SCIENZA E RICERCA

L’interazione tra cuore e cervello detta il ritmo alle emozioni

Un tuffo al cuore, un’emozione che fa battere il cuore, far piangere il cuore, avere il cuore nello zucchero. Esistono forse decine di espressioni colloquiali come queste che usiamo normalmente e che hanno qualcosa in comune: riflettono un topos letterario ancora estremamente radicato nel nostro immaginario comune in cui sarebbe il cuore, e non la “mente”, il vero protagonista delle nostre emozioni. Ebbene, questa visione alquanto suggestiva dei processi emotivi potrebbe aver trovato, seppur solo in parte, un riscontro nella ricerca scientifica. Secondo un recente studio pubblicato su PNAS e nato da una collaborazione tra studiosi dell’università di Pisa, dell’università di Padova e della university of California, la nostra esperienza emotiva viene modulata, in alcuni momenti, dall’attività cardiaca.

Il professor Claudio Gentili, membro del Padova neuroscience center (PNC) e direttore del Centro servizi clinici universitari psicologici (SCUP) dell’università di Padova ci ha raccontato gli aspetti principali di questo studio che si inserisce in un filone di ricerca che tenta di approfondire i meccanismi neurofisiologici alla base delle esperienze emotive coscienti e che trae ispirazione dalle teorie formulate da William James e Carl Lange tra le fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento sulla natura delle emozioni.

“Negli ultimi anni dell’Ottocento vennero pubblicati a circa due anni di distanza l’uno dall’altro, due importanti articoli scientifici: What is an emotion di William James e The mechanism of emotions di Carl Lange”, racconta Gentili. “In questi due testi, gli autori approfondirono in maniera diversa e indipendente il medesimo tema, interrogandosi riguardo alla possibilità che le emozioni avessero un'origine periferica. Secondo la teoria James-Lange, le reazioni corporee associate all’esperienza emotiva, come il tremito delle mani o il battito cardiaco accelerato, nascono in maniera diretta e immediata in risposta all’ambiente esterno e precedono, quindi, l'elaborazione delle emozioni da parte del sistema nervoso centrale.

Durante gli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta del secolo scorso, diversi studiosi hanno dimostrato che le basi principali della teoria James-Lange sono false o, quantomeno, falsificabili. Nonostante questo, è sopravvissuta ancora oggi una certa curiosità riguardo al ruolo che gioca il sistema nervoso periferico nell’elaborazione emotiva”.

Il professor Gentili illustra i risultati principali di un recente studio che suggerisce che la nostra esperienza emotiva viene modulata, in alcuni momenti, dall’attività cardiaca. Servizio di Federica D'Auria e montaggio di Barbara Paknazar

Ma andiamo per ordine. Abbiamo chiesto al professor Gentili di chiarire, innanzitutto, la differenza tra il sistema nervoso centrale e quello periferico e illustrarne la struttura e le funzioni.

“Il sistema nervoso centrale risiede, sostanzialmente, nel cervello, e comprende quindi la corteccia cerebrale e le cosiddette strutture sottocorticali come l’amigdala, i gangli della base e le aree del tronco encefalico e del mesencefalo”, spiega Gentili. “Queste ultime sono le regioni filogeneticamente più antiche del sistema nervoso (soprattutto rispetto alla neocorteccia, che è la parte più “giovane” del cervello umano); esse si trovano dietro alla nuca e sono posizionate in continuità con il midollo spinale, con il quale comunicano.

Il sistema nervoso centrale, composto dalle strutture appena descritte, è collegato al sistema nervoso periferico, che comprende le fibre nervose che arrivano in tutte le altre zone del nostro corpo. Il sistema nervoso periferico può essere a sua volta distinto in due parti: il sistema nervoso autonomo e il sistema nervoso somatico. Quest’ultimo ha la funzione di trasmettere alcune importanti informazioni (come l’ordine di muovere un muscolo oppure le sensazioni di dolore) dalla corteccia (quindi dal sistema nervoso centrale) ai nervi periferici, e viceversa.

Il sistema nervoso autonomo, invece, è quello che modula le risposte corporee non volontarie, come la sensazione di caldo o freddo, i brividi e la sudorazione, che regolano la nostra omeostasi interna, ma anche la contrazione dell'intestino, lo stimolo della vescica, il battito cardiaco, l'erezione; quelle appena elencate sono tutte funzioni fisiologiche sulle quali abbiamo un controllo decisamente più sfumato rispetto a quello che abbiamo sulle azioni volontarie (come, ad esempio, il movimento di un muscolo) e sono determinate dall’attività di due delle componenti in cui si divide a sua volta il sistema nervoso autonomo, ovvero il sistema nervoso simpatico e quello parasimpatico.

