foto di Emiliano Ponzi
È in odor di vittoria quest’ultima fatica di Andrea Bajani, Il libro delle case, su cui l’editore Feltrinelli punta fin dal primo momento. Anche se, contrariamente alla "tradizione” del Premio, non si tratta assolutamente di un libro nemmeno vagamente mainstream, senza per questo significare che sia un libro per pochi. Nossignore.
Il libro delle case è però un romanzo che l’autore per primo vorrebbe venisse letto lentamente: è la storia di Io (cioè di un personaggio, una prima persona raccontata in terza) e della sua vita, delle sue relazioni fondamentali – con Madre, Padre, Moglie, Bambina, Parenti, Nonna, Nonno, Tartaruga, la Ragazza Vergine, Donna ecc. – così come si sono dipanate attraverso i luoghi, o meglio le case, in cui ha vissuto. Come se queste fossero l’essenza prima e ultima, materiale e tangibile dei fatti della vita, il puro riflesso di quel che ci accade scevro da qualsiasi superfetazione.
Va letto con calma, questo libro, per diverse ragioni: in primis perché richiede al lettore di essere costantemente “qui e ora” (che tecnicamente è “lì e allora”) senza trascurare mai i particolari. Perché è il dettaglio, in questo romanzo, che costruisce l’esperienza di lettura. Certo c’è la “storia”, ma come c’è nella vita: non è un libro che si legge per sapere come va a finire ma per entrare dentro tutte quelle case (una trentina, forse di più) e, così facendo, dentro la propria, di vita.
In secondo luogo c’è la scrittura: perfetta, pulita, ricercata, stringata, fortemente in sottrazione che fa dei vuoti e dei silenzi, e dei salti temporali, la sua cifra. È un modo di narrare che per alcuni versi si avvicina alla forma poetica, ma non certo per ermetismo, quanto viceversa per la lucidità della restituzione sfacciatamente sincera e sempre calibrata.
E poi c’è la nostalgia, letteralmente “il dolore del ritorno”, ch’è quello cui ci costringe Bajani in questa sua prova, quando,obbligando se stesso a guardare la vita (la sua?) da fuori, in realtà ci è prepotentemente dentro, spingendo noi a ritornare nelle nostre e a sentire l’eco del “mai più”, del “c’è stato una volta”, del “non avrei mai immaginato potesse accadere così”. Tutto questo raccontato attraverso lo spazio, in cui collassa il tempo. E bisogna prendere ogni tanto il fiato, per attraversare la nostalgia.
Va letto dieci pagine alla volta, quindi, questo romanzo, perché è denso, perché è fortemente simbolico.
LEGGI ANCHE:
La dozzina del Premio Strega 2021
Le interviste per il Premio Strega 2021: Teresa Ciabatti
Le interviste per il Premio Strega 2021: Giulia Caminito
Le interviste per Il Premio Strega 2021: Maria Grazia Calandrone
Le interviste per il Premio Strega 2021: Emanuele Trevi
Le interviste per il Premio Strega 2021: Donatella Di Pietrantonio