SCIENZA E RICERCA

Israele, cosa ci dicono i primi risultati sulla campagna di vaccinazione

Mentre il piano vaccinale italiano procede in modo lievemente diverso da quanto stabilito inizialmente, e mentre imperversano delle inevitabili polemiche per quanto riguarda la minore distribuzione per alcune settimane dei vaccini Pfizer, c’è un Paese in cui quasi il 90% della sua popolazione oltre i 60 anni è già stata vaccinata. 

Stiamo parlando di Israele che, al 6 febbraio 2021, aveva utilizzato 62,87 dosi per 100 abitanti, un dato di gran lunga il migliore al mondo (al secondo posto c’è la Gran Bretagna con 17,64 seguita dagli  sono gli Stati Uniti con 11,12 su 100 abitanti).

Israele sta utilizzando il vaccino Pfizer-BioNTech e l’alta percentuale di over 60 vaccinati include anche la somministrazione della seconda dose (iniziata il 2 febbraio scorso). La velocità con cui gli israeliani stanno vaccinando la popolazione può essere molto utile anche per cercare delle evidenze scientifiche.

 

I primi risultati

I dati raccolti dal Ministero della Salute israeliano sono decisamente confortanti. Mostrano infatti che c'è stato un calo del 41% delle infezioni confermate da COVID-19 nella fascia d’età over 60, e c’è stato un calo del 31% dei ricoveri da metà gennaio all'inizio di febbraio. 

Come si può notare dal grafico sottostante, se si fa la stessa analisi per le persone con 59 anni o meno, si può notare come i casi siano diminuiti solo del 12% e le ospedalizzazioni del 5% nello stesso periodo. È importante sapere però, che questa fascia d’età è stata coperta dalle vaccinazione solamente per circa il 30% del totale.

Da questi dati quindi si possono dedurre due piccole ma importanti considerazioni: i vaccini somministrati in Israele (Pfizer-BioNTech) funzionano e fanno calare sia i ricoveri che le infezioni. Quest’ultimo dato quindi, rafforza l’idea che il vaccino riesca a bloccare anche il contagio. Come sempre la scienza ha bisogno di tempo per trarre delle conclusioni che possano essere ritenute definitive, o quantomeno in grado di non essere confutate. Israele però, grazie alla sua velocità di vaccinazione, è diventata anche un caso di studio utile a tutto il mondo.

Il ruolo delle misure restrittive

I dati israeliani sono indubbiamente positivi, ma ora bisogna stare attenti a mantenere un rigore scientifico nel leggerli e non cadere in facili banalizzazioni. Quel che è certo è che i contagi ed i ricoveri sono diminuiti ma questo può anche non essere dovuto solamente alla vaccinazione. In Israele infatti a gennaio (con decisione del 27 dicembre 2020) sono state imposte misure restrittive importanti, tra cui la chiusura dell’unico aeroporto internazionale del Paese.

Restrizioni che, venerdì scorso, sono state lievemente allentate. Gli israeliani non saranno più limitati a dover rimanere entro il chilometro (500 iarde) dalle loro case e saranno nuovamente aperti servizi come parrucchieri e saloni di bellezza, riserve naturali e parchi nazionali. L’aeroporto internazionale invece, rimarrà ancora chiuso.

Per cercare di capire ancora meglio come la vaccinazione abbia influito nella diminuzione dei casi, dei ricercatori del Weizmann Institute of Science di Rehovot hanno analizzato i recenti dati anche in confronto alle restrizioni che c’erano state durante il settembre scorso. 

Da queste analisi si è visto come l’attuale calo del numero di casi e dei ricoveri non è stato osservato durante lo scorso lockdown, cioè ben prima che venisse aperta la campagna vaccinale. Semplificando quindi si può dire che i vaccini sembrano funzionare, ma per capire concretamente qual è il loro impatto bisogna attendere. È inevitabile che in un periodo in cui si cercano risposte semplici e veloci, l’attesa possa essere vista come un problema. Il tempo però è fondamentale nelle ricerche scientifiche, e non solo.

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