CULTURA

"Io resto", la vita in ospedale nel primo mese di pandemia

Il racconto del primo mese di pandemia, il dolore, l'impegno, l'empatia nelle corsie di un ospedale. Si intitola Io resto ed è il primo documentario a raccontare l'Italia colpita dal Covid-19, attraverso i volti e le storie di chi ha sofferto, i malati e i loro parenti, e dei medici e degli infermieri che hanno lavorato senza sosta per salvare vite, restando sempre in prima linea. Firmato dal regista veronese Michele Aiello, prodotto da Zalab Film, dopo la presentazione nella sezione Grande Angle del 52° Visions du Réel di Nyon, è arrivato a inizio giugno, in anteprima nazionale, al Biografilm festival di Bologna, festival cinematografico internazionale interamente dedicato alle biografie e ai racconti di vita.

Un documentario che resterà come testimonianza di quel che è stato e siamo stati, non ai balconi delle nostre case ma tra le corsie e nelle stanze degli ospedali.

Marzo 2020, una videocamera si muove negli spazi del reparto Malattie infettive degli Spedali civili di Brescia e, con rispetto e cura, racconta le relazioni tra pazienti e personale sanitario durante lo scoppio della pandemia da Covid-19, passando dalla vita alla morte, dalle confortanti notizie di una guarigione alla dolorosa comunicazione di una perdita. Suscitando in chi guarda un moto di autentica e profonda partecipazione, il regista non spinge mai sulla pietà ma osserva il reale, e lo fa con delicatezza e al tempo stesso con intensità.

Incrociamo così l'impegno quotidiano di medici e infermieri e le storie dei pazienti, tre in particolare: quella di Franco, che fatica a respirare e può vedere moglie e figlia solo in videochiamata, quella di Elena, paziente protagonista, nel giorno delle dimissioni, di un incontro emozionante e liberatorio con la sorella medico in servizio nello stesso reparto, e quella, dolcissima, di Giuseppina, che bacia l'infermiera attraverso il vetro, che balla nella sua stanza, che sorride e poi si commuove, e a cui è affidato un finale (che qui non verrà rivelato) di pura tenerezza.

Io Resto / My Place Is Here - International Trailer from ZaLab on Vimeo.

"Una settimana prima che venisse annunciato il primo lockdown nazionale, nel marzo 2020, io stavo a Bologna per seguire la mia prima regia - racconta Michele Aiello -. Ricordo che un amico mi disse: dovresti accendere la telecamera e non spegnerla più. In tanti l'avranno pensato. Aveva ragione, ma io sentivo una grande responsabilità: come si fa a raccontare una cosa così? Il giorno dopo ho capito che quello che mi interessava era raccontare ciò che stava accadendo dentro un ospedale. I giornalisti stavano raccontando i numeri, con la drammatizzazione dell'evento, e io ho pensato che quel che stava succedendo poteva invece essere raccontato in modo più lento e meno violento, a partire dall'isolamento dei malati che stavano iniziando a morire in ospedale senza poter vedere i parenti e a partire dal peso portato da infermieri e dottori chiamati a fare da intermediari tra pazienti e famiglie, a distanza. Ho risposto a un istinto che mi diceva: Filma questa cosa perché negli anni futuri le news non basteranno".

Quando sono iniziate le riprese? 

"L'11 marzo 2020 ho scritto a Milano e Bergamo, nel frattempo vedevo che Brescia iniziava ad avere una dinamica simile. Ho contattato i primari degli ospedali, tutti mi hanno dato la possibilità a livello ideale. Infine è stato il direttore di Malattie infettive di Brescia a dialogare con la direzione generale e mi hanno lasciato entrare". 

Di medici e infermieri racconti l'impegno quotidiano, ma come sei riuscito a raccontare le storie dei pazienti? Come ti sei avvicinato a loro?