Il sistema nervoso autonomo è responsabile, ad esempio, dell’accelerazione del battito cardiaco che sperimentiamo quando ci sottoponiamo a uno sforzo fisico. Ma non solo. Anche quando proviamo delle emozioni, come ad esempio la paura, il nostro cuore batte più velocemente proprio a causa di una stimolazione del sistema nervoso autonomo che provoca tachicardia”.

Nello studio a cui ha partecipato il professor Gentili è stato approfondito proprio il ruolo che giocano nell’esperienza emotiva cosciente quelle componenti simpatiche e parasimpatiche del sistema nervoso autonomo che sono associate all’attività cardiaca.

“Abbiamo cercato di scoprire quale parte della nostra esperienza cosciente o, più propriamente, della nostra attivazione cerebrale connessa alle emozioni fosse guidata dell'attività cardiaca in quanto espressione del sistema nervoso autonomo che non direttamente controllato dalla nostra volontà”, specifica il professor Gentili.

“Ci siamo basati sulle informazioni contenute in due dataset pubblici contenenti le registrazioni delle reazioni neurofisiologiche di alcuni soggetti sani che sono state rilevate tramite l’utilizzo in contemporanea dell’elettrocardiogramma e dell’elettroencefalogramma.

Tramite l’analisi di questi dati abbiamo potuto constatare che, durante l'esperienza emotiva, l’interazione tra l'attività cerebrale e quella cardiaca è diretta, prevalentemente, dal cuore verso il cervello. Abbiamo invece osservato che quando ci troviamo in una fase “di riposo” che in gergo tecnico viene chiamata resting state e che rappresenta i periodi di pausa tra un’emozione e l’altra, allora il flusso si ribalta: in quei momenti è infatti il cervello che sembra guidare e influenzare l'attività cardiaca.

Quello che abbiamo dimostrato, quindi, è che una parte della nostra esperienza emotiva è guidata, o meglio, ritmata dall’attività cardiaca”.

Tuttavia, come segnala Gentili, non si può essere però del tutto sicuri che l’elaborazione emotiva nasca in prima battuta dall’attivazione del sistema nervoso periferico. “Dobbiamo tenere conto di un grosso limite dell’elettroencefalogramma, che non è in grado di cogliere le attività delle strutture sottocorticali che fanno parte del sistema nervoso centrale”, continua il professore. “Quindi, non possiamo escludere l’assenza di una fase ancora precedente all’attivazione cardiaca che abbia origine, ad esempio, nell’amigdala, dalla quale potrebbe scaturire un flusso di attività che si sdoppia e si avvia in parte verso l’alto, in direzione della corteccia cerebrale, e in parte verso il basso, in direzione del cuore”.

Quello che i ricercatori hanno dimostrato, quindi, è che esiste un momento nel corso dell’elaborazione emotiva, seppur non necessariamente nella primissima fase di tale processo, in cui dal cuore scaturisce un importante flusso di informazioni che sale verso l’alto e guida l’attività cerebrale.

Possiamo domandarci, infine, se i risultati ottenuti grazie a questa ricerca possano avere delle implicazioni per la ricerca in ambito clinico. “I nostri risultati aggiungono un nuovo tassello alla comprensione dei meccanismi alla base dell’elaborazione emotiva”, spiega Gentili, “ma il nostro lavoro si è basato su dati raccolti da volontari sani ed è stato svolto in un contesto di laboratorio; quindi, saranno necessari ulteriori studi per indagare le eventuali ripercussioni di questa ricerca in ambito clinico. Ad esempio, è attualmente in corso al Centro di ateneo di Padova per i servizi clinici e psicologici uno studio che indaga gli effetti del biofeedback (una tecnica terapeutica di rilassamento che serve a controllare alcune delle nostre funzioni fisiologiche autonome) sul controllo dell’ansia, la riduzione della depressione o il miglioramento dell’attenzione.

Possiamo immaginare che, un giorno, sarà possibile partire da evidenze scientifiche come quelle tratte dal nostro studio per scoprire se e come sia possibile intervenire per modificare l’attività cardiovascolare per influenzare quella cerebrale e viceversa, con l’obiettivo di migliorare la gestione delle emozioni. Si tratta però di una possibilità futura piuttosto remota e che richiederà diverso tempo per essere indagata”.

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