SCIENZA E RICERCA

E se l'essere umano inquinasse anche la Luna?

Chang’e 5 è stata la prima del nuovo ciclo di missioni spaziali verso la Luna, ed ora che le sue preziose rocce sono arrivate sulla Terra per essere studiate, si accendono una serie di preoccupazioni sulla salvaguardia dell’ecosistema del nostro satellite. Effettivamente la Terra è l’unico corpo celeste in cui l’uomo vive e la situazione non è delle migliori: tra cambiamento climatico, sfruttamento intensivo delle risorse e inquinamento di varie tipologie, c’è poco da stare tranquilli. La domanda che la comunità scientifica si pone è quindi giusta: può l’uomo, con le sue tecnologie e con la sua visione delle cose, rovinare la Luna? Inquinarla, in prima battuta, mettendo a rischio quegli studi scientifici che solo un ambiente incontaminato può assicurare? 

La questione è più delicata di quanto possa sembrare e le preoccupazioni sono maggiormente legate all’abbondanza di missioni previste nel corso del prossimo decennio. Sono almeno otto i veicoli spaziali pronti ad atterrare sulla Luna solo nei prossimi tre anni, provenienti da nazioni come Russia, India, Cina, Giappone e, ovviamente, Stati Uniti. Ma ciò che c’è di diverso, rispetto a tutte le missioni precedenti, comprese quelle del programma Apollo, è il luogo in cui atterreranno: i poli. Si tratta di aree mai esplorate prima e di conseguenza hanno un appeal scientifico molto grande, soprattutto per chi vuole studiare l’acqua che riposa congelata all’ombra dei crateri lunari

Il ghiaccio lunare è essenzialmente il fulcro delle preoccupazioni, ma anche delle ambizioni di chi pianifica un insediamento stabile sul nostro satellite. L’inquinamento dovuto al traffico sulla Luna preoccupa i geologi desiderosi di mettere le mani sul ghiaccio, ma ancora di più sono preoccupati dalle necessità degli ingegneri aerospaziali, che bramano il ghiaccio per usarlo come carburante per le loro opere di ingegno. L’estrazione del ghiaccio infatti è fondamentale per produrre in loco il carburante per permettere il lancio dalle future basi lunari, perché l’ossigeno che si ottiene dalla molecola dell’acqua diventerebbe il propellente dei razzi.

Se la soluzione più ovvia per salvaguardare l’acqua e il ghiaccio lunare può sembrare quella di trasportare dalla Terra le risorse, ci pensa il dottor Gabriele Cremonese a motivare il perché questa scelta non sia percorribile. Il ricercatore dell’INAF, Osservatorio di Padova, spiega che l’astronauta parte dalla Terra, arriva prima sulla base lunare orbitante (il Lunar Gateway è previsto per il 2024) e da lì raggiungerà la base lunare sulla superficie del satellite. Se in ogni passaggio dovrà portarsi dietro anche il carburante le dimensioni delle navicelle necessarie per il trasporto sarebbe eccessivo. “Esistono una serie di esperimenti, la In-Situ Research Utilization” continua Cremonese, “che stanno mettendo a punto delle tecnologie in grado di ricavare ossigeno dall’acqua. In realtà sembra che ci siano anche alcune rocce minerali da cui si può estrarre l’ossigeno; anche se vengono pensate essenzialmente per Marte, perché la Luna è un punto intermedio. L’obiettivo è Marte”.

Ma il ghiaccio lunare interessa così tanto gli scienziati perché può racchiudere molte informazioni che riguardano la Luna, la sua formazione, ma anche la Terra e il sistema solare tutto. Nessuno, negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, si era preoccupato di contaminare il ghiaccio lunare, perché si pensava che la Luna fosse arida. Nel corso degli ultimi dieci anni, invece, si è trovata l’evidenza di acqua in svariati luoghi, anche congelata nei crateri dei poli. Quest’acqua potrebbe essere arrivata sulla Luna con asteroidi e comete ricche d’acqua, oppure con il vento solare; una parte dell’acqua potrebbe essere arrivata dall’interno, sprigionata da eruzioni vulcaniche. Indipendentemente da dove sia la sua origine, l’acqua nella sua forma di ghiaccio contiene informazioni scientifiche straordinarie. Il ghiaccio potrebbe essersi accumulato nel corso di miliardi di anni, così facendo c'è la possibilità che abbia inglobato elementi volatili che molto avrebbero da raccontare sulla Luna, e di conseguenza della Terra, del passato. Infatti l’ipotesi più accreditata sulla formazione della Luna prevede che un oggetto gigantesco si sia schiantato contro la neonata Terra circa 4,5 miliardi di anni fa, dando origine a detriti che si sono poi fusi nella Luna. Sulla Terra l’attività geologica ha cancellato le tracce dell’impatto, ma la Luna, non avendo questo tipo di attività, può aver conservato molti indizi da studiare.