"È stato estremamente difficile. Noi giravamo seguendo principalmente le attività dei sanitari, fermandoci quando qualcuno si rendeva disponibile. Ma con i pazienti le cose sono andate diversamente. Le grandi finestre ci permettevano di vedere i pazienti dentro le loro stanze, ma non potevamo parlarci, ovviamente: è stato complicato. Quando ho ricontattato Franco e la moglie, al termine delle riprese, lui si ricordava poco di quello che era successo, non si ricordava molto di me, del resto io sono entrato nella sua stanza solo un paio di volte. Ci siamo parlati dopo, a guarigione avvenuta e a film finito, e Franco mi ha detto: Hai fatto una cosa straordinaria, non importa se sono stato ripreso in un momento critico. Con Giuseppina è andata diversamente: lei ha scelto noi. Ci avevano parlato di lei, un giorno passando davanti alla sua stanza, Giuseppina ha fermato un'infermiera e, indicandoci, ha detto: Guarda che loro vogliono intervistarmi. Non era vero, ma a quel punto ci siamo fermati e il bacio, che è diventato poi il poster del film, si è consumato in quel momento. Questo per dire che la disponibilità delle persone riprese ha fatto tanto. Elena, invece, ci ha pensato un po', all'inizio ha accettato di farsi riprendere perché si è affidata alla sorella medico. Poi si è presa qualche giorno per rifletterci. Infine, ci ha permesso di entrare quando la sorella è andata a trovarla. Diciamo che ho raggiunto livelli di intimità altissimi nel tempo in cui sono rimasto dentro quella bolla, in ospedale".

Quali sono state le maggiori difficoltà che hai incontrato durante le riprese?

"La prima: ho deciso di prendermi il rischio di non fare interviste frontali, ma restare fuori. Questo è stato un primo punto critico. Non ho imposto la mia presenza nel film, ho deciso di non essere io a dialogare con i medici e i malati, volevo che il pubblico potesse immergersi completamente nelle storie. Non è stata una scelta facile. Inoltre, altra difficoltà: la vita dell'ospedale è fatta di orari e turni, alcuni infermieri li vedi un giorno e poi non li incroci più, così per i pazienti, perché il decorso della malattia è molto rapido e molti vengono spostati, trasferiti. Tutto questo mi ha destabilizzato, a un certo punto mi sono chiesto: ma io questa storia ce l'ho in mano, o no? Perché era diventato un affresco con tante persone coinvolte. Nelle note di regia ho anche scritto che, per superare le difficoltà e cercare di fare un buon film, ho cercato di ritrovare la sensibilità di mia mamma, il suo approccio al mestiere (la madre del regista è medico, ndr)". 

Hai mai avuto paura?

"All'inizio, nella fase di primo contatto con gli ospedali, ho sentito salire l'adrenalina. Poi, una volta arrivato l'ok da Brescia, ho cominciato a provare un po' di paura. Mi son detto: e adesso? Cosa faccio? Non si sapeva ancora niente della malattia ma potevo contare sull'età, sono giovane. In ogni caso mi son allontanato dai miei genitori, ho preso un appartamento per il tempo delle riprese e lì ho vissuto insieme a Luca Gennari (che ha co-firmato il soggetto e ha curato la fotografia del documentario, ndr). Avevo anche un'altra paura: quella di non essere all'altezza, di non riuscire a raccontare una cosa così grande". 

Io resto: a chi idealmente possiamo affidare queste parole?

"Sicuramente a medici e infermieri rimasti in prima linea. Dal punto di vista dei sanitari, quindi, quel Io resto, per me, è sempre stato abbastanza chiaro. Non lo era, invece, dal punto di vista dei pazienti. Quando ho visto il film con Giusi (Giuseppina, ndr) lei si è messa a riflettere sul titolo e mi ha detto: Io posso dire di essere restata, ho combattuto per rimanere in vita" .


Io resto (My place is here)

Regia: Michele Aiello

Soggetto: Michele Aiello, Luca Gennari

Fotografia: Luca Gennari

Montaggio: Corrado Iuvara

Musiche originali: Francesco Ambrosini

Montaggio e missaggio del suono: Massimo Mariani - Fullcode SAS

Colore: Corrado Iuvara

Prodotto da Michele Aiello e ZALAB FILM in collaborazione con RCE Foto Verona e Comune di Brescia-Film Commission

POTREBBE INTERESSARTI

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012