CULTURA

L’Arte informale tra Italia e Giappone

Informale è l’arte che va oltre la prigione della linea di contorno: oltre il ritratto, ma anche oltre le superfici e le linee geometriche che caratterizzano la prima stagione dell’astrattismo. Nasce così l’Art autre, come la definirà il critico Michel Tapié, lo stesso che conierà il termine Informel. Rimangono allora i colori e i materiali a sollecitare i sensi: in una parola le emozioni.

È una vera e propria rivoluzione quella che caratterizza la pittura nei primi anni del secondo dopoguerra, che riflette un mondo che nella ferocia del conflitto sembra aver perso i punti di riferimento, prima che arrivi la Pop art a ristabilire il culto del consumismo e del dio mercato. Ci si ribella contro la dittatura del realismo in ogni sua forma – fascista, socialista o borghese – a beneficio dell’arte come gesto liberatorio ed estremo. Un linguaggio che negli anni ‘50 sorge quasi in contemporanea in tutto il mondo in ambienti diversissimi: dagli Stati Uniti, dove la nuova tendenza assume le forme dell’Abstract expressionism di Pollock e de Kooning, all’Europa e in particolare all’Italia, con maestri del calibro di Emilio Vedova, Alberto Burri e Lucio Fontana; fino al Giappone, dove Shōzō Shimamoto nel 1954 fonda assieme ad altri il movimento Gutai. “Questi artisti sentivano che il figurativo in qualche modo non li rappresentava più – spiega Enrica Feltracco, curatrice della mostra assieme a Matteo Vanzan –. Avevano bisogno di un linguaggio nuovo, che in seguito è stato variamente definito: energia pura, intenzione, forza emotiva del segno, dinamicità della linea, potenza del tratto libero, trasformazione, negazione, superamento…”.

Questi artisti sentivano che il figurativo in qualche modo non li rappresentava più: avevano bisogno di un linguaggio nuovo

A questo movimento fondamentale per l’evoluzione del gusto e dell’espressione artistica è dedicata la mostra Vedova / Shimamoto: Informale da Occidente ad Oriente, presso il Museo Civico di Asolo (Tv) fino al 15 novembre, organizzata da Comune, Museo e agenzia MV Eventi. L'esposizione è un percorso di circa 60 opere provenienti da collezioni private e traccia un parallelo invitante e per molti versi inedito tra movimento informale europeo e in particolare italiano e quello giapponese. “L’Informale è affascinante perché costringe sempre ad andare oltre – continua Feltracco –. Nel progettare la mostra abbiamo pensato più volte a questi artisti e al loro coraggio, al loro andare contro l’arte figurativa per lasciare tutto all’emozione. Ci è piaciuto misurarci con questa grande libertà espressiva: non solo di grandi maestri come Vedova, Afro e Santomaso, ma anche di esponenti meno noti come Gina Roma, grandissima artista di Conegliano, o il chioggiotto Caraceni”. La mostra segue altre esposizioni che sono state allestite nelle sale del Museo Civico di Asolo dedicate ad esperienze artistiche del secolo scorso che, partendo dagli artisti più rappresentativi o da eventi di rilievo, hanno voluto raccontare diversi percorsi di ricerca del ‘900. Andy Warhol, Mario Schifano e Woodstock sono stati il filo conduttore delle mostre degli anni scorsi.

Protagonisti assoluti dell’evento di quest’anno sono Emilio Vedova e Shōzō Shimamoto, a cui sono dedicate le prime due sale, profondamente diversi eppure con molte cose in comune negli intenti e nel linguaggio. C’è la forza e l’impegno dell’artista veneziano, per il quale ogni opera è la faticosa ed eroica conquista dell’espressione si sé e che però è allo stesso tempo profondamente influenzato dalle avanguardie, a cominciare futurismo. E poi c’è l’artista giapponese, che ha il coraggio di gettare via il pennello per liberare i colori e che trasforma la creazione in performance pubblica, in cui spesso lancia sulle grandi tele bottiglie piene di colore come bombe atomiche. Dissacranti, iconoclasti, eppure destinati a loro volta ad essere riveriti come grandi maestri. Il percorso di seguito si sviluppa attraverso le opere di artisti come Afro, Burri, Jenkins, Fontana, Mathieu, Miotte, Morlotti, Mukai, Santomaso, Schneider, Shimamoto, Sumi, Tobey, Uemae, Yoshihara, introducendo alla ricerca di coloro che, partendo dalla riorganizzazione del dato percettivo, hanno saputo evidenziare la violenza espressiva e la struttura stessa della materia e del colore.

“Ci piaceva mostrare come l’informale viene interpretato in maniera diversa in Italia, in America e in Giappone – conclude Feltracco –. Mentre in Europa artisti continuano ancora ad essere molto legati al segno e alla materia, in Shimamoto il gesto diventa totalmente libero. Anche per Vedova, uno dei più grandi in assoluto dell’arte informale e dell’arte italiana in generale, il gesto è fondamentale, ma il maestro veneziano non dimentica mai il segno. Anzi, è proprio in alcuni lavori in bianco e nero, nei chiaroscuri che riesce a creare, che si vede tutta la sua arte”. Riflettere sull’Informale italiana significa anche rievocare un’epoca d’oro in cui Venezia era davvero un centro fondamentale della produzione artistica mondiale, in cui Vedova e Santomaso si incontravano e discutevano al Caffè Florian con Peggy Guggenheim. “Venezia fu la capitale dell’Informale, un po’ come Roma lo è stata per la Pop art italiana. Non solo per la presenza della Biennale, ma anche perché è stato il luogo in cui molti di questi artisti si sono incontrati e confrontati. Una cosa che purtroppo oggi non accade più tanto spesso”.


Vedova / Shimamoto: Informale da Occidente ad Oriente

Fino al 15 novembre 2020

Asolo (Tv), Museo Civico

www.museoasolo.it – info@museoasolo.it

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