SOCIETÀ

Luci e ombre dalle ultime elezioni a Cuba

Le elezioni, a Cuba, funzionano così: 470 candidati in lizza per conquistare i 470 seggi parlamentari che compongono l’Asamblea Nacional del Poder Popular, il Parlamento monocamerale cubano. Uno per posto: se un candidato non raggiunge almeno il 50% delle preferenze espresse, il seggio rimane vuoto per i 5 anni della legislatura, non essendoci un’alternativa. Sulla scheda gli elettori possono spuntare singolarmente i nomi dei candidati preferiti, oppure scegliere l’opzione “vota per tutti”. I candidati eletti sceglieranno, nella riunione fissata per il prossimo 19 aprile, il prossimo presidente di Cuba. Il “pacchetto” dei 470 candidati è formato quasi esclusivamente da esponenti del Partido Comunista de Cuba (PCC), l’unico autorizzato, l’unico esistente. Gli altri rappresentanti sono nominati da gruppi (come sindacati dei lavoratori) che hanno stretti legami con il PCC. Tutti sono stati controllati da comitati elettorali con legami con il partito. Non sono ammessi candidati dell’opposizione. Come non sono ammessi osservatori internazionali che possano monitorare, in modo indipendente, le operazioni di voto. Un involucro chiuso a tripla mandata. È per questo che il risultato dell’ultima tornata elettorale, domenica scorsa, va preso comunque con il beneficio del dubbio. I gruppi antigovernativi, quasi sempre con base al di fuori dell’isola, hanno definito il voto “una farsa” e hanno invitato gli otto milioni di cubani a disertare le urne (il voto non è obbligatorio), come già accaduto alle elezioni municipali dello scorso novembre (l’affluenza fu del 68,5%): l’astensione come unico “termometro” possibile per misurare il gradimento.  

Il dato (contestato) sull’affluenza

Questa volta, stando ai dati forniti dai funzionari dell’ufficio elettorale, al governo cubano sembra essere andata meglio: il 75,9% di affluenza, un risultato superiore alle aspettative, anche se con un calo di circa il 10% rispetto a quella registrata nelle legislative del 2018. Un dato subito confutato dai giornali indipendenti, come 14ymedio, il quotidiano online fondato nel 2014 dalla blogger e giornalista dissidente Yoani Sánchez, che in una corrispondenza ha parlato di “voto senza entusiasmo” e “seggi vuoti”. Comunque sia, tutti i 470 candidati sono risultati “eletti”: 263 donne e 207 uomini. Per il loro incarico non riceveranno uno stipendio. Ma saranno loro (compreso l’ex presidente Raul Castro, 91 anni, fratello di Fidel) a scegliere il nome del prossimo presidente. Quello in carica, Miguel Díaz-Canel, che i pronostici danno come favorito per un secondo mandato, ha esultato attraverso il suo profilo twitter, sul quale campeggia l’hashtag #CubaGanò (Cuba ha vinto): «Il popolo ha detto l’ultima parola. È uscito per difendere la Rivoluzione, nonostante le misure draconiane degli Stati Uniti, nonostante la feroce campagna e gli appelli all'astensionismo. A questo voto, straordinario nelle attuali condizioni della nazione e del mondo, c’è un solo modo di rispondere: assecondare il popolo». Prima del voto aveva dichiarato: «Con il voto unito difendiamo l’unità del paese, l’unità della rivoluzione, il nostro futuro, la nostra costituzione socialista».

