CULTURA

Louisa May Alcott: la donna dietro a un long seller

Louisa May Alcott scriveva per soldi. Detto così può sembrale brutale, ma ricordiamo che fare lo scrittore è un mestiere, non un vezzo, e specialmente lo era all’epoca in cui è vissuta, quando anche i colleghi Dumas, Hugo e compagnia scrivevano, per esempio, a puntate sui giornali. All’uscita di Piccole donne crescono la romanziera dice: “Pagati tutti i debiti, grazie al Signore! Ogni penny che il denaro può pagare, e ora sento di poter morire in pace”. E Beatrice Masini, autrice di una agile saggio su di lei per Giulio Perrone editore, chiosa: “Non è una frase da signora. Ma essere una signora per Louisa May non è mai stato alto in classifica. Essere se stessa, semmai, qualunque cosa volesse dire”.

Ma chi era Louisa May? Innanzitutto era figlia di suo padre. Bronson Alcott era un trascendentalista dalle idee molto chiare in fatto di educazione che frequentava assiduamente altri pensatori come lui, tipo Emerson, Thoreau, Hawthorne. Scrive Masini: “A casa Alcott nulla è blando o sommesso, tutto è alto, nobile ed estremo: il veganesimo, l’antischiavismo, il voto alle donne sono cause che verranno via via abbracciate con slancio da tutti quanti, in un domino idealistico che tutto tocca e travolge”. Louisa May e le sue sorelle vivono così, attraversando anche gli esperimenti del padre che a un certo punto si inventa persino, tra il 1843 e il 1844, di mettere su una comune a Fruitlands, una tenuta sperduta, in cui applicare il proprio ideale: niente latte, burro, formaggio, tè o carne, abiti di lino e non di cotone, regole rigide, ma ampi spazi di libertà per le bambine. Ed è in quel momento – Louisa May ha undici, dodici anni – che comincia a coltivare in solitudine quell’immaginario che venticinque anni dopo riverserà nel suo libro più conosciuto, Piccole donne: “Ho fatto una corsa nel vento – scrive – e giocato a fare il cavallo, e sono stata bene nel bosco con Anna e Lizzie. Eravamo fatine, e ci siamo fatte dei vestiti e delle ali di carta. Io ho volato più alto di tutte”. Ma prima di arrivare al successo nella scrittura Louisa May Alcott dovrà attraversare il suo personale calvario, segnato da sempre dalla necessità di far fronte alle spese che nella famiglia Alcott sono una stigmate prodottasi nel momento in cui Bronson Alcott ha sposato Abigail May, la cui famiglia d’origine aveva bisogno di aiuto per rappezzare il bilancio.

Louisa da grande ricorda i suoi desideri di ragazzina quindicenne che nell’immaginarsi cresciuta diceva: “Presto farò qualcosa, qualunque cosa, insegnare cucinare, recitare, scrivere, qualunque cosa per aiutare la mia famiglia; e prima di morire sarò ricca e famosa, vedrai”. Non sa che le toccherà soprattutto, almeno all’inizio, fare quello che definirà “un lavoro disgustoso”, cioè insegnare, quando invece per sentirsi soddisfatta le sarebbe bastata “una crosta in una soffitta con la [sua] libertà e una penna”.

Ma i tempi semplicemente non erano maturi, e poco importa che l’editore James T. Fields le avesse detto: “You can’t write” perché una vocazione è una vocazione, e sarà proprio l’ex giovane collaboratore di Fields, diventato editor da Roberts Brothers, Thomas Niles a suggerirle, pochi anni dopo, sull’onda di alcuni successi di quegli ultimi tempi (Pattini d’argento, La capanna dello zio Tom) di provarsi a scrivere qualcosa che potesse piacere un po’ a tutti. Il primo di una fortunatissima serie di “romanzi per ragazze” (che l’autrice in un momento di disillusione, anni e anni dopo, definirà “una pappa moralistica”) esce e riscuote un successo inimmaginabile. Non tanto subito (anche se sessantamila copie in due anni non sono da buttare via) quanto perché Piccole donne: Meg, Jo, Beth ed Amy. La storia delle loro vite. Un libro per ragazze (“il titolo è dell’editore”, specifica Beatrice Masini) è diventato da allora un inesausto long seller. Era il 30 settembre 1868. Oggi quel titolo ogni anno vende, solo in Italia, sessantamila-settantamila copie (teniamo conto che un libro appena uscito “che va bene” ne fa quindicimila).

Lei si rimette immediatamente a scrivere, un capitolo al giorno: ad aprile del 1869 esce il seguito, Brave mogli (oggi lo conosciamo come Piccole donne crescono), nel 1870 nasce Piccoli uomini e nel settembre del 1886 la tetralogia si chiude con I ragazzi di Jo, la cui prima edizione, da sola, vende cinquantamila copie. Ma già nel 1872 Alcott scrive: “Vent’anni fa ho deciso di rendere indipendente la famiglia, se avessi potuto. A quaranta è fatta. Debiti tutti pagati, anche quelli prescritti, e abbiamo abbastanza per star bene. Mi è costato la salute, forse; ma poiché sono ancora viva, ho dell’altro da fare, suppongo”. Può smettere di pedalare come un criceto sulla ruota. Ma fece altro? Sì.

Quest’altro fu allevare una bambina, la figlia che una sorella di lei lascia orfana. Mai un uomo, invece, per Louisa May Alcott. Amori sì, forse, un paio di brevi illusioni. Scrisse ancora, questo continuò a fare: romanzi per adulti, per ragazzi, per non parlare dei racconti. Louisa May Alcott è vissuta per scrivere, dunque, ma questo non basta a spiegare il successo di Piccole donne. Ne abbiamo parlato con Beatrice Masini, autrice del saggio Louisa May Alcott per Perrone, scrittrice (per adulti e per ragazzi), editor, direttrice editoriale, traduttrice.

Essere una signora per Louisa May non è mai stato alto in classifica. Essere se stessa, semmai, qualunque cosa volesse dire Beatrice Masini

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