CULTURA

Le interviste per il Premio Strega 2021: Donatella Di Pietrantonio

“Solo le leggi eterne che governano il moto delle stelle e i cicli delle stagioni sulla Terra porteranno la fortuna […]”. C’è un'unica altra frase, dopo questa, che chiude Borgo Sud, il nuovo romanzo di Donatella di Pietrantonio uscito per Einaudi da non molto e in dozzina al Premio Strega. Ed è certo inusuale raccontare un romanzo a partire dalla fine, anche se – lo sappiamo ma talvolta paiamo dimenticarcene – un libro non si legge solo per sapere come va a finire.

In questo caso però l’intero Borgo Sud è l’evolversi di una storia che il lettore ha già conosciuto, quella raccontata nel L’Arminuta (Einaudi 2017) con cui Di Pierantonio ha vinto, tra gli altri, il Premio Campiello. Questo romanzo, cioè, rappresenta una delle infinite possibilità che una storia di bambini ha di diventare una storia di adulti. Ecco perché ha senso cercarne subito la chiusa. E non serve aver letto il precedente per poter perdersi, qui, in un racconto che mostra – senza centellinarne un goccia di troppo, anzi senza indugiarvi proprio (complice una lingua asciuttissima) – di quanto dolore e quanti bivi sia punteggiata l’esistenza.

La voce narrante era nel romanzo precedente ragazzina e qui s’è fatta donna – studiata, maritata, potenzialmente appagata – e anche il suo modo di raccontare è cresciuto – un italiano pulito che prima era una lingua meticcia (un tratto distintivo de L’Arminuta), fatto di riflessioni meditate ma minimali –. Attorno a lei ruota ancora Adriana la sorella ribelle, disordinata e ruvida, i genitori ormai anziani, e soprattutto Piero, l’uomo che ha scelto e che continua ad amare nonostante.

In questo suo breve romanzo fatto di continui salti temporali, ma anche spaziali, tra la Francia (dove la protagonista si rifugia, per non dire che proprio vi fugge) e varie località del Centro Italia (il paese d’origine, Borgo Sud, Macerata dove per un breve tempo insegna, Chieti ecc.), si compone un mosaico di frammenti esistenziali che per loro natura non s’incastrano bene, non s’incastrano più.

In questa ultima opera Di Pietrantonio racconta il potenziale sbrecciato di una vita che va giocoforza in frantumi, perché succede sempre: “Nella casa che i suoi genitori avevano comprato per gli sposi che eravamo stati, gli arredi, i quadri, piatti e bicchieri si separavano prima di noi: quelli che i parenti avevano regalato a Piero, quelli miei. Gli oggetti erano decisi, noi avremmo impiegato molto di più a dividere una vita dall’altra”. Di Pietrantonio con questo suo raccontare ci assolve, sia che abbiamo avuto un’infanzia infelice, un matrimonio sfilacciato, o una sorella con cui non siamo andati mai d’accordo, sia che possa essere sembrato andare, a tratti almeno, tutto secondo le previsioni. In definitiva, nel ricostruire la vita dei suoi personaggi, raccoglie l’imperfezione e ce la restituisce nuda e, così facendo, paradossalmente sopportabile.

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