Intervista completa al dottor Cremonese. Servizio e montaggio di Elisa Speronello

Il dottor Cremonese avverte però che ancora non si sa che tipo di acqua ci sia sulla Luna. Si tratta di un’acqua identica a quella terrestre, è simile, o è arrivata appunto con le comete? In alcuni casi è stato possibile capire che acqua si ha di fronte, come è successo con la sonda Rosetta sulla cometa 67P/Churyumov Gerasimenko, in altri è invece necessario procedere con le analisi in sito, misurando il contenuto isotopico delle molecole dell’acqua, ovvero il contenuto di deuterio rispetto all’idrogeno.

Se sulla capacità informativa scientificamente rilevante del ghiaccio lo studioso dell’Inaf non ha dubbi, lungo il versante formato dalle preoccupazioni circa l’inquinamento si dimostra più scettico. “Penso che inquinare l’acqua che c’è sulla Luna sia difficile, o comunque ci vorranno tanti anni e tante infrastrutture. Ci sono migliaia di chilometri quadrati sui poli in cui potrebbe esserci dell’acqua, perché sono perennemente in ombra all’interno di alcuni crateri” afferma Cremonese e ricorda anche che la Luna non ha un’atmosfera, di conseguenza ogni agente inquinante che potrebbe derivare dal passaggio di lander o rover rimane circoscritto nella regione in cui si trova. 

Si tratta quindi di cercare di trovare un bilanciamento tra la spinta all’utilizzo delle risorse con la necessità di scoperte e conoscenze scientifiche. Cospar, il gruppo internazionale, ha svolto un sondaggio tra gli scienziati planetari rilevando che più del 70% dei partecipanti è preoccupato che la contaminazione possa compromettere le informazioni scientifiche contenute nel ghiaccio lunare. 

Alcune possibili soluzioni sono state proposte, come quella di effettuare una missione, prima che il traffico verso la Luna si intensifichi, in un cratere in ombra su uno dei due poli, raccogliere campioni di ghiaccio ragionevolmente non contaminati, in modo che gli scienziati abbiano un parametro utile per analizzare i campioni che arriveranno in seguito. Il problema di questa proposta è che attualmente non ci sono fondi stanziati per una missione di questo tipo, ma la Nasa, e in generale le altre agenzie spaziali, non sono sorde alle preoccupazioni degli scienziati. La stessa Cospar sta valutando se inserire nuove linee guida per l’esplorazione lunare. Quelle attuali prevedono di tenere un elenco di tutti i materiali organici a bordo delle navicelle. Una possibile modifica potrebbe prevedere di includere nella lista i gas che vengono sprigionati dai razzi o dai sistemi di supporto vitale. 

Video di presentazione della missione Artemis della Nasa

Altri tentativi di mediazione degli interessi in ballo prevedono di riservare uno dei due poli alla scienza, mentre l’altro può essere usato per l’estrazione e l’esplorazione. Oppure definire una zona di contenimento in corrispondenza di alcuni crateri pieni di ghiaccio, dopo tutto, dicono gli scienziati, non tutti hanno bisogno di essere esplorati. 

C’è da dire anche che una fetta di scienziati non si dimostra troppo preoccupati dalla possibile contaminazione, perché il vapore acqueo, che proviene dai gas di scarico dei razzi, va a formare uno strato sottile sulla parte superiore del ghiaccio. A quel punto basterebbe rimuoverlo, o scavarne al di sotto, per trovare il ghiaccio incontaminato.

Seppure questi studi possano far tirare un sospiro di sollievo a molti, non bisogna dimenticare che la questione va presa soprattutto con lungimiranza, perché, come dimostrato dal rinnovato interesse verso la Luna dei nostri giorni, nessuno può sapere che tipo di scienza le generazioni future vorranno e potranno fare.

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