L’unico appiglio per abbozzare un’analisi del voto cubano resta il dato sull’astensione (ammesso che sia attendibile). Michael Shifter, membro anziano dell’Inter-American Dialogue, un think tank con sede a Washington, interpellato dall’Associated Press, ha detto che «l’astensione del 24% è comunque alta in termini storici poiché la media generale per la non partecipazione è stata del 10%». Ed è d’accordo anche Arturo López-Levy, professore presso l’Universidad Autónoma de Madrid: «È evidente che il governo cubano si trova oggi ad affrontare un sostegno meno incondizionato dalle sue basi». Che nasce anche dalle oggettive difficoltà con cui i cubani sono costretti a convivere: inflazione, carenza di cibo, di medicinali, frequenti black-out, con un turismo duramente fiaccato dalla pandemia. E, su tutto, le drastiche sanzioni imposte dagli Stati Uniti a Cuba sin dal lontano 1962, tre anni dopo la rivoluzione comunista e la presa del potere di Fidel Castro, il Lìder Màximo (morto nel 2016, sopravvissuto a 638 tentativi di omicidio, tutti architettati dalla Cia) che riuscì a rovesciare il dittatore Fulgencio Batista, sostenuto proprio dagli Stati Uniti. Nel 2015, sotto l’amministrazione di Barack Obama, ci fu un principio di “normalizzazione” nelle relazioni con Cuba, con conseguente riduzione delle sanzioni, tra le quali un durissimo embargo commerciale. Che furono tuttavia ripristinate, e addirittura inasprite, da Donald Trump: con il divieto del turismo statunitense e la limitazione della quantità di denaro che gli esuli cubani negli Stati Uniti potevano inviare ai loro parenti. Alcune di queste restrizioni sono state poi allentate, lo scorso anno, dall’attuale presidente Joe Biden. Resta l’embargo, che ancora lo scorso novembre è stato duramente condannato dall’Assembra Generale delle Nazioni Unite, con una votazione schiacciante: 185 hanno votato a favore della risoluzione (non vincolante) di condanna. Contrari soltanto Stati Uniti e Israele. Astenuti Brasile e Ucraina. È la 30ª volta che le Nazioni Unite votano, negli anni e senza grandi risultati, contro la politica statunitense nei confronti di Cuba.

Crisi economica, malcontento sociale, emigrazione

Dunque il nuovo Parlamento cubano dovrà affrontare un disastro economico, peggiorato negli ultimi mesi  nonostante la grande riforma economica e monetaria, chiamata “Tarea ordenamiento” (lavori di riordino), varata due anni fa dal governo del presidente Díaz-Canel, che comprendeva tra l’altro un adeguamento dei salari al consistente aumento dei prezzi. Non ha funzionato: in due anni i prezzi sono aumentati sette volte di più rispetto ai salari (secondo i dati ufficiali). L’economia di Cuba sconta una dipendenza sempre più estrema dalla valuta straniera, per via della storica debolezza di quella locale, il peso cubano. E dalle materie prime che produce, con il tabacco e lo zucchero che rappresentano circa il 30% dei guadagni in valuta straniera. Cuba esporta anche servizi sanitari d’eccellenza (ma l’argomento è controverso) inviando medici e infermieri in giro per il mondo, soprattutto in Sud America, dal Brasile al Venezuela, ma anche in Europa, con Portogallo e Italia a fare da terminali (oltre agli aiuti arrivati nel nostro paese durante il Covid, la Regione Calabria sta assumendo medici cubani per far fronte alle carenze di personale). Mentre il turismo straniero, per decenni un jolly nelle mani del governo (e dei cubani), non riesce a uscire dalla spirale negativa dove è precipitato dalla pandemia in avanti. Al punto che diversi economisti definiscono il turismo a Cuba come “un business in bancarotta”. Secondo Bloomberg news, gli arrivi turistici sono diminuiti drasticamente: da quattro milioni nel 2019 a soli 356.000 nel 2021. Nel 2022 la crescita è stata del 2%, la metà di quanto previsto. L’economista ispanico-cubano Elías Amor Bravo, in un’intervista pubblicata lo scorso dicembre da Cibercuba, un altro quotidiano digitale indipendente, non prevede nulla di positivo per il 2023: «Il governo ha stabilito nove obiettivi per il 2023 in diverse aree e, sebbene sia convinto che siano tutti di dubbia realizzazione, preferisco aspettare fino a dicembre 2023 per valutarli», sostiene l’economista. «Ma sono sicuro che nel 2023 i cubani saranno ancora più poveri perché il regime non è in grado di facilitare la ripresa economica. Siamo in un classico scenario di stagflazione, che combina una debole crescita economica con un’alta inflazione. Uno scenario che ostacola significativamente l’applicazione delle politiche economiche, soprattutto in un’economia comunista obsoleta».

