Jean Cocteau. La rivincita del giocoliere - Peggy Guggenheim Collection. Foto: Matteo De Fina
Una mano regge un libro aperto, un'altra un paio di forbici, la terza una penna, la quarta un pennello. La quinta raggiunge le labbra per permettere all’artista di fumare una sigaretta, la sesta è libera, pronta ad accogliere una nuova attività. Sei mani in movimento definiscono il favoloso mondo di Jean Cocteau, facendo sintesi di molteplici talenti e anticipando i propositi di un percorso espositivo che racconta la storia di un artista brillante, fuori dagli schemi, coraggioso e visionario.
Nel ritratto in bianco e nero, realizzato nel 1949 dal fotografo Philippe Halsman per la rivista LIFE, Cocteau sembra una creatura mitologica dotata di superpoteri eppure, proprio a causa della sua poliedricità, fu criticato da chi, incapace di inserirlo in una categoria, preferiva definirlo dilettante. Vero e proprio modello di fluidità artistica, dichiaratamente omosessuale e con una dipendenza dall'oppio di cui non faceva mistero, esplora temi e discipline senza porsi limiti, aprendosi alle contaminazioni.
Figura di spicco nel panorama culturale francese del Novecento, amico di intellettuali e artisti come Pablo Picasso, Coco Chanel ed Edith Piaf, collaboratore della stilista Elsa Schiaparelli (con la quale crea l'orecchino a forma di occhio con una lacrima di perla), Cocteau resta comunque un incompreso tra i suoi contemporanei, attivando così un cortocircuito tra fama e scarsa considerazione. La scrittura, il disegno, la pittura, la scultura, il teatro, il cinema, la fotografia, diverse discipline esplorate sempre con passione, a tal punto che, scrive W. H. Auden, “la sua opera ci lascia una sensazione perdurante di felicità, non perché escluda la sofferenza, ma perché in essa nulla è rifiutato, rimpianto, o crea rancore. La felicità è un segno di saggezza, più affidabile di quanto si creda, e forse Cocteau ne ha più di altri”.
USA. NYC. 1949. Il poeta, artista e regista francese Jean Cocteau. © Philippe Halsman / Magnum Photos
Jean Cocteau. La rivincita del giocoliere (fino al 16 settembre) è un'occasione di scoperta dell'avventura artistica e umana di uno spirito libero, innamorato della poesia della vita: nel titolo del suo film Il sangue di un poeta rivela un'idea poetica dell'arte che attraversa diverse modalità espressive: poésie de roman (romanzo), poésie graphique (disegno), poésie de théâtre (teatro), poésie critique (saggistica) e poésie cinématographique (cinema). Si definisce poeta ed è anche romanziere, drammaturgo e critico, scrive memorie e testi su arte e musica, si dedica alla scrittura di viaggio. In lui, parole e immagini coesistono senza riuscire realmente a prevalere le une sulle altre: i frontespizi dei libri regalati riportano tracce scritte e disegnate, impreziosite da una stella o dalla lira, simbolo di Orfeo, il cui mito - insieme ad altri elementi della mitologia greca - resta una costante nella sua produzione e nel suo immaginario.
Oltre le opere, la mostra racconta una bella storia: quella di un artista e del suo rapporto con Peggy Guggenheim e con Venezia, città che visita per la prima volta a quindici anni e dove, dopo il secondo conflitto mondiale, torna con regolarità per la Mostra del Cinema. Il suo rapporto con la laguna è forte e così la sua amicizia con la mecenate americana: in uno scatto del 1956 Cocteau è sulla terrazza di Palazzo Venier dei Leoni e indossa gli iconici occhiali da sole di Peggy. L’incontro tra i due avviene nel 1938 quando, su suggerimento di Marcel Duchamp, Guggenheim inaugura la sua galleria londinese debuttando nel campo dell’arte proprio con una mostra di disegni di Cocteau. Il progetto prevede l'esposizione dei preparatori per l'opera teatrale I cavalieri della tavola rotonda e di un disegno realizzato su un lenzuolo destinato, infine, a una visione per pochi. A raccontare i dettagli della vicenda e la sua conclusione è la stessa Peggy Guggenheim: "Era un soggetto allegorico dal titolo La paura dona le ali al coraggio e includeva un ritratto dell’attore Jean Marais che, con altre due figure molto decadenti, compariva con i peli del pube scoperti. Cocteau vi aveva attaccato delle foglie, ma il disegno provocò un grande scandalo alla dogana britannica, che lo bloccò a Croydon. Marcel [Duchamp] e io ci precipitammo là. Chiesi perché si opponevano al nudo in arte: mi risposero che non era il nudo, ma i peli del pube che li spaventavano. Promisi di non mostrare questo lenzuolo al pubblico, ma solo privatamente a pochi amici, e così mi permisero di prenderlo. Mi piaceva tanto che alla fine lo comprai".
Foto: Matteo De Fina
Curata da Kenneth E. Silver, storico dell'arte alla New York University, la mostra presenta oltre centocinquanta lavori: dai disegni alle opere grafiche, dai gioielli agli arazzi, e ancora libri, riviste, fotografie, film provenienti da Centre Georges Pompidou di Parigi, Phoenix Art Museum, Nouveau Musée National de Monaco, Musee Jean Cocteau, Collection Séverin Wunderman a Menton e da privati come la Collezione Cartier, da cui arriva la spada che nel 1955 lo accompagna nell’elezione all’Académie Française: decorata nell'impugnatura con il profilo dagli occhi blu, come Orfeo, la preziosa spada da accademico - in oro, argento, smeraldo, rubino, diamante e opale bianco - mostra le iniziali e altri simboli tratti dai suoi romanzi e film.
Nel video in bianco e nero Messaggio all'anno 2000, registrato in Francia un anno prima di morire, seduto nella sala da pranzo di Villa Santo Sospir, da lui decorata, davanti al suo arazzo Giuditta e Oloferne (1948), Cocteau riflette sulla sua eredità e rivolge un pensiero al futuro: "In verità la mia opera mi somiglia più dell'immagine che ora avete davanti agli occhi. Se la mia opera è valida, desidero che sulla mia tomba vengano scritte le parole je débute (io inizio)". Una lezione per generazioni di artisti.
Foto: Matteo De Fina