parte della costa meridionale, visto che i passeggeri degli aerei di linea non sono migranti. Sulla restante parte esiste una vita sociale e culturale, una dialettica politica e sindacale, una rete di consumi e interessi che talora vede, ascolta, dibatte da lontano quel che accade intorno al fenomeno migratorio. È un porto di mare e ci sono tante piccole navi “di linea”, non solo traghetti e navi militari: imbarcazioni da diporto, natanti turistici, pescherecci. Ai pescatori si deve una continua presenza in mare che garantisce buone cose da mangiare ma anche monitoraggio della vita a largo. Pur senza una biodiversità particolarmente ricca, sono innumerevoli le specie vegetali e animali che vi si possono osservare con miscuglio di colori e odori, ricchezza di forme, composizioni di paesaggi: baie cale spiagge, falesie e faraglioni, fari e capi, reperti archeologici e culturali, molti dei quali associati a personaggi (pure vip) ed eventi della storia italiana. La spiaggia dei Conigli è oggi uno dei pochi siti del Mediterraneo in cui le tartarughe marine Caretta caretta depongono le uova. L'isola è una riserva naturale terrestre e, dall’ottobre 2002, anche un’Area Marina Protetta istituita con decreto del ministro dell'Ambiente. Vi sono tanti modi per aiutare Lampedusa da lontano, uno a riflettere sulla strutturalità del fenomeno migratorio, un altro è informarsi e informare senza menzogne e luoghi comuni, un altro ancora è progettare di visitarla per godimento e solidarietà, vale la pena.