Tutto questo scatena il malcontento della popolazione, che già nel 2021, quando l’inflazione aveva cominciato a mordere (con code interminabili fuori dai supermercati e dalle farmacie), aveva deciso di sfidare il “divieto di dissenso”, con migliaia di persone scese in strada per reclamare migliori condizioni di vita. Si stima che soltanto nel 2021 l’inflazione sia aumentata del 70%. Il ministro dell’Economia, Alejandro Gil, parlando di “un anno duro e molto difficile”, ha ammesso che anche nel 2022 l’inflazione è cresciuta di un ulteriore 40%. Mentre Pavel Vidal, un ex economista della banca centrale cubana che ora vive in Colombia, ha detto all’agenzia Reuters che la stima più realistica dell’inflazione viaggia attorno al 200% annuo. Un litro di olio può arrivare ormai a costare anche 1000 pesos (pari a oltre 40 dollari americani). Così, mentre dilaga il mercato nero, chi può scappa. La fotografia più nitida del fenomeno migratorio cubano si trova in un’inchiesta pubblicata pochi giorni fa dal quotidiano britannico The Independent: «Il numero di cubani che cercano di entrare negli Stati Uniti, per lo più al confine con il Messico, è balzato da 39.000 nel 2021 a oltre 224.000 nel 2022. Molti hanno venduto le loro case a prezzi stracciati per permettersi voli di sola andata per il Nicaragua e viaggiare attraverso il Messico verso gli Stati Uniti. Dopo sei decenni di blocchi commerciali e un rigido modello socialista, il crollo degli standard di vita ha portato il 2% della popolazione cubana ad abbandonare l'isola in un solo anno». Dati sostanzialmente confermati da quanto riassunto nell’ultimo rapporto mondiale di Human Rights Watch: «Il numero di cubani che lasciano il loro paese è aumentato drammaticamente nel 2022, superando i picchi storici degli anni 80 e 90. Le pattuglie di frontiera degli Stati Uniti hanno arrestato oltre 203.000 cubani tra gennaio e settembre 2022, un drammatico aumento rispetto ai 33mila cubani arrestati nello stesso periodo del 2021. La Guardia Costiera degli Stati Uniti ha intercettato 6.182 cubani in mare da ottobre 2021 a settembre 2022, di gran lunga il numero più alto in cinque anni».

Il rapporto della ong HRW, tra le più autorevoli, dice però anche altro, che stride assai con la retorica della “rivoluzione” e della “vittoria del socialismo”. «Le autorità hanno risposto con una repressione brutale e sistematica quando migliaia di cubani sono scesi in piazza nel luglio 2021 per protestare contro la risposta al Covid-19, la scarsità di cibo e medicine e le restrizioni di lunga data sui diritti», scrive Human Rights Watch. «I processi di centinaia di questi manifestanti hanno spesso violato le garanzie di base del giusto processo e hanno portato a pene detentive sproporzionate. Il governo ha ammesso di aver condannato oltre 380 detenuti, tra cui diversi minorenni, per un’ampia gamma di accuse vagamente definite, come “disordine pubblico”, “oltraggio” o “sedizione”, magari per aver lanciato pietre, ricevendo condanne fino a 25 anni di carcere. Alcuni processi sono stati condotti in tribunali militari, contravvenendo al diritto internazionale. Anche il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia ha denunciato maltrattamenti e detenzioni arbitrarie di bambini che hanno partecipato alle proteste del 2021. Le manifestazioni in tutto il paese sono continuate anche nel 2022, innescate dai blackout, dalle carenze e dal deterioramento delle condizioni di vita». E sulle carceri: «Le prigioni sono spesso sovraffollate. Coloro che criticano il governo spesso sopportano un isolamento prolungato, percosse, restrizioni delle visite familiari e negazione delle cure mediche. Il governo continua a negare ai gruppi cubani e internazionali per i diritti umani l’accesso alle carceri». E nulla lascia sperare che la situazione possa migliorare. Appena la scorsa settimana il segretario di stato americano, Antony Blinken, ha ribadito che gli Stati Uniti non hanno intenzione di rimuovere Cuba dalla black list dei “paesi che sponsorizzano il terrorismo”, misura che era stata reintrodotta nel 2021 da Donald Trump.

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