SOCIETÀ

L'Italia non cresce: bisogna formare i manager

Tra i paesi industrializzati l'Italia non brilla certamente per la florida condizione economica. Lo spettro del debito pubblico che grava sulle spalle del paese fa pendant con un altro grande problema italiano: la bassa produttività. Ma cosa si intende quando utilizziamo questa parola?

Il sociologo e Professore di Sociologia del lavoro, Domenico De Masi, ce lo spiega con una formula: "La produttività è descritta da E (efficienza) = P/H (quantità di prodotto/tempo umano che occorre per produrlo). Ad esempio, se produco 1 kg di pane in un'ora e un'altra persona prepara 1 kg di pane in mezz'ora, la seconda persona è più produttiva di me. Tutte le teorie sull'organizzazione del lavoro tendono ad aumentare P e a ridurre H, cioè ad aumentare il più possibile la quantità di prodotto, riducendo il tempo per produrla. È straordinario ciò che è riuscito a fare l'essere umano nel tempo per raggiungere questo obiettivo: si pensi all'invenzione della ruota o a quella del motore e a tutte quelle invenzioni che hanno contribuito ad aumentare sempre più la produzione dei beni, con un notevole risparmio di tempo". 

L'attività umana è sempre stata mirata a produrre il più possibile con meno lavoro Domenico De Masi

Dunque, la tecnologia ha svolto e svolge un ruolo chiave nell'aumento della produttività: nel 1700, la storica introduzione della spoletta volante e della macchina a vapore nel settore tessile e in quello metallurgico diedero una grande spinta alla rivoluzione industriale. Col tempo, tanti aspetti della nostra vita sono cambiati sempre più grazie all'introduzione di nuovi oggetti, basti pensare al modo in cui comunichiamo oggi che va a influire anche su certe dinamiche lavorative, facendo sì che alcuni spostamenti non siano più necessari, comportando un'accelerazione del processo produttivo. 

Quali altre variabili vanno a incidere sulla produttività? "Un altro fattore importante per l'aumento della produzione è l'organizzazione - continua il sociologo - a parità di tecnologie, infatti, una migliore gestione del lavoro, degli orari, delle ferie, della ripartizione dei compiti, delle gerarchie di comando e simili, comporta un aumento della produttività. Non meno importante è il corretto sfruttamento della globalizzazione: prima si era obbligati a produrre tutto in casa, oggi possiamo comprare gli oggetti e i beni che ci servono dove costano meno o dove hanno una maggiore qualità. Stimolare e motivare i lavoratori è essenziale affinché questi non lavorino lentamente. Infine, tutto dipende anche dalle condizioni del contesto lavorativo: ad esempio se in una stazione la ferrovia funziona correttamente, se il servizio postale è attivo, se la burocrazia è snella, tutto scorre più velocemente. La produttività, quindi, come abbiamo già detto, è il rapporto tra prodotto e tempo e questo migliora grazie a queste cinque variabili: la tecnologia, la globalizzazione, l'organizzazione lavorativa, la motivazione dei lavoratori e il contesto del lavoro".

Come riportato da Il Sole 24 Ore, la situazione italiana era già critica prima della crisi, nel periodo tra il 2001 e il 2007. Secondo uno studio dell'Ocse, tra il 2010 e il 2016  la produttività italiana, intesa come Pil per ora lavorata, è aumentata solo dello 0,14% medio annuo, il dato peggiore dopo quello della Grecia e, lo scorso febbraio, la Commissione europea prevedeva un calo drastico delle stime di crescita per il 2019. 

Dove sbagliamo, dunque? Secondo Domenico De Masi: "La disastrosa situazione italiana che vede una produttività del 20% inferiore rispetto a quella della Germania è dovuta alla nostra tecnologia, probabilmente più obsoleta, alla minore capacità di globalizzare e alle difficoltà nell'organizzazione, al fatto che i lavoratori siano meno motivati e al contesto più burocratizzato. Però, io penso che la causa principale sia la cattiva organizzazione dovuta alla formazione insufficiente dei nostri manager e imprenditori. Non parlo di tutti i manager, ma della media. In passato, tutte le grandi aziende italiane avevano delle grandi scuole, come delle università interne, che sono state chiuse per risparmiare: la Fiat aveva la scuola di Marentino, l'Eni quella di Castel Gandolfo, l'Ibm quella di Novedrate, la Telecom aveva la scuola Reiss Romoli dell'Aquila. Adesso, invece, non c'è più alcun tipo di preparazione". 

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